Alessandro Parola, Marcello Malpensa. Giuseppe Lazzati: una sentinella nella notte.

linea_rossa_740x1

 C’ è forse qualcosa nel destino di uomini come Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati che fa dire che veramente essi erano completamente spesi, bruciati, mangiati dalla loro missione, e forse questo qualcosa si esprime, mi sembra, nell’ antico detto per cui “Dio sa scrivere diritto anche sulle linee storte”. Non che vi sia mai stato alcunché di storto nell’ impostazione della vita di Lazzati e del suo grande amico, ché anzi neppure il peggiore dei loro nemici (e ve ne furono, anche molto potenti e pervicaci, ed alcuni loro degni eredi continuano una battaglia postuma non esente da volgarità e meschinità) avrebbe potuto negare  la dirittura dell’ ispirazione morale e religiosa di fondo di due vite così chiaramente legate a Dio e alla Chiesa.

Alessandro Parola, Marcello Malpensa. Giuseppe Lazzati: una sentinella nella notte.

1. leggi il testo dell’introduzione di Lorenzo Gaiani

2. leggi la trascrizione della relazione di Alessandro Parola

3. clicca sui link sottostanti per ascoltare i file audio mp3

introduzione di Lorenzo Gaiani – relazione di Alessandro Parola

linea_rossa_740x1

Testo dell’introduzione di Lorenzo Gaiani a Alessandro Parola

Amare e servire – A proposito di “Lazzati, una sentinella nella notte”

1. C’ è forse qualcosa nel destino di uomini come Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati che fa dire che veramente essi erano completamente spesi, bruciati, mangiati dalla loro missione, e forse questo qualcosa si esprime, mi sembra, nell’ antico detto per cui “Dio sa scrivere diritto anche sulle linee storte”. Non che vi sia mai stato alcunché di storto nell’ impostazione della vita di Lazzati e del suo grande amico, ché anzi neppure il peggiore dei loro nemici (e ve ne furono, anche molto potenti e pervicaci, ed alcuni loro degni eredi continuano una battaglia postuma non esente da volgarità e meschinità) avrebbe potuto negare  la dirittura dell’ ispirazione morale e religiosa di fondo di due vite così chiaramente legate a Dio e alla  Chiesa. E nello stesso tempo nessuno dei due potè fare quello che in realtà voleva: Lazzati, poiché di lui stiamo trattando questa mattina, avrebbe sostanzialmente voluto articolare la propria vita ed il proprio apostolato (che nel suo caso coincidevano) intorno alla triplice dimensione dell’ insegnamento universitario, dell’ attività in Azione Cattolica e della sua personale scelta di vita consacrata. Invece gli toccò di posporre a lungo il primo, inframezzandolo con varie altre attività che gli impedirono di fatto uno sviluppo sistematico dell’attività di ricerca, di interrompere e riprendere a singhiozzo la seconda in mezzo a tante altre “obbedienze” che gli vennero richieste dall’ unica Autorità che riconosceva e di vivere la terza non come gregario ma come fondatore e leader di un nuovo Istituto che avrebbe rappresentato una pietra miliare nella nascita di nuove vocazioni laicali al servizio della   Chiesa. E tuttavia, in ognuno di questi compiti non previsti e probabilmente non amati – a partire dall’ impegno politico- Lazzati trasfuse (e torniamo alla battuta iniziale) per intere le sue non comune doti di intelligenza e di sacrificio, facendone altrettanti campi di santificazione per se stesso e di edificazione per coloro che con lui collaboravano, inverando anzitempo l’ intuizione di Paolo VI, di cui fu e che gli fu sinceramente amico, per cui l’ epoca nostra ama più i testimoni che i maestri, ed è anzi disposta ad accettare i maestri a condizione che siano autentici testimoni di ciò che insegnano prima nella vita e poi nelle parole. Politico senza vocazione, giornalista suo malgrado, Rettore scevro da ogni umana ambizione di potere, Lazzati ha potuto anticipare in se stesso alcune delle maggiori intuizioni del Concilio Vaticano II essenzialmente perché si abbandonò senza riserve a quella che considerava essere la volontà di Dio che si manifestava misteriosamente su di lui.

2. Bisogna quindi essere grati a Marcello Malpensa e Alessandro Parola che con grande cura ed un lavoro certosino durato anni sono riusciti a ricostruire con un serio lavoro sulle fonti e con un’ opera attenta ed intelligente di interpretazione. Voglio subito dire che uno dei meriti principali di questo testo è l’ aver evitato in ogni modo la tentazione del “santino”, dell’ agiografia fine a se stessa, della costruzione di un altarino di devozioni, per così dire, cattolico – democratiche da contrapporre all’ apologetica reazionaria così di moda in questi tempi. Al contrario, soprattutto nella ricostruzione della vicenda alquanto intricata del concorso per la sua cattedra universitaria, piuttosto che su certi aspetti del suo Rettorato e dell’ ultimo periodo della sua vita. Tali episodi tuttavia, si inseriscono negli inevitabili chiaroscuri di ogni vicenda umana e della sua complessità, e proprio per questo aiutano meglio a far risaltare la coerenza di fondo del personaggio, il suo disinteresse, la sua generosità nell’ incontrare persone ed idee nuove, la sua tensione pedagogica che, in definitiva, non erano altro che componenti di quell’ anelito alla santità che Lazzati perseguì per tutta la vita. In effetti, a prescindere dal pur importante esito del dossier aperto presso la Congregazione per le Cause dei Santi, credo che il caso di Lazzati, come quello di La Pira piuttosto che, ad altri e più drammatici livelli, di Oscar Romero e a livello universale di Papa Giovanni sia stato uno di quelli in cui la percezione della santità di una persona viene recepita da parte di coloro che le si accostavano prima ancora di (e senza il bisogno di ) un riconoscimento ufficiale, una santità, per così dire spontanea, che è qualcosa di diverso rispetto alla corsa alla canonizzazione di un’ esperienza religiosa o di un principio ideologico che sembra essere tanto di moda di questi tempi.

3.  Una partizione dell’attività di Lazzati come emerge da questo libro ha sempre un che di arbitrario, perché in fondo corrisponde alla pretesa di voler isolare da una personalità ricca e complessa alcuni aspetti secondo in base ad un meccanismo rigido che mal si adatta alla personalità nel suo insieme (un po’ come i “periodi colorati” di Picasso o di qualche altro pittore). D’ altro canto, il racconto di Malpensa e Parola si svolge in termini cronologici, anche se l’evidenziazione di alcuni degli elementi portanti della persona e dell’azione di Lazzati sono sempre presenti nel sottotraccia. Credo però di non sbagliare se dico che il primo ed il più evidente è quello di rodine spirituale, nel senso che l’afflato spirituale, la ricerca della perfezione nelle cose dello spirito abbia permeato di sé ogni aspetto della vita del Professore almeno dalla prima giovinezza in poi, con la scelta decisa per la vita celibataria e con la maturazione progressiva di un modello di spiritualità che non coltivasse più un ideale pietistico e falsamente ascetico di separatezza dal mondo, ma anzi si proponesse di vivere nel mondo come lievito e possibilità concreta di una vita cristiana per il tempo d’ oggi. E’ qui che si colloca la prima rottura di Lazzati, forse la più traumatica, quella con il gruppo dei Missionari della Regalità di padre Agostino Gemelli, il quale aveva inteso la sua intuizione innovativa di un modello di vita cristiana consacrata distinto dalla vita sacerdotale e da quella religiosa come il modello per selezionare, in buona sostanza, un’ elite non solo spirituale ma anche direttiva, secondo il progetto di “riconquista cristiana” di cui egli fu l’ alfiere e che del resto andava anche nel senso auspicato dal suo grande protettore, il Papa Pio XI. Questo metodo, e gli autori ce lo mettono sotto gli occhi attraverso le riflessioni posteriori di un devoto figlio spirituale ed accademico del formidabile francescano quale fu Ezio Franceschini, si presentava come un’arma a doppio taglio, poiché legava una vita ispirata ai consigli evangelici alla possibilità di accedere a ruoli dirigenziali nell’ AC ed in Università cattolica, di fatto in qualche misura incoraggiando una certa forma di carrierismo destinata o a snaturare il senso della scelta di fondo o ad infrangersi rispetto alle mutate circostanze dalla vita. In questo senso, i contrasti fra Gemelli ed i primi due Fratelli maggiori , Giovanni Spagnolli e Luigi Gedda, risentivano di ambedue queste forme di tensione, e proprio per questo Gemelli  si risolse a porre un aut- aut agli associati  circa il suo peculiare modo di intendere l’ appartenenza ai Missionari, che era abbastanza scopertamente rivolto contro Gedda e che invece, nella sorpresa generale, venne raccolto da Lazzati e dalle persone a lui legate, che si separarono dalla Regalità per dare vita a quelli che poi divennero i “Milites Christi”, l’ attuale Istituto secolare di Cristo Re: Leggendo l’evoluzione del pensiero di Lazzati in materia, si può dire che egli cercasse attraverso il suo Istituto di testimoniare la viva possibilità di un nuovo modo di vivere la laicità. Una laicità non più intesa come condizione di inferiorità rispetto al ruolo del ministro consacrato, ma come forma piena di incorporazione nella carne viva della Chiesa e quindi di compartecipazione e di corresponsabilità – anche se queste parole forse non gli appartenevano- nella sua missione apostolica, che era secondo Lazzati l’ unica ragion d’ essere della Chiesa stessa. Inoltre, a differenza di altri che intrapresero il suo stesso cammino, Lazzati non manifestò mai verso la scelta corrente e maggioritaria di coloro che sceglievano la strada del matrimonio  il vago disprezzo allora riservato ai “deboli nella carne”, ma invitava tutti i credenti ad approfondire la loro vocazione e a santificarsi in essa . D’ altro canto, la sua estraneità alla cultura elitaria e per certi versi autoritaria che accomunava Gemelli e Gedda (perché, almeno nel periodo della sua permanenza negli alti gradi dell’ AC, anche l’appartenenza all’ Istituto fondato a sua volta dal medico novarese era un buon lasciapassare per fare carriera) , si manifestò a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando le ACLI milanesi vennero divise da una polemica circa l’ eccessiva presenza di “Milites” nel gruppo dirigente,e il Professore intervenne spingendo i suoi confratelli a lasciare, uno dopo l’ altro, gli incarichi dirigenziali onde non far supporre alcuna volontà dominatrice da parte dell’ Istituto su di un movimento rivolto a tutti i lavoratori cattolici. In questo senso credo debbano essere messi in luce due aspetti della pedagogia lazzatiana. La prima è in un testo patristico che fu in sostanza Lazzati a riscoprire e a valorizzare, ossia la Ad Diognetum , con la descrizione del ruolo e della funzione dei cristiani nella società come lievito ed anima , nella discrezione e nell’ ordinarietà dei costumi, che tanto contrasta con certi odierni metodi che di pedagogico hanno solo il nome e pretendono esaurire la testimonianza cristiana in chiassose manifestazioni identitarie. La seconda sta proprio nel concetto di laicità, magari riprendendo in mano il dibattito che si svolse fra Lazzati e Bruno Forte nella primavera del 1985 a Lariano, allora sede del Centro nazionale di formazione delle ACLI (il moderatore del dibattito era Giovanni Bianchi) su questo tema, e magari riflettere sul perché in vent’anni questo problematico dossier non abbia fatto un passo avanti.

4. Il secondo aspetto è quello dell’ apostolato, ed in particolare dell’ Azione cattolica, alla quale Lazzati legò gran parte della sua esistenza da quando, all’ inizio degli anni Trenta del secolo scorso, don Ettore Pozzoni ed il Cardinale Schuster lo “prelevarono” dalla Santo Stanislao per proiettarlo agli alti gradi della GIAC milanese fino alla fine degli anni Sessanta, quando i gravosi impegni di governo accademico che poi lo portarono al Rettorato lo costrinsero a rinunciare alla guida della Giunta diocesana di AC. Naturalmente anche qui le modalità particolari con cui Lazzati intendeva tale apostolato maturarono per gradi: tuttavia, sebbene egli avesse scelto per sé una condizione di vita particolare,  gli era  chiaro che la modalità con cui i laici si facevano apostoli del Vangelo nella società e negli ambienti di vita non poteva più essere quella di un “clero di riserva” (e le prime esperienze di AC, nate non a caso all’ indomani del crollo del potere temporale della Chiesa, che inibivano al clero un’azione sociale e politica diretta, risentivano molto di questo spirito subalterno). Il suo contrasto con la linea di Luigi Gedda, al di là dell’ evidente disapprovazione con cui egli giudicò il comportamento del Presidente centrale della GIAC nella vicenda dei Missionari della Regalità, è stato spesso dipinto da un’oleografia di comodo come una distinzione fra “destra” e “sinistra”, mentre in realtà vi era dietro qualcosa di più profondo. Gedda fu indubbiamente un grande organizzatore, oltre che un abile coltivatore della propria immagine e poi del proprio mito (come dimostrarono i suoi libri di memorie personali e …selettive) , che aveva incardinato il proprio metodo educativo sull’ obbedienza e sulla meccanicità, al punto che la sua rivista per i propagandisti di AC si chiamava per l’ appunto “Tecniche di apostolato”. Diciamo che si trattava della riproduzione a livello ecclesiale  di un modello autoritario diffuso, con una concezione gerarchica che escludeva completamente la possibilità di un approccio critico nei confronti non solo dell’istituzione ecclesiastica ma anche delle modalità stesse con cui la volontà dei superiori si manifestava sugli inferiori : le ricadute in materia politica e sociale erano inevitabili ,ma venivano dopo. Lazzati non condivideva certo atteggiamenti di contestazione nei confronti della Gerarchia (anzi, nel suo Testamento spirituale scrisse con chiarezza che era talvolta necessario saper “tacere e soffrire “ per la Chiesa e a causa della Chiesa), aveva ben chiaro come i cambiamenti in atto nella società richiedessero nuove metodologie di apostolato ed anzi, oltre ad un profondo investimento educativo, spingessero di necessità verso un crescente protagonismo dei laici all’ interno stesso della comunità ecclesiale. Se Lazzati, come mettono in rilievo Malpensa a Parola, desiderò ad un certo punto di accedere alla Presidenza centrale della GIAC non fu certo per ambizione personale, ma per potere, da quell’alta posizione, contribuire ad un cambiamento nell’ impostazione dell’ apostolato dei credenti che si facesse carico di una realtà in movimento da ben prima del rinnovamento conciliare. Furono fatte altre scelte, e , mentre Gedda assumeva la presidenza dell’ Unione Uomini prima e della Giunta centrale poi, ad accedere alla guida della GIAC fu il suo delfino Carretto, che dopo un periodo di allineamento al maestro si distinse da lui e fu costretto alle dimissioni, come poi il suo successore Mario Rossi, determinando l’ inizio di una crisi irrefrenabile di fiducia fra l’ associazionismo cattolico tradizionale e le realtà giovanili più intelligenti e vivaci. Per tali motivi da Presidente dell’ AC della più importante Diocesi d’ Italia Lazzati appoggiò  il percorso di riforma dell’ Associazione voluto da Paolo VI ed attuato da Vittorio Bachelet e Franco Costa, e nello stesso tempo vide con preoccupazione il fiorire di esperienze diverse come quella nata all’ interno della Gioventù studentesca ambrosiana (che non era, come taluni pensano ed altri amano far credere, un’ esperienza nata ex novo per intuizione di don Luigi Giussani ma una “specializzazione” interna della GIAC già attiva nei primi anni del dopoguerra) e poi sfociata nel movimento di Comunione e Liberazione. Anche qui il motivo non era politico ma educativo: da parte di Lazzati si temeva come la forte impostazione leaderistica su cui Giussani imperniava la sua peculiare pedagogia, unita   alla logica quasi settaria con cui il gruppo che faceva capo al prete di Desio si poneva, venisse di fatto a costituire una forma di Chiesa parallela rispetto a quella locale che si riconosceva intorno al suo Vescovo, senza peraltro riuscire a creare delle vere coscienze di credenti ma dei semplici militanti da attivare a comando. In effetti, le cronache odierne –quelle di queste ore- ci dicono come tale modello non sia ancora uscito dalla mente di una Gerarchia ecclesiastica che crede di essere moderna perché insegue la logica del marketing e dei grandi numeri.

5. Il terzo aspetto è quello universitario: è chiaro ed evidente come Lazzati concepisse l’ insegnamento, specie quello della sua particolarissima materia, la letteratura cristiana antica, come parte integrante del suo ministero di apostolato, ed è altrettanto chiaro che lo intendeva non come un mestiere ma come una professione nel senso del beruf  weberiano. La lettura dei documenti relativi al suo concorso non è esattamente edificante, poiché fa vedere come la tradizionale logica baronale venga ad intrecciarsi con quella politica e con quella clericale, fra le velleità vendicative di padre Gemelli, ancora scottato dalla vicenda dei Missionari, la solidarietà piena di don Michele Pellegrino e quella un po’ vacillante di Ezio Franceschini preside della Facoltà di Lettere dell’ UC, l’ interessamento di mons. Montini e la difficoltà ad accreditare lo statuto epistemologico di una materia di insegnamento che molti baroni, condizionati da un certo pregiudizio anticattolico, non consideravano come facente a pieno titolo parte dell’ insieme delle materie letterarie. Senza entrare nello specifico, se è fuor di dubbio che Lazzati aveva i pieni titoli per poter aspirare ad ottenere la successione del suo maestro don Paolo Ubaldi, è altrettanto fuor di dubbio che il campionario di meschinerie che emerge dalla documentazione raccolta dai nostri autori  è tale da delineare in modo preciso come la figura del Professore superi di parecchie spanne quella di tutti gli altri comprimari, a testimonianza di un metodo che non è mai venuto meno. Più interessante è soffermarsi sul periodo delle sue maggiori responsabilità prima come Preside di Facoltà e poi come Rettore. Padre Gemelli era morto dopo quasi quarant’anni di guida che eufemisticamente si può definire autoritaria prefigurando in qualche modo la successione dell’ economista Francesco Vito (personalità contraddittoria e gravata da non lievi sospetti di conflitto d’ interessi) ma senza chiarire in quale quadro i suoi successori avrebbero dovuto guidare l’ UC nelle difficoltà derivanti dal rapporto con il mondo accademico, la burocrazia ministeriale e quella vaticana rimanendo fedeli anche al dovere della ricerca scientifica. Lazzati, pur nel pieno della contestazione studentesca, cercò di delineare qualche risposta prima partecipando alla necessari estromissione di Vito e alla sua successione con Franceschini, poi assumendo in prima persona la guida dell’ UC. Certo, non si può dire che il Professore abbia compreso fino in fondo le ragioni della contestazione, e certamente non ne condivise gli esiti di contestazione globale del sistema socio- politico ed ecclesiale cui egli stesso apparteneva: cercava però di inserirla nel contesto generale di un cambiamento che egli sentiva, e di cui del resto il Concilio Vaticano II era stato il momento più alto in termini ecclesiali. Diciamo quindi che lo sforzo di Lazzati come Rettore fu duplice: da un lato quello di fare della Cattolica un laboratorio avanzato di ricerca e una fucina di idee cristianamente ispirata ma nello stesso tempo capace di promuovere l’autonomia laicale, dall’ altro di farne uno dei luoghi privilegiati del recepimento del dettato conciliare in un contesto ecclesiale largamente arretrato come quello italiano. Da qui, ad esempio, alcune particolari suggestioni, come quelle degli Incontri di studio dedicati alla ricerca e all’ interpretazione dei segni dei tempi nelle più pressanti vicende sociali e culturali dell’ epoca, piuttosto che quella di una Facoltà di Teologia che fosse svincolata rispetto a quelle di obbedienza pontificia, venendo a colmare una lacuna nell’ assetto complessivo dei saperi universitari che risaliva addirittura all’ Unità d’ Italia. Iniziative che non mancarono di suscitare gravi dissensi, e che addirittura vennero spesso stroncate sul nascere dal desiderio della Curia vaticana di mantenere uno stretto controllo sull’ unica università cattolica d’ Italia e sull’ insegnamento della teologia, come pure dal misoneismo delle Chiese locali italiane, a partire da quella milanese, che non aveva all’epoca (e non l’avrebbe avuta fino al 1980) una guida pastorale adeguata. Si potrebbe dire che le difficoltà incontrate da Lazzati furono in qualche modo simili a quelle riscontrate cent’anni prima da Newman quando tentò, nell’incomprensione dell’ episcopato locale, a dar vita ad un’ Università cattolica in Irlanda, a riprova del fatto che la tanto richiamata alleanza fra fede e ragione viene troppo spesso intesa come la sottomissione dell’ una all’ altra, riducendola a sua volta a puro e semplice intervento autoritativo. In ogni caso, anche l’ amaro declino e le circostanze in cui gli venne inflitta l’ umiliazione finale dell’ estromissione dal Rettorato nel 1983 furono la conseguenza dell’ incomprensione da parte di burocrati dell’ accademia e del presbiterio nei confronti di un uomo autenticamente fedele perché autenticamente libero. D’altro canto, la riprova di quanto tali misure alla lunga non paghino sta nell’ attuale, riconosciuta  insignificanza scientifica ecclesiale dell’ UC dopo vent’ anni di clericalismo in dosi da cavallo.

6. Il quarto aspetto infine è quello politico, ossia quello attinente alla meno amata delle obbedienze cui Lazzati dovette rispondere nel corso della sua vita. In effetti, egli rimase molto legato, e non solo per motivi sentimentali,alla fase di quella che Dossetti chiamava “la ricerca costituente”: In essa lui, che aveva partecipato alla Resistenza nella forma peculiare di militare internato in Germania per non aver voluto aderire alla Repubblica di Salò, aveva trovato la possibilità concreta di una collaborazione fra persone provenienti da culture e fedi diverse intorno ad una nuova modalità di convivenza che desse avvio ad un modello avanzato di democrazia. Nello stesso tempo, partecipando attivamente al gruppo dossettiano, egli ne  condivise le scelte fondamentali soprattutto in ordine alla questione del rapporto fra fede e politica, come dimostrò nel 1948 con il famoso articolo “Azione cattolica ed azione politica” che segna oggettivamente uno spartiacque  fra un clericalismo di tipo tradizionale cui tendeva allora la maggioranza dell’ ufficialità cattolica e una fase nuova, forse ancora imprecisa nel suo profilo ma capace di farsi carico del cambiamento in atto.

Credo però, e a Lazzati, nella sua innata modestia, questo sarebbe piaciuto, che il modo migliore di descrivere il suo approccio alla politica siano forse nelle parole di altri, che qui vado a riprodurre in due citazioni forse un po’ lunghe ma credo assai eloquenti.

La prima è di Dossetti, e risale al primo incontro “riservato” di Civitas Humana nei primi giorni del novembre 1946: “Quando il Papa ha nell’occasione delle elezioni per la costituente affermata la decisività di una determinata manifestazione politica imponendo per fede un certo voto dovendo poi constatare la necessità di non fare più conto sui 45 milioni di cattolici ma solo su 8, si pone un dubbio cruciale : di questi quanti sono veramente consapevoli e disinteressati, preoccupati più del Vangelo che della loro proprietà?” E più avanti: la situazione nella Chiesa italiana è contrassegnata da “mancanza di spirito di unità e di volontà di coordinazione, esasperazione dell’individualismo delle iniziative, rifiuto permanente di ogni esame sistematico dei vari problemi in contradditorio con tutti gli interessati, preferenza costante dei sudditi e accettazione da parte dei pastori del metodo delle influenze; affievolirsi complessivo del senso di responsabilità e di giusta autonomia dei capi delle diverse comunità; conformismo gerarchico; funzionalismo ecclesiastico”. Giustamente gli autori a questo proposito parlano di “inaudita parresia”. Inaudita, certo, per il 1946: ma non forse anche per il 2007 ?

La seconda citazione risale a pochi giorni fa, ad un articolo sulla “Stampa” di Enzo Bianchi, un uomo che ha assorbito non poco la lezione di Lazzati e dei suoi amici: “La mia generazione di cattolici ha imparato con fatica e con uno sforzo di obbedienza leale che il dialogo con i non cristiani era urgente e apparteneva allo stile evangelico dello stare nel mondo e nella compagnia degli uomini; ha imparato che occorreva vivere con intelligenza e responsabilità il ‘dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio’, accogliendo una giusta laicità che garantisse a tutti la libertà religiosa e permettesse alle religioni di esprimersi pubblicamente; ha imparato che ai cristiani era chiesto di assumere la misericordia, l’accoglienza , la compassione come abiti evangelici.” E ancora: “C’ è una differenza cristiana che fa sì che la relazione tra religione e politica non sia mai risolta una volta per tutte, né si assesti in una staticità immutabile, anche perché la frontiera tra spirituale e temporale non è mai netta: esisterà sempre una tensione fra il vissuto concreto di una spiritualità e l’ ideale che anima ogni opzione temporale”

Anche queste parole sono parte del lascito di Giuseppe Lazzati.

Trascrizione della relazione di Alessandro Parola

Ringrazio gli organizzatori di questi incontri per l’invito che Marcello Malpensa ed io abbiamo accolto con sorpresa e gratitudine.

Con sorpresa perché figuriamo in un elenco di nomi ricco e prestigioso, con gratitudine per l’interesse mostrato per il nostro lavoro.

Ciò che conta è l’oggetto della nostra ricerca, l’importanza del personaggio; gli autori del libro non sono che due studiosi di storia, che cercano di fare il loro mestiere e che si sono lanciati in una impresa da cui hanno ricevuto più di quanto abbiano dato .

Abbiamo accolto l’invito convinti che fosse importante tenere desta l’attenzione sul pensiero politico di Giuseppe Lazzati e cercare di rivisitarne alcuni aspetti per intuirne la portata alla luce dei fatti di oggi.

La presentazione del libro vuole essere soprattutto una chiacchierata che permetta un approccio agevole e gradevole al contenuto e lasci un congruo spazio al dibattito e alle richieste di approfondimento.

Dall’uscita del libro sono ormai passati due anni; nel frattempo ci sono state altre pubblicazioni( ad es. gli atti di un convegno tenutosi alla Università Cattolica di Milano su “Fede e cultura in G.Lazzati”) che hanno apportato ulteriori contributi alla conoscenza del pensiero e dell’opera di G.L.

Ragioni di una biografia

Il libro vuole essere una biografia. E’ importante dire come nasce una biografia.

Perdonerete se il taglio che darò a questo mio intervento sarà quello dello storico, di chi si defila da domande o giochi che possono essere ingannevoli, come ad es. cosa è vivo e cosa è morto di questo personaggio, di questo o quel filone di pensiero, che cosa direbbe se fosse ancora in vita, ecc.

Il nostro mestiere di storici è ricostruire nel loro contesto storico, geografico, ecc. i fatti come sono accaduti.

Ciò non toglie che poi, ci si possa fare delle domande ed essere curiosamente interessati a ciò che avrebbe detto Lazzati rispetto all’attuale congiuntura storico- politica o storico-ecclesiale; ma si tratta di supposizioni , di un gioco cui lo storico fatica a partecipare.

Quando nasce l’esigenza di una biografia di Giuseppe Lazzati? Tra pochi giorni, il 18/5 cade l’anniversario della sua morte( 1986). In estate cadrà il ventesimo anniversario dell’iniziativa condotta dall’Istituto per le Scienze Religiose, diretto da Giuseppe Alberigo e sostenuto da altri amici di Milano che aveva lo scopo di preservare la figura di Lazzati.Perchè questa esigenza?

Che cosa era successo in quell’estate del 1986? Molti di voi lo ricorderanno: il settimanale di Comunione e Liberazione, “Il Sabato”, nel rivisitare con una serie di puntate, la storia del cattolicesimo degli ultimi anni, aveva definito G.Lazzati sostanzialmente un protestante.

Si trattava di un attacco forte che provocò una decisa reazione anche perché “Il Sabato” non si limitava a tale definizione, ma considerava Lazzati l’ispiratore del fronte dei “cattolici del no”rispetto alla questione del divorzio.

Allora l’associazione” Rosa Bianca”si costituì parte civile perché fosse ristabilita la verità di fronte a una lettura distorta e fuorviante della figura di G.Lazzati. Si erano scatenate infatti una campagna denigratoria e delle manovre sottobanco che fecero pensare a qualcuno che il vero obiettivo di tante trame e intrighi fosse il cardinale di Milano Carlo Maria Martini.

L’Istituto delle Scienze Religiose di Bologna decise allora di preservare la figura di Lazzati partendo dalla raccolta sistematica dei documenti prodotti dalla sua ricca e varia attività, coadiuvato in questa opera dall’Istituto Secolare Cristo Re che era ed è tuttora l’esecutore testamentario di Lazzati, oltre, evidentemente, alla sua famiglia.Si cercò così di costruire un archivio con tutte le  carte personali di Lazzati; impresa non molto complicata ,giacchè a differenza di G.Dossetti, egli ha lasciato più di 17.000 documenti.

Sono state così archiviate e catalogate sapientemente unità documentarie che si trovano in via Strabella a Milano e che costituiscono una preziosa miniera di informazioni.

Come nasce la biografia

La biografia nasce dunque dall’esigenza di preservarne la figura, la testimonianza attraverso la conservazione di documenti avvalendosi delle più moderne tecnologie.

Marcello Malpensa ed io, arrivati alla fine di questo processo di ordinamento dell’archivio, alla fine degli anni ’90, abbiamo voluto cimentarci in questa impresa pur non appartenendo alla generazione dei testimoni oculari e non avendo condiviso storie e speranze di quella stagione

Ci siamo trasferiti a Milano quasi in pianta stabile dividendoci i compiti: Marcello impegnato ad affinare ulteriormente gli strumenti archivistici già a disposizione in via Strabella e all’archivio Lazzati, io ad andare a bussare ad altre porte  per ampliare il panorama di conoscenze e informazioni, data anche la ricchezza delle attività e dei contatti di G.L.

Ho provato dunque a bussare all’Università Cattolica, favorito dalla presenza, come rettore, di Sergio Zaninelli, che era stato prorettore ai tempi di G.Lazzati e che mi ha aperto gli archivi permettendomi la consultazione e il riordino di materiale notevole.

Si è trattato di una sorta di scambio: mi impegnavo a riordinare la documentazione presente in archivio, dal ’68 all’83, avendo in cambio la possibilità di consultare quelle carte in una condizione di privilegio. Sono stato il primo ad avere avuto accesso ad esse.

La stessa situazione favorevole ho riscontrato riguardo all’archivio della diocesi di Milano: il cardinale Carlo Maria Martini mostrò disponibilità e benevolenza aprendoci l’archivio della Curia Diocesana dove ho potuto consultare con agio anche le carte dell’arcivescovo Giovanni Colombo, predecessore di C.M.Martini, arrivando così fino agli anni ‘80. Tutto ciò costituiva un fatto eccezionale giacchè per uno storico che si occupa di argomenti contemporanei vale la regola che devono passare 75 anni prima di poter utilizzare documenti di carattere ecclesiastico.

Ci sono tuttavia delle deroghe, per es. quando si tratta di raccogliere materiale utile per i processi di beatificazione. Certo si trattava di una apertura alla consultazione dei documenti limitata, concessa con oculatezza: per es. i documenti che riguardavano il cardinale G.Colombo venivano prima letti dall’addetto all’archivio, il quale dava poi il via libera per l’utilizzo.

Anche l’accesso all’archivio dell’Azione Cattolica che ha sede a Roma, non ha incontrato ostacoli, anche perché si trattava di un  protagonista della sua storia, il cui pensiero e la cui attività sono oggi oggetto di interesse, di rivisitazione e valorizzazione.

Quindi la biografia nasce grazie alla disponibilità di tante persone e istituzioni.

Ci sono state però anche delle riserve e il Prof.Alberigo l’ha sottolineato nella prefazione al libro.

Riserve dovute alle tante interpretazioni, alle tante eredità lasciate dal personaggio e di cui      ciascuna istituzione si ritiene custode o privilegiato interprete e valorizzatore.

Le eredità

C’è l’eredità dell’Università Cattolica, quella dell’Istituto Secolare, dell’Azione Cattolica; tante sfaccettature di una personalità ricca e complessa. A questo proposito mi paiono efficaci le parole del cardinale Martini il quale, a proposito di Lazzati affermò che la sua figura è fatta si di tanti aspetti, ma proprio per questo è come un diamante che solo nella sua completezza brilla.

Per questo la biografia ha cercato di raccogliere tutte queste eredità senza legarsi ad una di esse.

Non ultima per importanza è quella dell’Istituto delle Scienze Religiose di Bologna, nato negli anni ’50. E’ un’idea di Dossetti che si ritira dalla politica per dare un contributo alla riforma della chiesa sul piano culturale. Ricordo a questo proposito un episodio molto interessante riportato dal libro di Pino Trotta su Dossetti: quest’ultimo va dal padre per chiedere la sua approvazione circa la sua decisione di dimettersi da deputato e il genitore che ne capisce l’intenzione gli dice:” non sei riuscito a fare la rivoluzione nello stato e ora vuoi farla nella chiesa”.

Tornato a Bologna Dossetti crea questo Centro di Documentazione, questo è il suo nome nei primi anni e coinvolge anche Lazzati. Tra l’altro sono anche gli anni in cui Dossetti fa parte dell’Istituto Secolare di Lazzati.

I luoghi e le storie

Abbiamo cercato anche di fare una ricostruzione storica a partire dai luoghi.

Milano città è diocesi ed è centrale.

La biografia ha anche altre storie che si intrecciano all’interno della storia principale, cioè la vita e le opere di Lazzati. Una è quella della Milano agli inizi del ‘900: senza di essa non si capirebbe la formazione di Lazzati.

C’è poi la storia dell’Università Cattolica: Lazzati vi entra a 17 anni e vi rimane fino all’83, ma  continuerà a sentire di farne parte sempre. Sarà come un filo rosso nella sua vita. Rimarrà nell’Istituto Toniolo. Quando l’”Espresso”, nell’84, pubblica un’inchiesta in cui si paventa l’ipotesi che l’Opus Dei possa salvare l’Università Cattolica dal crack finanziario, Lazzati interviene , scrive a vescovi e cardinali per esortare a rifiutare nettamente questa soluzione che , secondo lui, avrebbe significato la morte dell’università.

Marcello Malpensa ha curatola prima parte della vita di Lazzati , fino al 1941. Io ho preso il testimone dal ’41 al 1986. Egli perciò traccia un quadro chiaro  del contesto generale in cui avviene la formazione di Lazzati: la Milano di quegli anni, i suoi luoghi, i suoi spazi.

Ci ricorda ad es. la singolare scuola di Religione indicata come Associazione Studentesca Santo Stanislao in cui si formò Lazzati. Una educazione cattolica rigorosa, tipica della Milano degli inizi del ‘900. Lazzati stesso amava ricordare che fin dall’età di 5 anni accompagnava ogni giorno la madre nella chiesa di San Gottardo al Corso.

Nel 1920 si iscriveva al ginnasio-liceo Cesare Beccaria e contemporaneamente all’Associazione per Studenti Santo Stanislao nella quale un peso determinante ebbe la figura del catechista.

Incontri, tappe che segnano e modellano il giovane Lazzati Tra questi quello con don Ettore Pozzoni che individuerà in lui un giovane dotato di carisma , elemento importante da introdurre nella neonata Gioventù Italiana di Azione Cattolica, la GIAC degli anni 30.

La decennale appartenenza all’Associazione Studentesca Santo Stanislao ( a metà tra Azione Cattolica e oratorio) è importante per la definizione della sua formazione: è qui che conosce la figura di Don Bosco , è qui che viene coltivata e promossa la sua intelligenza. E’qui che apprende l’importanza fondamentale della costituzione di èlites intellettuali capaci di guidare, di essere leaders. Questa filosofia sarà presente anche all’Università Cattolica, dove Gemelli pensa ai Missionari della Regalità, un gruppo scelto cui affidare la conduzione dell’ateneo.

Padre Gemelli sapeva che l’Università avrebbe accolto un numero sempre più grande di studenti ed era quindi necessario promuovere la formazione di élites che fossero capaci di indirizzarli e guidarli: erano i Missionari della Regalità, laici che seguivano il vangelo e custodivano nel segreto la loro missione.

C’è tutta una letteratura su questo tema: la “fioritura dei gigli” di cui parla monsignor Francesco Oliati, altro importante maestro di Lazzati e direttore spirituale di molti giovani dell’Università Cattolica. E’ l’idea per cui bisogna essere dei gigli che si fanno notare per il loro profumo e non per la loro bellezza, quindi per qualcosa di presente ma di impercettibile.

Lazzati è contaminato da tutte queste idee nel suo percorso di formazione e ritroverà nei “Missionari della Regalità”lo sviluppo e il compimento di quanto seminato dall’Associazione Studentesca Santo Stanislao. E’ qui che impara qualcosa che farà poi per tutta la vita: la pratica degli esercizi spirituali. Ricavare, almeno una volta all’anno uno spazio, un’oasi spirituale in cui riprendere in mano la propria vita, è un’abitudine che risale agli anni dell’adolescenza.

Il metodo con cui fa gli esercizi è tipicamente ignaziano: attenzione ai temi morali, rigorosa fedeltà alle pratiche religiose, centralità della purezza.

Tutto questo si concilia con il periodo in cui vive. Siamo agli inizi del ventennio, prevale una pedagogia di carattere nazionalista fortemente propugnata a livello centrale da uno stato- nazione

che comincia a  controllare sempre di più anche la condotta privata dei cittadini e cerca in qualche modo, in una sorta di alleanza con la chiesa, di condurre delle vere e proprie battaglie di moralità

in difesa della famiglia , ecc.

L’Università Cattolica e gli incontri importanti..

Lazzati è affascinato dalla figura di Padre Gemelli, ma sono altri i personaggi che lo spingono ad iscriversi.

Nel 1926, a Milano, si celebra un evento ecclesiale importante: il Congresso Nazionale della Regalità di Cristo, organizzato dall’Università Cattolica. Un evento che senza impiegare grandi mezzi , vede la partecipazione spontanea di molta gente e permette a tanti giovani di ascoltare alcuni dei personaggi  più in vista dell’epoca per ciò che riguarda il movimento cattolico: oltre a Gemelli, Giulio Salvatori e Vico Necchi.

Lazzati negli appunti che abbiamo ritrovato, dice di essere profondamente colpito da queste due ultime figure: due laici che mettono a disposizione il proprio sapere. G.Salvadori è un poeta, un letterato, V.Necchi è un medico. Essi mettono a disposizione la propria conoscenza per la battaglia a favore della cultura cattolica; sottolineo l’uso di questi termini perché essi fanno parte del lessico del tempo. Si trattava di promuovere una forte identità culturale cattolica poiché a un cattolico impegnato era richiesta una partecipazione personale alla  “battaglia”.

Nel 1927, a seguito di tale Congresso, Lazzati decide di iscriversi all’Università Cattolica, Facoltà di Lettere e Filosofia. Questo periodo è segnato anche da tristi vicende familiari: nel ’27 muore il fratello Paolo di 20 anni , di lì a due anni muore il padre a soli 50 anni. Lazzati è colpito così profondamente che parlerà sempre con una certa ritrosia di quegli anni e di quelle esperienze dolorose che certo furono un ostacolo non facile da superare per il suo impegno all’esterno.

Egli comincia a frequentare quasi ogni sera circoli di cultura cattolica  e quando entrerà nell’Azione Cattolica e i suoi impegni aumenteranno in modo considerevole esprimerà in tutta la sua attività ciò che il cardinale Martini, con parole efficaci, ha definito un atteggiamento di “cauto pessimismo”: la vita, cioè, ti porta a fare esperienze laceranti e dolorose e il conforto degli affetti familiari non può colmare le domande di senso che l’uomo in quanto tale, si pone.

Tutto questo è importante per capire la scelta di Lazzati  nel 1931: la consacrazione laicale, la scelta netta e definitiva di non farsi una famiglia.

Prima di entrare nei Missionari della Regalità egli compie il percorso di studi universitari e frequenta le lezioni di G.Salvadori che scompare improvvisamente dopo due anni lasciando in L. un desiderio inappagato di approfondimento della letteratura religiosa di cui Salvadori era un notevole conoscitore( es. Jacopone da Todi, letteratura francescana, ecc. ). Venendo a mancare un maestro così importante, L.  sceglie di approfondire altri studi e segue le lezioni del Prof. Paolo Ubaldi che è docente di Letteratura Cristiana Antica.

Può essere utile approfondire questa scelta di L  che per tutta la vita ha cercato di conciliare, senza riuscirvi, il bisogno della ricerca scientifica con la mole di impegni e attività in cui era costantemente coinvolto. Egli aveva intuito insieme a Michele Pellegrino l’importanza dello studio della letteratura cristiana antica che in quegli anni, ’20 e 30, aveva una sua ragion d’essere nel panorama delle discipline dell’Università Cattolica.

L’Università Statale non aveva individuato le ragioni scientifiche di un tale studio,   perché si dovesse affrontare la letteratura greca o latina da un punto di vista cristiano; la motivazione di una tale scelta appariva di tipo confessionale. Lazzati, invece, e soprattutto M.Pellegrino e don Paolo Balbi con rigoroso metodo scientifico riescono a dimostrare che l’avvento del Cristianesimo ha una tale portata culturale da influenzare e condizionare anche l’arte, la poesia, la letteratura. Non si trattava di contrapporre autori cristiani ad autori laici( es. Ambrogio a Quintiliano o Cicerone), ma di analizzare il dialogo tra queste due culture.

L’incontro con M.Pellegrino è importante e evidenzia quanto precoce sia stata l’esigenza in Lazzati di individuare il terreno di mediazione tra Cristianesimo e cultura.

Ritengo che, proprio questo incontro per altro marginale rispetto all’impegno che richiedeva la sua attività nell’Azione Cattolica, ponga in lui la necessità di studiare storicamente gli effetti e le modalità dell’influenza di un evento di importanza fondamentale come il Cristianesimo. Si trattava di uno studio che aveva anche intenti pratici, utilitaristici: riandare ai primi tre secoli della storia del cristianesimo e delle chiese, era un esercizio virtuoso di pluralismo perché i primi tre secoli di cristianesimo sono secoli pluralisti, dove esistono le chiese; l’accentramento romano è successivo.

Andare a vedere il contesto in cui il cristianesimo s’incarna in Africa( diverso da quello dell’Asia Minore), le sue specificità, è un esercizio che sviluppa un’attenzione e un’attitudine a capire che anche il mondo cristiano è animato da tante correnti.

Credo che questo sia il dato più significativo della sua frequentazione dell’Università Cattolica negli anni ’30. Dopo la laurea rimane in università. Fa il militare come d’obbligo, è tenente degli alpini e questa esperienza gli fornisce una strumentazione di carattere catechetico ( necessità dell’ascesa, significato dell’andare in montagna, ecc.). Della montagna parla ai giovani dell’Azione Cattolica, della disciplina che essa richiede e che trasferita sul piano dell’ascesa spirituale, fornisce non pochi esempi.

Rapporto con il fascismo

Per completare la ricostruzione della sua biografia non potevamo tralasciare l’aspetto relativo alla questione della contiguità tra Università Cattolica e fascismo. Come era stata vissuta da Lazzati? E’ una pagina delicata.

Occorreva verificare attraverso l’archivio dell’Università se L., adeguandosi al comportamento di gran parte del mondo accademico del tempo, avesse fatto il giuramento fascista.

In Italia furono solo 12 i docenti universitari che si rifiutarono di farlo. Va ricordato il bel libro di Giorgio Boatti “Preferirei di no” che traccia la storia delle loro vicende.

Dagli archivi dell’Università risulta che solo tre docenti si rifiutarono e non vi figura il nome di Lazzati. Padre Gemelli aveva chiesto a tutti di fare questo atto:  qualcuno si mostrò solerte, per un’adesione convinta e lo fece già nel ’26-27, altri, tra cui Lazzati, lo fecero nel ’39. La cosa ha per noi una certa rilevanza.

Tale richiesta di giuramento giunge a L. nel ’39 quando consegue la libera docenza per l’insegnamento. Gemelli lo convoca e L. giura, in quel momento per lui insegnare è l’unica fonte di reddito; ci  siamo chiesti  se la sua sia stata un’adesione convinta o strumentale.

Il discorso va inserito in un contesto generale la cui ricostruzione, nonostante gli studi di Maria Bocci sul rapporto tra Università Cattolica e fascismo, è ancora incompleta. Schematizzando M.Bocci sostiene che Padre Gemelli sia stato un opportunista e non un fascista convinto: abbia cioè accettato di compiere una serie di atti formali graditi al regime pur di garantire spazio alla sua Università e di rafforzarla. Altri studiosi invece sostengono che l’adesione di Gemelli sia stata sostenuta da una convinzione fervorosa almeno fino al ’39.

D’altra parte un  certo antisemitismo è fatto ormai evidente nella biografia di Gemelli. E in quegli anni L’Università Cattolica è Padre Gemelli; non c’è, all’interno dell’università autonomia rispetto a ciò che pensa il rettore, è lui che detta la linea e bisogna adeguarsi.

Quindi, un conto è Dossetti che ha rapporti sporadici con l’Università Cattolica( l’ha messo bene in evidenza Galavotti nel suolibro sulla formazione giovanile di Dossetti il quale è legato al contesto reggiano e rifiuta il giuramento), un conto è chi vive ed opera a Milano e ha un contatto quotidianoconl’Università e tutte le attività che la collegano all’esterno. Gemelli, infatti, cercava di controllare anche l’Azione Cattolica e tutto ciò che riguardava la diocesi diMilano.

Lazzati, quindi,non dispone di una completa autonomia di giudizio in questi anni, se la formerà durante la guerra e con l’esperienza dei lager. Egli legge tale esperienza come catastrofe e imprescindibile bisogno di ricostruzione fisica e morale grazie anche a incontri che si svolgono il venerdì sera  in casa Padovani dal ’41 in poi.

Dal ’43, dopo l’8 settembre, è internato militare. Viene inviato ai campi di lavoro ed è qui che riflette sul ventennio. Quando torna dà alle stampe queste riflessioni che compaiono in un libretto: “Il fondamento di ogni ricostruzione” ed. Vita e Pensiero. Gemelli lo visiona senza eccessivo entusiasmo ritenendo di non grande interesse per l’Università il contenuto del libro.

In esso a un certo punto compare questa espressione di Lazzati.”Non si sarebbe giunti dove siamo se fossimo stati veri cristiani” E’ una critica implicita alla contiguità tra regime fascista e cattolicesimo. Lazzati non può denunciarlo in modo più aperto ed eclatante, ma è chiaro ciò che vuol dire: se fossimo stati veri cristiani non avremmo favorito certe esperienze.

Egli trasforma la dura prova della deportazione e della guerra in opportunità di fecondità spirituale, di conoscenza antropologica: è nel campo di lavoro insieme a tanti e diversi compagni di prigionia

che inizia tentativi di dialogo con culture ed esperienze differenti. Tra i compagni di prigionia c’è Alessandro Natta, futuro segretario del partito comunista. Insieme creano laboratori di formazione culturale e politica in cui già compaiono germi di quel dialogo che ritroveremo nell’esperienza costituente.

L’esperienza politica

Per queste considerazioni mi permetto di sostenere che in un certo senso l’impegno e l’esperienza politica di Lazzati nascono nei campi di prigionia. E’ qui che si rende conto della necessità, tornato in Italia, di ricostruire a partire da quel dialogo avviato con realtà tanto diverse. Certo un ruolo di fondamentale importanza ha in tutto questo la sua ricondotto a formulare, direi,storicamente il scelta di fede. L’esperienza antropologica da lui vissuta  con spirito di solidarietà e collaborazione nella lotta per la sopravvivenza nei due anni di deportazione è ciò che gli fa prendere le distanze dal progetto gemelliano, quello della costruzione di una élite intellettuale cattolica che predetermini l’orientamento delle masse . Occorre invece partire dall’esperienza viva e .concreta degli uomini. Credo che la  sua esperienza politica  si fondi tutta su questa riflessione. Egli fu politico suo malgrado e forse più democristiano suo malgrado che politico suo malgrado e affermo questo sostenuto dal ritrovamento di una sua lettera a Dolcini( membro dell’Istituto Secolare) del 1954. Ne riporto un passo: “L’esperienza politica mi ha ricondotto a formulare il giudizio che in sede teoretica avevo formulato fin dal 1943: la non validità storica della Democrazia Cristiana in ordine ai compiti che i cattolici oggi dovrebbero assumersi in politica. Non è il caso che io riesamini i motivi per cui ho partecipato alla esperienza della D.C.che del resto non ritengo per me del tutto negativa. Ma tu sai che, anche senza far chiasso, io sono però uscito dalla D.C. in forza della convinzione di cui ti ho detto e poiché quella convinzione non si attenua ma cresce in me, non intendo affatto tornare indietro.”.

E’ un giudizio che la dice lunga sul suo rapporto con il partito cattolico. Ci sono frammenti di scritti e testimonianze soprattutto degli anni ’80 di cui riporto alcune frasi tratte da un’intervista: “ al ritorno dai lager, il 31 Agosto, Dossetti mi telefona, mi dice che devo entrare nella D.C., gli rispondo che era diversa l’idea che avevamo coltivato  i venerdì sera a casa Padovani, idea che non era quella di una politica attiva, partitica. Perciò io  sono stato un politico mio malgrado, ho fatto parte della D.C. e sono stato fedele a quella stagione, ma è evidente che c’è  uno stacco tra quello che noi avevamo pensato di fare per la ricostruzione del paese e quello che l’urgenza del momento richiede”.Questa intervista viene rilasciata nel periodo in cui Fanfani, al Meeting di Comunione e Liberazione aveva affermato che  il dossettismo si poteva quasi paragonare  al Movimento Popolare di Formigoni. Tale affermazione scatenò un putiferio perché ritenuta da molti fuori luogo ed estemporanea.

Lazzati risponde in prima persona e chiede anche a Dossetti di attivarsi pubblicando i loro scritti degli anni 40, per rivendicare una diversità anche genetica del loro movimento rispetto ai “nipotini di Gedda” , con il rischio che questi ultimi possano finire per accreditarsi come gli eredi del dossettismo. Nell’intervista non dice esplicitamente che l’esperienza della D.C. cui rimane  fedele anche negli anni successivi, per lui è superata e vista criticamente dopo l’esperienza parlamentare. Ma lo si intuisce perché già nel ’48 non vuole ricandidarsi. Viene eletto all’Assemblea Costituente

Nel ’46, fa l’esperienza con Dossetti, Fanfani, La Pira, con i cosiddetti professorini, la Comunità del Porcellino, ecc.; non è nelle commissione dei 75 che scrive la Costituzione, ma partecipa molto attivamente alla sua revisione ; è critico nei confronti dell’esperienza del governo De Gasperi come tanti suoi compagni e pare già essere consapevole di essere chiamato ad occuparsi di altro: è più interessato ai temi della formazione politica che a quelli della produzione legislativa. Ciò lo si può anche dedurre osservando il suo apporto concreto in termini di proposte legislative tra il ’48 e il’53.

In tal senso i suoi interventi sono molto limitati ,ma è invece coinvolto da questioni di carattere culturale: ricordiamo lo scontro con Gedda e il suo no ai Comitati Civici (sostiene siano stati un’opera di ingegneria elettorale e  che ora non ha più senso confondere azione cattolica e azione politica). Negli anni ’46-47 si occupa delle  missioni religioso-sociali istituite dalla gerarchia  nel momento in cui avverte il pericolo comunista . Erano strumento di propaganda efficace soprattutto nelle periferie del paese, al sud in particolare. Quando Lazzati si rende conto che la loro esistenza è tutta in funzione della battaglia del 18 Aprile, si pronuncia per la loro chiusura, rifiuta  di assumersi la responsabilità di promuovere e sostenere tale propaganda attraverso la formazione di quadri a livello centrale.

C’è sempre in lui l’esigenza di salvaguardare l’azione politica che va fatta da cristiani, in questo ispirandosi a Maritain.  Con questo approccio vive tutta la stagione politica fino al ’53 e la lettera del ’54 è significativa perché esprime il bilancio di una esperienza che intende lasciarsi alle spalle.

Fine dell’esperienza politica e rientro a Milano 1954

Nel ’54 ritorna a Milano e per lui significa tornare all’Università Cattolica . Lo shock è quasi pari a quello avuto al ritorno dai lager, quando si trovò nel pieno della tempesta epurativa in atto all’università: si trattava allora di  stabilire le responsabilità di Gemelli in quanto rettore circa l’adesione al fascismo. Era un processo che riguardava tutte le università, tutti i rettori erano stati sospesi, solo Gemelli era riuscito a non farsi sospendere ; prima che arrivasse il provvedimento di sospensione si era dato ammalato e si era rifugiato a Castelnuovo Fogliani, vicino Piacenza,  da dove  controllava ugualmente tutto lasciando come prorettore Franceschini, il quale aveva partecipato alla Resistenza e costituiva un po’ un’immagine riparatrice. Nasce anche, in questo periodo, una “letteratura resistenziale” intorno all’Università Cattolica e il processo epurativo, grazie all’amnistia di Togliatti finisce a “tarallucci e vino”. Anche Lazzati viene strumentalizzato, utilizzato: viene presentato come icona di una certa Resistenza, essendo l’unico professore ad essere stato deportato. Fanfani,infatti, aveva trovato rifugio in Svizzera.

Il suo rientro all’Università, quindi, nel ’46, presenta aspetti diversi da quello del ’54, dopo la sua esperienza politica.

Nel ’54 Lazzati rientra e ha bisogno di una cattedra, giacchè il rischio era quello di restare precario a lungo nell’università; ma incontra un forte ostruzionismo da parte di Padre Gemelli che non dimentica le sue posizioni assai critiche nei confronti dei Missionari della Regalità nel ’39.

Va detto che il cardinale Schuster aveva incoraggiato Lazzati a intraprendere altre strade riguardo a questo tema ed egli aveva allora fondato l’Istituto dei Milites Christi che prende il nome di “ Secolare Cristo Re” negli anni ’60 e che esiste ancora.

Gemelli aveva sempre sperato nella ricomposizione di tale frattura anche perché Lazzati era sostenuto  dagli elementi migliori che lo seguono in 12 quando fonda “Cristo Re”. Altri lo seguiranno in numero maggiore nel ’39. Anche Dossetti  abbandona l’Istituto dei Missionari della Regalità, ma non aderisce subito a quello di L.

L’arrivo di Montini a Milano è per Gemelli l’occasione giusta per  spiegare al futuro papa che quella di L. era un’esperienza nata da un colpo di testa anche se avallata dal cardinale Schuster,

che non vi erano ragioni sostanziali per una divisione e che sperava in una ricomposizione. Infatti il primo incontro tra Montini e Lazzati ha come tema  il suo “Istituto Secolare Cristo Re”( risulta dagli archivi dell’arcivescovado). Montini raccoglie le necessarie informazioni spinto anche dalla esigenza di capire  e Lazzati ha l’opportunità di chiarire il suo pensiero, di parlare anche del sostegno dato alla sua esperienza dal cardinale Schuster. Esperienza che nasce nel ’39 ed è messa a dura prova nel momento in cui Lazzati è deportato: il gruppo rimane sostanzialmente senza guida nonostante egli anche dai campi di lavoro coatto cerchi di tenere una corrispondenza e di incoraggiare e sostenere l’esperienza.

Le differenze tra Gemelli e Lazzati erano nette e Gemelli non permetterà che Lazzati ottenga la cattedra presso l’Università Cattolica. Egli la otterrà all’università di Bari, grazie all’appoggio del cardinale Pellegrino solo nel ’59. Da Bari poi riuscirà a tornare a Milano, alla Cattolica dove occuperà la cattedra di Letteratura Cristiana Antica.

Montini intuisce fin dall’inizio che Lazzati ha capacità carismatiche, formative superiori alla media e lo impiega in diverse diaconie, in diversi servizi per la chiesa ambrosiana: lo fa subito presidente dei laureati cattolici milanesi, gli affida la rifondazione dell’Istituto Sociale Ambrosiano. Capisce anche la disponibilità profonda di Lazzati, il senso dell’obbedienza, comune anche ad altri personaggi di quell’ambiente come Dossetti.

Ma l’impegno più oneroso che Montini gli chiede è la direzione del quotidiano “L’Italia”.

Siamo nel 1961 e se ne chiedeva il cambio di direzione già da tempo poiché la sua linea era troppo schiacciata sulle posizioni degli ambienti più conservatori della diocesi ambrosiana( Ernesto Pisoni, il direttore, e l’amministratore monsignor Bicchierai si erano strettamente legati alle vicende anche personali di Luigi Gedda). Montini trova il coraggio di fare un po’ di pulizia e affida a Lazzati il gravoso incarico. Egli scrive a Fanfani:” ancora una volta ho chinatola testa “ Questa frase la dice lunga sull’entusiasmo con cui accetta l’incarico; egli non è un giornalista , fare il direttore significava inoltre seppellirsi in Piazza Duca D’Aosta dove era la sede del quotidiano; si trattava poi di cambiare una linea editoriale e avere quindi una capacità intuitiva, profetica, di individuare testimonianze efficaci in quell’ora della storia.

Siamo negli anni in cui Aldo Moro intuisce che è arrivata la stagione di   battere strade nuove. Lazzati sposa pienamente la causa di Aldo Moro e del centro-sinistra, scontrandosi fortemente con resistenze anche interne e scommettendo su  una generazione nuova di giornalisti. Introduce nel giornale un gruppo nuovo di collaboratori i cui nomi oggi possono anche sorprenderci: Franco Bassanini, Valerio Onida, Sergio Zaninelli, Gian giacomoMigone.

Lazzati investe sui giovani e a quell’epoca è cosa molto coraggiosa. Affida per es. a Ruggero Orfei tutta la parte dei commenti politici. Ne avrà in cambio forti dissensi all’interno e valanghe di disdette di abbonamenti poiché i lettori avvertono il cambio di linea del giornale. Confindustria abbandona completamente il giornale al suo destino e l’amministratore delelegato,monsignor Bicchierai che è rimasto, conduce una guerra intestina accanita. Questa esperienza che dura tre anni debilita anche fisicamente Lazzati che si ammala . E’ la madre a scrivere a Montini prima come arcivescovo poi come papa, per chiedergli di liberarlo dall’incarico. Lazzati non lo avrebbe mai fatto personalmente e direttamente.

Accenno soltanto ad alcuni fatti importanti di questi anni, molto brevemente, per lasciare spazio al dibattito.

Siamo poi nella stagione del Concilio che Lazzati segue come direttore del quotidiano “L’Italia”comprendendo che sta avvenendo qualcosa di radicalmente nuovo all’interno della chiesa. Insieme a Raniero La Valle che è il direttore dell’”Avvenire d’Italia” invia dei giornalisti a seguire i lavori conciliari; Carlo Zizzola è il corrispondente dal Concilio. “L’Italia” dà ampio spazio ai commenti del cardinale Montini, poi PaoloVI.

Gli anni ’60 sono caratterizzati da due impegni importanti: liberato dall’impegno come direttore del quotidiano, è nominato dal cardinale Colombo, successore di Montini, Presidente dell’Azione Cattolica: il compito è ora quello di rigenerare l’A.C.. E’ coadiuvato da Bachelet e Costa.

Nel frattempo è avviato anche un ripensamento delle funzioni dell’Università Cattolica con un ricambio ai suoi vertici. Si assiste a una progressiva rivalutazione del suo operato all’interno dell’ateneo e nel 1968, quando Franceschini lascia il rettorato anche per motivi di salute, è nominato rettore. E’ il momento della contestazione studentesca e Lazzati cerca di trovare delle mediazioni, un equilibrio tra fermezza nella difesa di alcuni principi e dialogo con gli studenti.

L’ente proprietario e fondatore dell’U.C., il Toniolo, è formato da 11 membri di cui 6 devono essere Missionari della Regalità. Essi  hanno ancora un saldo controllo dell’Università, infatti Brasca, il direttore amministrativo, è considerato un po’ il rettore ombra, ma data la difficile situazione, sostiene Lazzati ritenuto il solo capace di far fronte alle questioni poste dalla contestazione studentesca.

Sorvolo sugli anni di rettorato di questi anni ’70 caratterizzati da un costante braccio di ferro con Comunione e Liberazione, tentativi di riforma, come quello di istituire una facoltà di teologia nell’U.C.,  la creazione della rivista “Vita e Pensiero”, lotte interne anche da parte. della gerarchia che comincia a far mancare l’appoggio a Lazzati; va ricordato a questo proposito monsignor Benelli che è Segretario di Stato per un certo periodo.

Verso il 1983 Lazzati viene a trovarsi in una situazione paradossale: è sostenuto da gran parte del Senato Accademico per la carica di Rettore ( anche se Lazzati non intende più ricandidarsi) , ma avversato da Roma. Il vento è cambiato e il cardinale Balestrero,presidente della C.E.I., chiede un ricambio al vertice dell’ Università. Così nel 1983 il testimone per la carica di rettore passa a Bausola appoggiato da Comunione e Liberazione.

Lazzati lascia parzialmente l’Università Cattolica e ritorna a un’antica aspirazione, quella di costruire un’idea alta della politica attraverso la creazione dell’”Associazione Città dell’Uomo” che è la sua ultima eredità.

Conclusione

Il pensiero di Lazzati trova la sua sintesi migliore nella frase che pronunciò morente e che Franco Monaco raccolse:”l’impegno fondamentale è quello di costruire l’uomo”.

Nel suo famoso editoriale per la nuova edizione di “Vita e Pensiero” aveva indicato le due stelle polari che dovevano guidare i cattolici negli anni ’80:  la Costituzione e il Concilio. Su questi temi riteneva che i cattolici fossero in ritardo dal punto di vista culturale e politico.

L’urgenza principale era costruire l’uomo, lavorare molto per questo, abbandonando la tentazione di imporre una visione difensiva, apologetica della verità cattolica.

Nell’ultimo periodo della sua vita attraverso la collaborazione con”Il Giorno” anticipa profeticamente quanto accadrà di lì a non molto: il vaso di Pandora della corruzione politica sta per aprirsi. Anche ai familiari dirà di averne viste tante,ma certo loro sarebbero stati testimoni di fatti ben più gravi e numerosi.  Aveva intuito che da questi occorreva ripartire pensando al lascito della Città dell’Uomo”, dell’esperienza di Civitas Humana fatta da Dossetti, cioè da quel patrimonio di ricerca spirituale e politica il cui scopo era la formazione politica, la necessità di preparare i cattolici a pensare politicamente.

Permalink link a questo articolo: https://www.circolidossetti.it/alessandro-parola-marcello-malpensa-giuseppe-lazzati-sentinella-nella-notte/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.