Alberto Melloni. Il vangelo basta. Sulla fede e sullo stato della chiesa italiana.

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Corso di formazione alla politicaA Firenze, nel maggio 2009, si è svolto un incontro tra cristiani di varia provenienza che hanno messo in comune il loro grande disagio nei confronti degli atteggiamenti dominanti delle gerarchie cattoliche e la convinzione al tempo stesso che “il Vangelo basta”, che per collocarsi cioè nell’attuale contesto storico occorre restare fedeli allo stile di Gesù di Nazaret. Da quell’incontro è nato questo libro, che restituisce una chiesa viva, non rassegnata ai tentativi di spegnere le istanze dell’ultimo concilio. (dalla presentazione del libro sul sito http://www.carocci.it)

Alberto Melloni. Il vangelo basta. Sulla fede e sullo stato della chiesa italiana.

1. il testo dell’introduzione di Massimo Verdino non è disponibile

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presentazione di Giovanni Bianchi (3’32”) – introduzione di Massimo Verdino (32’10”) – relazione di Alberto Melloni (1h24’40”) – domande (28’06”) – risposte di Alberto Melloni (35’48”)

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Trascrizione della relazione di Alberto Melloni

Io non so che libro abbia letto Massimo Verdino, perché se non hanno fatto un errore di stampa clamoroso, credo che la finale della cosa sia così. Questa non è una situazione classica nella quale i fattori che producono una crisi hanno ancora da qualche parte delle riserve spirituali che ne preparano l’uscita. Tutto lo stile della Chiesa, tutte le zone, la base tanto quanto il vertice, quelli che il semplicismo giornalistico chiama progressisti e quelli che chiama conservatori, ne soffrono tutti, non ci sono conventicole, esempi, aree franche, ma per lo stesso motivo non esistono pesantezze istituzionali, commentari invincibili e ingovernabili. C’è un vuoto che appare crescere da sé il senso di un’occasione perduta per inseguire il vento della politica, un buio confuso e vociante che può attendere il mattino o restare semplicemente com’è.

Questo, più o meno, dice come la pensavo io e la Il Vangelo basta è un’esperienza nata da un’occasione molto particolare milanese, quando nel febbraio del 2007 il cardinale Ruini minacciò una presa di posizione della conferenza episcopale contro i parlamentari che avessero votato a favore dei DICO, disegno di legge Bindi-Pollastrini, Pino Alberigo scrisse una lettera, una e-mail per essere precisi, e arrivarono nell’arco di quattro ore 10.300 adesioni. Le pubblicammo, la cosa ebbe un peso abbastanza importante per far fare marcia indietro al cardinale Ruini e da lì venne il desiderio a Pino Alberigo, che sentì moltissimo il peso di questa risposta e non aveva mai fatto vita pubblica, diciamo così; quando gli era stato proposto di fare il candidato da indipendente di sinistra nelle liste del PCI, lui rispose che l’avrebbe fatto solo se gli davano Bergamo 1 e chi glielo proponeva era Giorgio Napolitano, che se lo ricorda ancora con molto divertimento, come modo per sfuggire a questo tipo di sirena. Il non aver fatto vita pubblica la cosa lo caricò moltissimo di un peso e ne morì; quindi ha avuto un ictus la sera in cui abbiamo fatto una prima riunione per decidere come gestire qua a Milano, in via del Sambuco, quella ondata di firme.

Il Vangelo basta è nato da una serie di appuntamenti di questo gruppo di persone che non avevano, non hanno, almeno per quel che capisco io, il senso di essere una zona franca, una chiesa di base contro le istituzioni, una chiesa profetica, per amor di Dio, è un’idea vecchia come il pan del cucco; non ha nessun senso, non per ragioni di tipo ideologico, ma perché non aiuta a capire quasi niente di quello che è successo nella Chiesa italiana nell’arco degli ultimi 50 anni.

La Chiesa italiana non esisteva, non esisteva perché non stava bene, la Chiesa italiana non era una cosa che stava bene per se stessa, l’Italia non aveva bisogno di una chiesa, c’è il papa, cosa le serve la chiesa? In Italia c’è il papa e si accontenta di quello. La questione del cattolicesimo al nascere dell’unità italiana è la questione romana, è la questione vaticana, è la questione del papa ed è una questione talmente importante che ha determinato e modificato la geografia per vent’anni e il racconto della cosa.

Quando i piemontesi entrarono a Roma, l’ordine era fermarsi sui ponti malgrado che il segretario di stato Antonelli, uomo scaltro dal punto di vista politico, laico con una figlia, dato che Antonelli sapeva bene che non si poteva governare uno staterello, chiese ai piemontesi di attraversare i ponti e di prendersi la spina di Borgo e Trastevere che erano le due zone a più alta delinquenza della città essendo quelle vicine al Vaticano. Però la memoria collettiva spadoliniana è quella che l’Italia ha le due sponde del Tevere, sull’altra sponda del Tevere non abita il papa, abita di fianco alle sponde; sull’altra sponda c’è Trastevere, non c’è il Vaticano. Questo per dire il modo in cui questa idea che nella storia italiana c’è il papa e il resto, ha determinato dei linguaggi. Ha determinato il linguaggio stato-chiesa, il linguaggio dei rapporti stato-chiesa, una disciplina accademica, che viene insegnata, come se ci fossero in Italia da qualche parte la chiesa e dall’altra parte lo stato.

Allora, è chiaro che in Italia c’è da una parte la Santa Sede, ma nello stato ci sono una quintalata di cattolici che vengono tirati fuori soltanto in occasioni molto particolari per rivendicare un carattere particolare della nazione nella sua legislazione che per questo dovrebbe avere un sapore semiconfessionale. La speranza poi è tornata con il Concordato del ’29 che Pio XII tentò vanamente di far digerire ai costituenti cattolici, che è tornato, attenti, nel 2007, discussione alla Camera dei deputati sulla legge sulla libertà religiosa, che non va avanti neanche di un passo, in cui una persona per bene come monsignor Dettori, a nome dei vescovi, ha dichiarato che “la totale parificazione dei culti non sarebbe compresa dalla maggioranza cattolica della popolazione italiana”. La totale parificazione dei culti…dove se la libertà religiosa non è la totale parificazione dei culti uno non capisce che cosa sia, è come mia sorella che disse a mio papà che era incinta, ma appena appena. Non si capisce che cosa sia la totale vantata parificazione dei diritti.

Allora, questo discorso di parte che domina la cosa ha fatto sì che mentre in tutto il mondo il sistema delle Conferenze Episcopali, senza che ci fosse una riflessione teologica che spiegava che cosa erano, l’Italia non aveva la Conferenza Episcopale. L’Italia fa la Conferenza dei cardinali e arcivescovi per il controllo dell’Azione Cattolica solo in vista delle elezioni del 1948 e dal 1948 al 1962 la Conferenza italiana degli arcivescovi si riunisce senza ordine del giorno perché l’ordine del giorno arriva in busta chiusa dalla sezione prima della Segreteria di Stato al mattino. Chiaro. Questa è la Chiesa italiana fino al 1962.

Questa idea – che non ci sia la Chiesa italiana – per molti, non di base o di vertice, rappresenta un fattore di angoscia, di vera e propria angoscia. Uno fa l’arcivescovo di Milano, Montini, un altro fa il vescovo in Veneto, è Roncalli, a Bologna Lercaro, un altro è a Firenze, Da Costa; gente che capisce che non funziona mica così. L’unico livello a cui ci sono le Conferenze episcopali in Italia è quello regionale. Le regioni non hanno infatti una costituzione, le regioni le ha inventate la geografia ecclesiastica: sono le regioni dei concili provinciali che non vengono convocati da secoli, ma sono l’unica geografia del regionalismo italiano.

Quando arrivano a Roma tutti i vescovi del mondo di tutte le Conferenze Episcopali, quando il 13 ottobre Liénard e Frings, il vescovo di cui era teologo Ratzinger, dicono che bisogna far votare su delle liste preparate dalle Conferenze episcopali, gli italiani si grattano la pera sotto la mitria, perché la conferenza episcopale, la chiamano adesso conferenza episcopale e plenaria nel senso che sono stato chiamati a Roma tutti i vescovi, ci sono anche i vescovi suffraganei e non solo i cardinali e gli arcivescovi, è gigantesca perché sono più di 300, e ci sono ancora le micro-diocesi del baronato meridionale che sono le cose più importanti per comprendere il fenomeno criminale e il tessuto economico del meridione italiano, ci sono questi e bisogna fare la conferenza episcopale perché se no non si sa come fare a votare.

Viene fatta in fretta e furia la conferenza episcopale che funziona così e cosà durante il Vaticano II, non presenta quasi mai documenti propri, non prende posizioni proprie; l’unico italiano che si vede in una commissione conciliare, Lercaro, nella commissione della liturgia, è stato eletto dai tedeschi, perché gli italiani non lo votano, erano contro Dossetti naturalmente, non è che non lo votano perché ha la barba rossa, non lo votano per quello. Quando finisce il Concilio, il desiderio di Montini, uno dei desideri di Montini sul post-concilio, uno dei più pronunciati desideri di Montini sul post-concilio, è che nasca la Chiesa italiana.

Jan Grootaers ha usato un’espressione cattiva, però oggi meno cattiva di quanto non lo fosse una volta: ha definito Montini il papa democristiano e Montini, effettivamente, pensa politicamente le categorie delle esperienze politiche democristiane per cui la conferenza episcopale come la si fa? Si fa come la DC, si fa un presidente che ha una funzione di rappresentanza, tutto sommato regolatrice, non particolarmente incisiva sul piano politico, come il presidente della DC; il Presidente della CEI è un vescovo che non abita a Roma, lui nomina Urbani, poi Urbani muore, nomina Poma, quello che era andato al posto di Lercaro, e poi dopo Poma ci sarà Ballestrero, poi Poletti, poi Ruini e poi Bagnasco. In termini dinastici è una dinastia corta quella dei presidenti CEI.

Tutte le conferenze episcopali del mondo, compresa quella del Benin, eleggono il loro presidente; quello della Conferenza Episcopale è quello che viene nominato dal papa perché l’idea dei vescovi è quella che se eleggono loro un vescovo si fa un dispetto al papa e sta bene che il papa lo nomini. Il problema, che poi si vedrà nel corso del tempo, diventa sempre più complicato perché alla fine il papa risponde di uno che non è un suo sottoposto, che ha delle dinamiche da tener conto e quindi genera una serie di problemi.

Poi, oltre al presidente, si nomina, come nella DC, il segretario che è il segretario politico, che è quello che fa andare le cose, che è Bartoletti. La scelta è formidabile, è un uomo straordinario, un uomo di grande apertura che in quel momento di grandissime tensioni, di lacerazioni soprattutto politiche dentro la Chiesa italiana, ha un disegno che riguarda il terreno politico ma anche la consapevolezza che il problema della Chiesa italiana è quello di essere come l’emorroissa del Vangelo, di soffrire di questa continua emorragia politica delle proprie energie interiori, di essere completamente e continuamente trascinata come se l’unica cosa importante che può fare fosse produrre della vita politica.

È l’unica, la Chiesa italiana, che è fatta così ed è quella che per questo motivo, oltre che per la mancanza di facoltà di teologia, non ha un teologo che conti zero nel mondo teologico internazionale, non ha una figura di intellettuale cattolico che abbia l’autorevolezza che hanno altre figure nel resto del mondo. Tutti quanti avete imparato perché adesso col papa tedesco ce lo rifilano ogni quattro minuti, il famoso dictum di Böckenförde dello stato secolare, quello che non può dare il fondamento dei principi su cui si regge: di fronte a un intellettuale cattolico, presidente della Corte costituzionale, noi li abbiamo avuti quelli lì, abbiamo avuto Elia, abbiamo avuto Casalbora, abbiamo avuto Onida, ma nessuno di loro è stato percepito dalla Chiesa come una figura autorevole.

Anzi, nessuno di loro è stato chiamato una volta a parlare ai convegni ecclesiali convocati dalla CEI, dal primo, quello di Bartoletti, “Evangelizzazione e promozione umana” che gli costò un infarto, fino all’ultimo, quello di Verona, dove c’era la sfilata con tutti i grandi ritratti della Chiesa italiana, dove Lazzati e Dossetti non c’erano, tanto per essere trotzkisti, per cui le facce di Rossetti e Lazzati no. C’era la suor Peppina del Cuore Incoronato di Maria, ma Dossetti e Lazzati non esistono nella storia della Chiesa italiana.

Nel messaggio che il papa ha mandato a Napolitano per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia c’è scritto che la Costituzione è nata nei circoli della FUCI degli anni ’20 che è come dire che Gesù è morto di freddo, questo per essere chiari, cioè non stiamo parlando di cose che si aggiustano col buon cuore, stiamo parlando di uno scontro violentissimo e di cose gigantesche.

Il tentativo di Montini di fare una Chiesa italiana gli si sfalda fra le mani perché non potendo, per dover fare la stampella alla DC, praticare una vera opera di depoliticizzazione della Chiesa italiana e darle un profilo di tipo spirituale, darle un profilo di tipo pastorale vero, non potendo fare questo, deve per forza subire il fatto che la dialettica interna della Chiesa sia una dialettica di tipo politico, una glossa politica e una pratica politica, è il tentativo di tenere la glossa e la pratica il più possibile impacchettata dentro il contenitore democristiano, piuttosto che ammetterne delle dissipazioni e delle fughe che sono tutte fughe verso sinistra negli anni ’70.

Bartoletti muore, muore di infarto prima di avere la promozione umana ed “Evangelizzazione e promozione umana” non risolve quasi niente. Andate a rileggervi Scopola, Bogiani o Scola di allora e vi rendete conto che quello che manca è un substrato comune di valorizzazione dell’atto di fede; ma chi se ne frega del sociale, della base e del vertice; la questione è quella che una Chiesa ha una valorizzazione vera, autentica, realistica dell’atto di fede, nel suo profilo eucaristico o se no non c’è e non si riesce a farla.

E il desiderio di Montini di far nascere la Chiesa italiana gli si spappola in mano; le Brigate Rosse uccidono Moro, e Andreotti e le Brigate Rosse uccidono Montini nel ’78, adesso vi spiego il perché, e finisce il pontificato italiano. Finisce perché questa mancanza di una Chiesa italiana fa sì che ai due conclavi del ’78, al conclave del 2005 e al conclave del Duemila-non-so-quando, la Chiesa italiana non ha un suo profilo; ha dei leader in un antagonismo politico spregiudicato e feroce tra di loro. Benelli contro Pignedoli, Siri contro Pignedoli, Ruini contro Tettamanzi, e poi la volta prossima avremo Ravasi contro Scola e poi chissà cosa verrà ancora. Perché? Perché manca una percezione di Chiesa. Liénard, come ho accennato prima, che è presidente della Conferenza episcopale tedesca da 20 anni eletto dai vescovi, non è un presidente di unanimità, è un presidente di maggioranza, perché un presidente di maggioranza ha una minoranza nella Conferenza episcopale tedesca che riesce a cucire e a tenere insieme. La CEI questo non ce l’ha.

Quando arriva il papa polacco e vede lo stato della Chiesa italiana, il grado di percezione che lui ha di tutto questo è drammaticissimo. Wojtyla odia la parola chiave del montinismo che è deviazione, come Ratzinger odia Montini. Ratzinger non porta il pastorale del Vaticano II, ci avete fatto caso? Il pastorale grigio, quello d’argento. Porta il pastorale di Pio IX, quello d’oro, non porta più il pastorale di Paolo VI. A Brescia ha sempre chiamato Pio XII il “Servo di Dio” e ha sempre chiamato Montini, Paolo VI. La causa di beatificazione non parte.

Bene. Wojtyla trova la parola deviazione una parola abominevole, per lui è il segno di una mollezza tutta occidentale di un cattolicesimo che non è più orgoglioso della propria identità e i vescovi gli sembrano una cosa incredibile. Lui viene da una Conferenza episcopale storica, una Conferenza episcopale che è praticamente una congregazione religiosa, più che una conferenza episcopale, dove c’è il rispetto totale del cardinale primate, dove tutti sanno tutto di tutti, dove c’è una solidità unanimistica prevalente e quando è l’ora di fare l’arcivescovo di Cracovia Wyszynski fa tre nomi fra i quali Wojtyla non c’è, ma il pontificato di Wojtyla si divide in due, il pontificato finché Wyszynski è vivo, nel quale il papa ubbidisce a Wyszynski, e il pontificato dopo che Wyszynski è morto, nel 1981, dove il papa non ha più il cardinale primate di Polonia a cui obbedire. Da papa, lui continua a essere un wyszynskiano di ferro, su cose delle quali non è convinto, non è d’accordo, ma rimane perfettamente allineato al suo presidente, che rimane il suo presidente della Conferenza episcopale anche se lui è in Italia.

La Chiesa italiana non gli piace, non gli piace per nulla, gli sembra una poltiglia di cose debolissime, non capisce il tessuto politico italiano, non capisce come un partito cattolico faccia la legge sull’aborto. Questo lo manda realmente fuori di testa, non riesce a rendersi conto di come questa cosa possa essere accaduta, su un punto sul quale lui gioca le briscole. Qui c’è una cosa cui Bianchi faceva riferimento prima, che non è una cosa puramente episcopale, è un documento del Sant’Ufficio del 2002 in vigore, che mette vincoli canonici di appartenenza su alcune tematiche che riguardano l’inizio e la fine della vita, che poi la maggior parte dei vescovi con santa noncuranza se ne freghino fa parte dei loro meriti che li porteranno in paradiso. È entrata così come norma della dottrina della fede firmata Ratzinger e controfirmata da Wojtyla.

Wojtyla non ci capisce niente, gli stanno molto più simpatici dei vescovi i movimenti, sia perché i movimenti lo blandiscono e questo a Wojtyla piace, a Wojtyla piace essere voluto bene; non è come Montini… Leggete gli esercizi spirituali del luglio ’63 di Montini, i primi da papa, dove a Milano tutti capiscono cosa vuol dire quando lui dice: “Sono stato elevato sulla guglia e sono solo”, e già uno se lo vede vestito da madonnina, però dice molto bene il suo modo di intendere il pontificato, non è una ricerca di consenso, non è una ricerca di tranquillità, e sono le due ultime cose che abbiamo visto, è una soluzione martiriale di una solitudine del potere. Di sicuro possiamo discuterne ma non era così per alcuni predecessori, questo è un dato secondario, lui si immagina così, Wojtyla invece no.

A Wojtyla piace mangiare, più o meno Wojtyla ha pranzato o cenato da solo soltanto quando era ricoverato, Wojtyla ha sempre un’agenda di ospiti della messa del mattino e della prima colazione, ha sempre un’agenda di ospiti per il pranzo e ha sempre un’agenda di ospiti per la cena. Questo produce una serie di elementi di consenso e così via, e produce una serie di formazione di rapporti e appartiene agli umani. Tra le caratteristiche molto moderne (tra virgolette) di Wojtyla nel XX secolo vi è quella della convinzione che il rapporto umano, che io e lui ci vogliamo bene, ci conosciamo molto, siamo anche molto fisici: va benissimo! L’abbraccio di Wojtyla alla sua ex fidanzata nel secondo viaggio in Polonia quando la trova sotto l’aereo ha fatto venire i brividi a mezza curia romana, che chissà cosa avrà pensato e invece è una cosa totalmente normale, fosse stato un suo amico maschio sarebbe stato uguale, non era quello il problema.

Io e Alberigo abbiamo patito di questa cosa qua quando gli abbiamo portato il primo volume della storia del Concilio, la prima cosa che ci ha detto è stato: “Bravi, proprio bravi siete stati, ci voleva una storia del Vaticano II, i vescovi non la sanno la storia del Concilio, conoscono i documenti, non lo sanno che quando noi siamo entrati in Concilio siamo entrati con in testa una mitria e quando siamo usciti era uguale solo la mitria. Bravi”. Noi pensavamo che dicesse sul serio, cioè di essere bravi sul serio, poi dopo, quando nel 2005 siamo tornati e ci ha detto bravi un’altra volta, siamo stati bravi però ci siamo beccati otto pagine di Osservatore Romano di recensioni massacranti e lui ci aveva detto: “Vedrete che per questo volume non vi daranno fastidio”, beh non ci hanno dato fastidio ma ce lo siamo spiegato pensando che lui diceva bravi a tutti, qualunque cosa gli avessero portato.

Questo tipo di cose fa sì che Wojtyla si convinca che ci sono nella Chiesa italiana alcune risorse, una di queste è CL, Wojtyla flirta con CL. Ha un flirt ciellino molto spontaneo, molto intenso, in parte mediato da don Giussani, in parte mediato da Buttiglione, in parte mediato dalla schiuma giovanilistica che ogni tanto gli portano sotto le finestre. E che l’idea di CL che sia necessario un grande recupero di identità della Chiesa italiana, questo è decisivo, importantissimo e alla fine nel 1985 prende una serie di decisioni che si concentrano attorno all’assemblea di Loreto. La Chiesa italiana non fa sinodi ma fa convegni ecclesiali, che personalmente ritengo uno dei segni più gravi della mancanza di fede, il momento sinodale non è un congresso, il momento sinodale non è una riunione, il momento sinodale è un momento di grazia: se vuoi la grazia fai un sinodo, se vuoi fare politica fai un congresso. La Chiesa italiana fa solo dei congressi, politicamente condannabili.

Al momento dell’85 si ha l’idea di fare eleggere il presidente della Conferenza episcopale, idea che più volte torna. Ci sono delle consultazioni, sembra che il papa voglia eleggano presidente Biffi, che si prenda come segretario generale Ruini, che è un giovane ausiliare, abbastanza giovane ausiliare, di marca democristiana molto schietta, forlaniano, e in realtà la cosa non funziona affatto. I vescovi non vogliono Biffi e alla fine a Loreto Wojtyla rovescia il tavolo e commissaria la Chiesa italiana. Nomina lui il Presidente, lo nomino io, va bene, e nomina il suo vicario per la diocesi di Roma, quindi il suo numero 2 nella catena di comando che riguarda l’Italia di cui è primate e prende come segretario generale Ruini, anche se in una logica appunto anti-montiniana, il segretario generale non è preso perché sia il segretario politico come era stato in precedenza, viene preso perché sia il segretario di un vicario che sta a Roma e che vede il papa due volte alla settimana. Una delle cose che Ruini è capace di fare è quella, nel momento in cui Poletti va verso il pensionamento, di fare in modo che il papa si convinca che lui potrebbe essere la persona giusta per fare il supercommissariamento della Chiesa italiana per il quinquennio futuro. Monsignor Ruini diventa vicario di Roma, cardinale e presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

E a quel punto si scelgono i segretari che hanno la funzione (ancora una volta il pensiero è un pensiero tutto democristiano), hanno la vecchia funzione dei vice-segretari DC. Sapete nella DC il vice segretario era il rappresentante di minoranza, non esistevano i ticket all’americana, rappresentavano una forma di completamento della rappresentatività degli organi di comando del partito. Da allora i segretari diventano questa specie di compensazione di una presidenza che chiaramente vuole tenere lei il pallino della partita. Sarà così la segreteria di Tettamanzi, sarà così la segreteria di Dettori, in un rapporto nei quali i segretari generali non hanno tanto da fare, perché devono rappresentare, sì, qualche piccola assistenza a una serie di cose che il cardinale presidente fa, ma si trovano in una situazione svantaggiata. Ancora più svantaggiata nel momento in cui la DC implode.

L’implosione democristiana che se fosse stata vera e seria avrebbe comportato anche l’implosione ruiniana intrinseca a quel mondo, invece consente a Ruini che ha delle doti politiche straordinarie, assolutamente straordinarie, consente a Ruini di inventare una cosa che non s’era mai vista, di inventare una presidenza che riassorbe tutte le funzioni di tutti i vescovi. La caratteristica del governo ruiniano è quella di lasciare che i vescovi facciano quello che vogliono purché si tratti sempre e solo di esperienze di carattere locale senza nessuna possibile influenza di carattere generale sulla vita pastorale, sulla vita politica della Chiesa italiana. Martini a Milano poteva fare la cattedra dei credenti, la cattedra dei non credenti, la cattedra dei buddisti, il sinodo, il concilio, l’apocalisse, quello che voleva, purché a Piacenza fosse tutto finito, purché da lì non uscisse più niente.

Quello che Martini riesce a ottenere, “ripartire dagli ultimi”, è uno dei documenti della Conferenza Episcopale Italiana (c’è il bellissimo lavoro di Amedeo Fabiani che sono gli elenchi media della Conferenza episcopale), un documento a impatto zero nel magistero successivo della CEI: sapete che i vescovi hanno questa abitudine, cioè tutte le volte fanno un documento, poi per 10 anni dicono: “A mio parere…”, che d’altronde condivido come giustamente dicevo poc’anzi… hanno sempre questo modo di riproporre le cose dette in modo da creare una specie di flusso di continuità nelle cose, barcamenandosi un po’ quando è il caso di cambiare. Il magistero martiniano non ha credito ed eco fuori da Milano.

Plotti a Pisa, Mondello in Calabria, Luciano Monari a Piacenza, ci sono tutta una serie di diocesi nelle quali ci sono delle esperienze anche molte significative o iniziative di tessuto cristiano che non hanno nessunissimo rilievo. Questa non è un’opinione o un giudizio, questo diventa un dato strutturale: le riunioni di quello che dovremmo dire essere il Consiglio nazionale della Conferenza Episcopale Italiana, del Consiglio permanente, per usare un nome appena diverso, partono con una prolusione del cardinale presidente che viene pubblicata e si chiudono con un comunicato stampa che dice: “Sono tutti d’accordo”. Ma neanche a Mediaset si fa così!

È un modo di procedere totalmente anomalo rispetto alle funzioni; le conseguenze sono quelle che c’è una commissioncina che scrive un documento, questo viene emendato, viene proposto e poi a un certo punto viene approvato essendo evidente a tutti che almeno sul piano delle forme è fatto come se si fosse discusso. Non lo dico per scherzo, cioè non è una procedura diffusa nelle aziende e non è una procedura che funziona nemmeno in politica. Nemmeno nei partiti più verticistici la retorica è così spregiudicatamente ordinata in modo da anteporre le conclusioni alla discussione. È come una discussione sul bilancio aziendale che si fa davanti agli azionisti da parte di un presidente che rappresenta un patto di sindacato, in quelle aziende lì si fa così. Io sono il presidente, rappresento il patto di sindacato, leggo la relazione sul bilancio, la distribuisco subito ai giornalisti perché tanto gli azionisti votano la relazione di bilancio del presidente, e quindi va tutto bene.

Nel cambio del tessuto politico italiano fra il ’92 e il ’96, Ruini ha un grande vantaggio e cioè ha la possibilità di individuare il punto su cui mantenere il massimo di rigidità e il punto su cui mantenere il massimo di flessibilità. La scelta di Ruini nel ’94 è quella di proporre, e quindi di far accettare alla CEI, il massimo di agnosticismo costituzionale. Quando il ministro leghista Francesco Speroni, quello che portava le giacche colorate, ve lo ricorderete, fa la prima proposta di riforma costituzionale contro la quale nasce l’idea di Dossetti dei comitati per la difesa e lo sviluppo della Costituzione, dall’episcopato italiano non esce un sospiro, non da Ruini, dall’episcopato italiano non esce un sospiro. In tutte le iniziative che Dossetti fa per la Costituzione tra il 1994 e il 1996 quando tira le cuoia non ce n’è uno in cui appaia un vescovo, uno, un ausiliario, niente, muro totale.

E lì nasce un primo elemento di fortissima solidarietà con una chiave essenziale della politica berlusconiana che è sempre quella di scaricare il problema sul rinvio di riforme di tipo strutturali in attesa delle quali si fanno gli affari. Questo è il classico metodo di procedere, quello di oggi, di stamattina. Cioè noi stamattina cosa facciamo: governiamo la cantieristica italiana? Ma sicuramente no, chi se ne frega della cantieristica italiana. Noi dobbiamo fare una riforma fiscale con la quale le donne pagheranno meno degli uomini e se hanno meno di 20 anni pagheranno ancora meno degli uomini e potranno detrarre delle cose che adesso non sto a dire e avanti con questo tipo di cose. Nel frattempo, in questo tipo di retorica che sposta continuamente l’attenzione dell’opinione pubblica su obiettivi distanti, chimerici e fondamentalmente irrilevanti, nel frattempo si gestisce un day-by-day della politica economica, che è fatta soprattutto di consolidamento delle posizioni di potere. Che non è una cosa sbagliata in politica. Naturalmente consolidando soltanto le posizioni di potere, il tessuto economico del paese si indebolisce e il nostro è debolissimo per questo motivo.

Nel ’96 arriva Romano Prodi. Qualcuno dice. ora ci siamo; sono condiocesani. Ruini ha celebrato le nozze di Romano Prodi e della Flavia Franzoni. Nemmeno Montini con Moro aveva questo grado di intrinsichezza proprio personale, di collaborazione, di amicizia vera. Romano Prodi diventa la bestia nera del ruinismo: qualsiasi cosa pur di far fuori Prodi. Perché? Prodi non lo capisce nel ’96, lo capirà alla fine del 2007, alla fine del suo secondo governo. Nel ’96 non capisce perché Ruini sia disposto a trattare con D’Alema, con Cossiga, con Berlusconi, con Bossi, con chiunque pur di far fuori Prodi che alla fin fine è l’ultimo presidente del Consiglio che ha studiato all’Agostinianum. Per i prossimi 50 anni non ne avremo più, speriamo.

Perché questo? Perchè Ruini vede che nello scendere della credibilità dei partiti e nel disfarsi del tessuto della rappresentanza politica lui ha una grandissima chance; il sistema bipolare gli consente di rovesciare quello che è stato il teorema dell’inefficacia dell’appello elettorale classico dei vescovi italiani, perché i vescovi italiani avevano sempre fatto gigantesche campagne elettorali: se non votate DC andrete all’inferno e così via. Pio XII mandò Padre Lombardi dalla moglie di De Gasperi a dirgli che se non faceva alleanza coi missini a Roma sarebbe andato all’inferno. La moglie di De Gasperi gli dice: “Parlategli voi, a me non da retta”.

In questo contesto, l’appello elettorale dei vescovi, che pure irritava tanto, soprattutto irritava i cattolici, non aveva nessun effetto; non è mai esistito un elettore che abbia cambiato volto per una predica; non è mai esistito un prete che abbia cambiato predica per un vescovo; non è mai esistito un vescovo che abbia cambiato predica per un papa. Il meccanismo era esattamente quello rovesciato. Essendo una realtà territorialmente così ramificata, il cattolicesimo era in grado di riportare all’indietro quelli che erano gli spostamenti del tessuto profondo del paese. Però nel fare questo sembrava che condizionassero il congegno elettorale. Nemmeno nel ’48 la DC ha vinto per le suore, sono le suore che hanno convinto la DC che aveva vinto per le suore e questo ha reso bene alle suore e continua a rendere. Emilio Fede ha fatto un disegno di legge per il millenario del monastero di Cava dei Tirreni da 20 milioni di euro, era come un debito elettorale del monastero di Cava dei Tirreni.

Questo ritorno all’indietro del meccanismo elettorale produceva un tipo di effetto, per cui alla fine il potentato ecclesiastico, per quanto potesse essere, in realtà non aveva grandi effetti, tanto meno nelle dialettiche interne democristiane. Quando Moro vede diventare papa il suo assistente ecclesiastico si immagina che per il centro-sinistra sarà vita facile, in realtà il centro sinistra ha la vita che ha, non è che l’appoggio del papa gli cambia gran che; quando ha energia produce, quando non ha energia scoppia… Alla fine è lì che le BR e Andreotti abbattono Paolo VI, quando a Moro prigioniero Paolo VI cerca di trovare il modo di riessere la Chiesa e non una funzione della DC, la DC gli ricorda che lui è la funzione della DC e non è la Chiesa, e quindi se immagina l’autonomia se la scordi.

Bene, torniamo a Ruini. Nel sistema proporzionale tutto il sistema dell’appoggio ecclesiastico in realtà valeva una manciatina di voti, un po’ di voti determinati associativamente dalle grandi aggregazioni più che dal sistema della predicazione vera e propria. In regime bipolare, dove tutti i segmenti dell’elettorato possono essere il segmento decisivo, questa leggenda… la chiesa delle partite IVA, la chiesa dei taxisti in tutte le sedi amministrative di tutta Italia, ci sono tante chiese che hanno un loro ruolo di predicazione… E anche la Chiesa cattolica, per quanto sia umiliante, la Chiesa cattolica si è trovata a essere uno di questi segmenti e la scelta che Ruini deve fare è quella se far essere la Chiesa cattolica una chiesa italiana nella quale l’esperienza di fede in tutta la sua ramificazione, anche politica, dalla destra di Fiori fino alla sinistra vendoliana, viene rappresentata e compresa o se umiliarla a essere un segmento della vita politica, a essere un target elettorale che vale quel niente virgola, ma che quel niente e virgola può almeno far credere al potere politico che abbia un valore.

In un sistema bipolare come quello berlusconiano alla fine si usano due parole (fateci caso), due parole che prima non esistevano: sono concreto e assoluto. Sono due parole chiave del lessico berlusconiano che ha contagiato tutti i discorsi di tutti, da destra a sinistra, tutti vogliono fare delle cose concrete, risolvere problemi concreti (poi c’è l’altra quella che bisogna pagare i diritti d’autore quando la si dice, “quello che la gente ci chiede”; tutte le volte che dite: quello che la gente ci chiede siate onesti e pagate i diritti d’autore a Maurizio Lupi). Invece, concreti e assoluti non sapete a chi pagarli perché su assoluto c’era un vecchio studio di, come si chiamava? Sono i linguaggi di Mussolini, l’uso di assolutamente in modo ambiguo, assolutamente in italiano dipende dal contesto, vuole dire assolutamente sì o assolutamente no, e l’uso ambiguo dell’assolutamente in italiano riproduce il duce e questa è diventata una parola chiave. L’altra è quella di concreto e funziona così.

La completa ambivalenza del suo linguaggio di riferimento, la totale scarnificazione dei contenuti, a destra come a sinistra, la logica di fornire elenchi, cioè il più grande sintomo di insorgenza politica antiberlusconiana è fatto di elenchi, viene paura, poi ci sono i referendum che fanno ancora più paura, perché è la logica di un populismo che alla fine ammorba chi lo produce. La logica populistica per cui io devo darti quello che ti accontenta perché tu mi dia il tuo voto, va poi a finire che se tu mi convinci di essere importante, io ti pago. Chi me lo fa fare di verificare se Giovanni Bianchi ha in tasca 100 mila voti o ha in tasca i voti di Giovanni Bianchi? Se Giovanni Bianchi è capace di farmi credere che ha in tasca 100 mila voti, io li do per buoni.

Se Berlusconi dovesse sommare il numero di voti di quelli che li hanno promessi dovrebbe avere in tasca 120 milioni di voti perché tutti gliene hanno promesse delle valangate e tu dici: beh guardi se lei ha dalla sua gli industriali, i ciellini, i leghisti, i razzisti, forza nuova, gli storaciani, gli exstoraciani, i post melonisti, i finiani pentiti, i responsabili, gli irresponsabili, gli ex irresponsabili e così via, dovrebbe avere perlomeno 500 voti di maggioranza in Parlamento, gli votano contro Fini e Bersani, forse.

Però, quello è il meccanismo su cui lui ha costruito quella logica per cui con una minoranza dei voti in tasca fa credere di avere la maggioranza delle cose e produce la maggioranza parlamentare. Il porcellum, come tutti lo chiamano, non è stato paracadutato dal cielo, non è un’interferenza Internet della proprietà legislativa, è il frutto di un processo del quale ci si è progressivamente convinti che così si ottiene il risultato che alla fine non c’è.

Accettando questa umiliazione, Ruini diventa una figura decisiva del cartello politico e capisce, ancora una volta, che la mancanza di un corpo in senso politico, è un grande vantaggio. Pio IX non aveva capito, Pio IX pensava che il potere temporale fosse la base del potere reale, era un seicentesco con 200 anni di ritardo. E dopo di lui, Pio X un pochino, un po’ Benedetto XV, molto Pio XI, moltissimo Pio XII, moltissimissimo tutti gli altri, capiscono che la mancanza del potere temporale e muoversi totalmente sul piano simbolico flou dell’immagine vuol dire una enorme capacità di azione politica. Come sovrano, a Paolo VI all’ONU avrebbero dato da parlare 35 secondi il venerdì pomeriggio o alle 11 e tre quarti di sera; come papa, vestito di bianco, che non conta niente, una specie di Dalai Lama cattolico, lo accolgono nel ’64 come se fosse l’inviato di Dio.

E dal punto di vista politico, Ruini capisce che in questo terreno politico, la mancanza di un corpo politico, di un partito cattolico, diventa un enorme vantaggio e lui lo usa in un modo spregiudicato. Rispetto a che cosa? Non rispetto alla questione dei problemi politico-sociali, chi se ne frega di quelli, quelli non sono stati risolti perché mancano le teste, non perché manca Ruini, se ci fossero le teste, se si fossero ricordati di clonare Elia, Andreatta o così via, o se loro si fossero ricordati di fabbricare un po’ più di classe dirigente, saremmo già messi molto meglio di come siamo messi oggi.

Ma la cosa a cui lui rinuncia è il disegno montiniano di fare una Chiesa italiana; per fare una Chiesa non servono dei grandi ingredienti, serve l’episcopato perché se non c’è quello non si fa niente e poi serve un’attitudine al colloquium, al sapere colloquiare. Mica con i famosi toni abbassati che sono quella cosa che non si capisce bene cosa siano, colloqui che possono avere anche dei momenti di asprezza, anche molto forti, ma che suppone il fatto che lui ritiene che io sia un interlocutore e io ritengo che lui sia un interlocutore e allora mi dò da fare per convincerlo, per corromperlo, per minacciarlo, lo meno, ma capisco che non posso andare via senza di lui; è come nei vecchi film delle evasioni quando ci sono due galeotti incatenati col piede uno all’altro, che si prendono a pugni, ma essendo incatenati oltre non vanno perché se no non possono andare da nessuna parte.

Quello che la Chiesa italiana non produce, che Ruin vorrebbe fare ma non riesce a fare, e quello che lui decide di non fare, è che i cattolici italiani siano un po’ incatenati gli uni agli altri. E questo nel sistema wojtyliano funziona molto bene perché il sistema wojtyliano è un sistema di consenso a raggiera, come i raggi delle ruote di una bicicletta, nel quale tutti hanno un rapporto diretto con il papa e il papa dà a ciascuno la cosa che lui vuole. Per cui dà all’Opus Dei santo Escrivà, dà a me il beato Giovanni XXIII, a voi vi dà Don Gnocchi, a quelli là gli dà Martich. La Congregazione dei Santi sul piano non solo simbolico è la rappresentazione perfetta di questo sistema a raggiera, per cui ciascuno ha il suo altarino. A quel punto, cosa vuoi da me? Vuoi che io smetta di fare il culto di Padre Pio, ecco i risultati, me lo ha dato il papa e io me lo tengo, arrangiatevi voi, che novità è? Così si arriva al fatto che oggi se non hai un processo di canonizzazione non sei nessuno. Alcuni lo saranno anche da vivi. I focolarini per guadagnare in anticipo la beatificazione di Chiara Lubich, per garantirsi la sua beatificazione, lanciano questo slogan di “santo subito” al funerale di Wojtyla che è una cosa grottesca. Nessun papa aveva mai beatificato il predecessore in XX secoli, nessun popolo ha mai beatificato un papa con tempi in questi termini.

La rinuncia di Ruini è questa, è la rinuncia a fare una Chiesa italiana e la rinuncia alla Chiesa italiana comporta il fatto che tutti i tentativi di colloquium vengano considerati lesa maestà, un crimine di lesa maestà. L’Avvenire di Boffo è il braccio armato di questa politica. L’Avvenire di Boffo ha criticato con una certa cautela personaggi assolutamente discutibili, ha sparato veleno micidiale contro tutto quello che si muoveva nel cattolicesimo. Era un giornale che era come il soldato americano impazzito nella giungla del Vietnam che ammazza tutti i suoi; di preferenza sono stati i cattolici il bersaglio dell’Avvenire, più un’appendice che è un sito dell’Espresso gestito da Sandro Magister di cui io sono convinto che la lettura comporti la violazione del VI comandamento, che però è un sito nel quale si parla male solo dei cristiani, ci sono continuamente liste di proscrizione, ammiccamenti proscrittivi, denigrazioni finto-mentali con le quali si dice non che Giovanni Bianchi ha le sue idee, è un buon figliolo, no, si dice che Giovanni Bianchi è un relativista, il peggior nemico della Chiesa, Satana nei confronti di Giovanni Bianchi è un angelo.

Guardate, non è uno scherzo questo affare qua, l’idea che si potesse trattare Lazzati come è stato trattato da vivo e da morto fa ribrezzo non a chiunque abbia conosciuto Lazzati, ma a chiunque abbia un rapporto anche sporadico con la realtà dei fatti. Non è immaginabile che l’Avvenire abbia considerato la scrittura di Enzo Bianchi una cosa che va espulsa; badate bene, non trascurata, no, no, si fa così, perché se volete diventare da grandi dei veri leninisti di destra dovete prepararvi; si fa così, o non lo si fa scrivere mai, oppure lo si fa scrivere per quattro mesi di fila, non una volta al mese, o una volta alla settimana, no, un giorno sì e un giorno no. Poi, dopo 4 mesi, quando tutti i vescovi hanno imparato che Enzo Bianchi scrive sull’Avvenire, si dice basta. Adesso per 15 anni più. E se siete vescovi mediocri, come sono la maggior parte dei vescovi italiani, voi capite bene che quando il vicario vi dice: “Chiamiamo Enzo Bianchi a predicare ai preti?”. “No, non vedo il perché, meglio Natoli, meglio Natoli…”. Vedete che questo gioco è un gioco micidiale perché crea delle liste di proscrizione invisibili, basate su un meccanismo denigratorio spietato, che dentro un partito non è un bel segno, dentro la Chiesa è una catastrofe, perché dice che avere la fede cattolica in Gesù Cristo o non avere la fede cattolica in Gesù Cristo non conta niente, niente.

Questa non è una questione di base, di vertice, di media, di cosmo, di popolo sociale o di popolo politico, questa è una questione che riguarda il nucleo centrale dell’esperienza di fede e questo comporta da parte di chi lo gestisce, da parte di Ruini che è un uomo intelligente e per parte sua è un impeccabile, un uomo incorruttibile, incorrotto, ineccepibile e non c’è niente di auto-indulgente in questo, avrebbe potuto fare il generale dei trappisti senza nessuna difficoltà, ma è la questione del rapporto come tale con il potere il punto che diventa decisivo, e quello diventa un criterio di appartenenza.

Allora, nella Chiesa cattolica romana che il potere sia il criterio di appartenenza o di non appartenenza alla Chiesa questo non può essere: se si ha, si dà l’impressione, diffusa, praticata da parte di tutti quanti, che lì comunque ci sia il centro delle questioni e che quello che la Chiesa può dare al paese sia solo questo: un contributo di stabilità di tipo politico.

Il risultato arriva al suo trionfo e alla sua fine con il passaggio della legge 40 e con la questione delle convivenze. La legge 40 perché un vescovo rigoroso come il cardinal Cafarra, un sincero conservatore per la fama che lo circonda, secondo me giustamente Cafarra dice: “Mi chiedete un giudizio di carattere morale sulla legge 40? L’ho provata, non rispecchia quelli che sono i principi della morale cattolica, quindi se volete fare una legge fatevela, non cercate di fare una legge che piaccia a noi perché una legge che piaccia a noi sulla fecondazione tecnicamente assistita tecnicamente non si riesce a fare senza incappare in qualche peccato mortale”. E come spesso è capitato nella storia italiana, un ragionamento che è proprio nella sua relativa intransigenza diventa, per una ragione paradossale, il più laico dei ragionamenti possibili. Perché dice: “Voi la fate e noi nei confessionali vedremo dentro il peccato; cosa possiamo farci? Questo tocca una cosa nella quale è possibile capire la mia posizione di tipo morale al di fuori di una logica della morale cristiana? No! Se non c’entra la morale cristiana non capite perché l’esclusione spermatica della legge 40 per me è un peccato che non si deve applicare a nessun caso: dunque se questo è un caso di morale usatelo e fate quello che vi pare”.

E sulla legge 40 il gioco fin troppo facile della vittoria per astensione rappresenta il vertice, la fine del ruinismo, fine che arriva davanti ai microfoni del TG2 la mattina dopo i referendum, quando Ruini sta andando a inaugurare una nuova sede dei TG Mediaset a Roma. E Brunelli, un giornalista del TG2, io non so se l’entusiasmo era la ragione di questa domanda o era invece una certa diffidenza, domanda a Ruini se a questo punto si rifarà il referendum sull’aborto. E Ruini dice: “No, l’aborto non si tocca, non si può fare un referendum sull’aborto”, che è lo smascheramento della fragilità di questa grande posizione che si presenta come una posizione ultra forte, ultra conservatrice, ultra vincente e che alla fine riesce soltanto ad avere delle cose molto banali, un po’ di soldi.

Già Casaroli aveva inventato un sistema per far sì che la Chiesa diventasse improvvisamente ricchissima con l’8 per mille che proiettandosi sull’intero bacino dei contribuenti e non su quelli che firmano, fa sì che la Chiesa cattolica lucri proporzionalmente tutto quello che non versano quelli che non firmano. Per cui la Chiesa cattolica raccatta qualcosa come 1.200 milioni di Euro l’anno, un miliardo punto due, un settimo di quanto costa l’istruzione universitaria. Non vorrei fare arrabbiare qualche vescovo, ogni tanto mi riesce, e gli dico che con meno della metà dei soldi Padre Gemelli avrebbe imposto in Italia la sharia. Questi con 1.200 milioni l’anno rappresentano la più grande industria italiana per utile netto dopo le tasse, il cristianesimo. E non si vede dove li mettano, onestamente, perché sì le chiese sono più belline, e questo fa piacere, i quadri sono più puliti, e anche questo va bene, anche qualche schifezza seicentesca ha un’illuminazione Ticino che farebbe invidia alla Gioconda, poi dove vanno a finire gli altri dovete immaginarlo. Io mi intendo di costi universitari, l’istituto universitario taliano costa 7 miliardi di Euro all’anno: allora, con un settimo del sistema universitario io mi sarei aspettato la cattolica di Palermo o l’ospedale S. Pio X a Treviso, sono delle cose importanti e alla fine tutto quello che si chiede sarà uno sconto ai beni di Don Verzè, non è un gran che, quello che si può ottenere con questi soldi.

Allora, la scelta di Ruini è quella appunto di non investire sulla formazione, che è la cosa più classica immaginabile per dei vescovi, ma di investire moltissimo in comunicazione: una televisione che ha pochissima audience, un giornale molto comprato dal punto di vista pubblicitario, questo tipo di cose… Ma poi al tempo stesso, dopo aver reclamizzato grandi cose, alla fine resta pochissimo e quasi niente, un pochissimo e quasi niente che condanna il sistema di potere ruiniano che, ci scherzavamo su prima di cominciare, ha il destino di tutti i sistemi di potere, sia quelli macroimperiali di lungo periodo, sia quelli microimperiali come era il micropotere dell’impero ruiniano.

Una volta che avete fatto un sistema di potere, c’è sempre qualcuno che nel momento in cui voi cominciate a perdere qualche colpo, o siete vulnerabili, pensa di prenderselo. È una legge, è come la legge di gravità, non è una cosa che dipende dallo Spirito Santo, è proprio una cosa banale, normale, naturale, per cui rinnovato una volta, rinnovato due, rinnovato tre, quando arriva la cosa dei Dico, la Segretaria di Stato capisce che è il momento di fare un colpo di mano e di portare a Bertone un tipo di dialogo col potere politico che nella sostanza non cambia, filo Berlusconi era prima, filo Berlusconi è dopo, incapace di distinguere una rava da una fava prima, incapace di distinguere una rava da una fava dopo. Cioè non c’è un cambio di rotta o di strategia, ma c’è l’idea che quel tipo di politica lì la faccio io.

Il che però comporta, e questa è una cosa di cui va dato atto al cardinale Bertone, comporta il fatto che assumere lui questo tipo di compito e incarico consente ai vescovi, oggi, di rimettersi a fare il loro mestiere, di provare a ridomandarsi se hanno voglia di fare una Chiesa italiana.

Naturalmente, i primi segnali di questi tre anni sono, come mi sembra inevitabile che fosse, anche molto contraddittori, non sono capaci di dire al papa come si fa l’arcivescovo di Milano, questa è una cosa difficile da fare. Poi avete avuto la sensazione che ci sia un’idea dei vescovi che dice al papa: “Guardi che Milano è importantissima, per cui a Milano ci vuole una persona, non Tizio o Caio, ma lei deve mandare una persona così e cosà, se non manda una persona così e cosà lei lo rovina perchè noi gliela faremo pagare”? Avete l’impressione che gli abbiano detto questo? No. Hanno detto: “Guardi, nel caso che lei proprio non trovasse nessuno se lei me lo chiedesse, io corro… poi veda lei cosa vuol fare e sapremo che cosa ha deciso di fare”.

E non c’è una presa d’atto, un elenco di quelle che sono le drammaticità della vita cristiana. Ripeto questo ritornellino ciellino dell’emergenza educativa, che poi nella pronuncia ciellina vuol dire qualche appalto per le scuole, e non riescono invece a rendersi conto che lì sotto c’è una questione molto grossa che tutte le famiglie sentono; non capiscono assolutamente nulla di nulla di che cosa voglia dire oggi per dei ragazzi mettere su una famiglia; sono convinti che le convivenze siano una cosa sporcacciona, una cosa assolutamente sporcacciona; è come se andassi a convivere io con una ventenne, lo considerebbero uguale. Che vergogna! Non capiscono niente sulla questione che oggi in Italia, non in una fabbrichetta sperduta del Casentino, ma nelle università italiane una dottoranda di ricerca non può rimanere incinta, chiaro?; un dottore di ricerca perde lavoro in caso di gravidanza ed è una cosa per la quale una conferenza episcopale provocatoria dice a tutte le dottorande: “La gravidanza ve la pago io, 12.000 Euro, quante sarete alla fine?, non resta incinta nessuna, con un milioncino me la cavo e faccio un figurone, un figurone bestiale”. Niente.

E non riescono a rendersi conto che dietro tutta questa retorica governativa, cristianistica, manca tutta una percezione di quelle che sono le cose che accadono. (Ecco, vedo che il mio direttore si è seccato con me, perché pensava che io avessi sollevato un putiferio, un pandemonio e invece non è successo niente.)

Alle future maestre e maestri italiani si può insegnare qualsiasi tipo di materia, semiologia del disco di vinile, ma non si può insegnare la storia del cristianesimo. Perché no? Perché devono fare 22 crediti di dati della matematica e devono fare 16 crediti di storia liberamente scelti tra storia romana, storia greca, storia medievale, storia moderna, storia della scienza, storia della filosofia, storia della finanza, storia dell’ebraismo, storia dell’Estremo Oriente, storia del vicino Oriente, storia dello scoiattolo vivo eccetera tranne che storia del cristianesimo che è l’unica esclusa. Perché tanto chi se ne frega che le maestre siano in grado di familiarizzare con i problemi trattati dalla storia della religione, che ce ne frega? Nulla.

Non riescono a vedere la tragedia che sta attanagliando l’episcopato. I movimenti 20-30 anni fa facevano gli antiterritoriali, quelli che parlavano male in nome delle istituzioni, in nome del carisma; adesso, appena uno ha un vescovo, bisogna darne uno anche a tutti gli altri se no si offendono, se uno ha un cardinale, bisogna dare un cardinale anche a loro, se no andiamo male. E poi i vescovi devono essere in zone geografiche specifiche perché devono anche accudire il movimento e se sono troppo lontani si stancano, quindi bisogna portarli più vicini al quartier generale. E questo non vale solo per CL, vale per tanti movimenti questo

Cioè, capitano delle cose che richiederebbero un enorme cura. Non so se ci vuole il modello Milano, ma di sicuro ci vorrebbe il modello Borromeo, ci vorrebbe il lanciafiamme per rimettere ordine a una serie di cose. Dimenticano di spiegare che cosa stanno facendo. La CEI ha fatto una revisione, una nuova traduzione della Bibbia. Allora, nella storia cristiana la traduzione della Bibbia è sempre un atto epocale, assolutamente epocale. Tu dici abbiamo tradotto la Bibbia… ma il monastero di Bose che non è la Chiesa italiana ma ha infinitamente meno risorse, la sua traduzione dei Salmi, ha fatto un periodo di sperimentazione e poi l’hanno ricorretta e alla fine l’hanno pubblicata così come deve essere tradotto David, non Enzo in italiano. Sulla Bibbia vuoi fare qualcosina? Oppure la pubblichi direttamente, vuoi provare a vedere che cosa succede? Quando io ho visto che la nuova traduzione della Bibbia era stata recepita dalle Edizioni Paoline come un prodotto, con il packaging adeguato ai diversi target commerciali e che questi target commerciali avevano i nomi dei luoghi santi… c’è la Bibbia a Ebron grossa grossa, c’è la Bibbia a Sinai rilegata in pietra, ci sono tutte queste Bibbie con i vari… mi sono venuti i brividi perché è veramente non rendersi conto di che cosa si sta facendo.

Ecco, questioni pastorali banali. Il popolo di Dio ha abolito la confessione auricolare, l’ha abolita per desuetudine; il popolo di Dio, dato che ha le sue abitudini può anche abolire la confessione auricolare per desuetudine, però una cosa che neanche il popolo di Dio può abolire è la penitenza, quella no. Allora, possiamo fare due chiacchiere sulla penitenza o no? No assolutamente. Con l’idea che tutto si giochi ancor oggi, molto forte, sempre meno forte ma ancora molto forte, che si giochi su alcune questioni etiche nelle quali si nega quella che è la tradizione dell’ortoprassi cristiana più sicura.

A me meraviglia moltissimo la discussione sull’eutanasia. Allora, il fine vita, ma non per un teologo progressista, omosessuale olandese di oggi, ma per un gesuita italiano del Settecento per una formazione cristiana tradizionale. È più importante la vita o il bel morire? Il bel morire, santo cielo. A morte subitanea libera nos, Domine. Non so a chi di voi sia toccato farli, ma li trovate forse anche su Internet, gli esercizi per una buona morte di Sant’Alfonso. Quando i miei piedi immobili mi annunceranno che l’ora della fine è presta a venire, o Gesù misericordioso abbi pietà di me. E c’è una descrizione di 100 sintomi della morte, il sudore freddo, i capelli ritti, lo sguardo…, la bocca impastata, le mani… un film dell’orrore, ma nasce l’idea che l’unica cosa importante della vita è il bel morire e il prepararsi al bel morire. Cosa me ne frega a me di vivere, niente. Se ho un minimo di formazione cristiana il fatto di stare al mondo lo considero l’ultima delle cose che mi possa interessare

Io ho sempre trovato un po’ esagerato il mio parroco che mi diceva di pregare sempre perché se sto per far un peccato mortale era meglio che morissi subito, perché mi sembrava un po’ massimalista come approccio, però questo era un insegnamento normale di un parroco di campagna.

Siamo entrati in questa specie di spirale dove c’è questa cosa che è la vita, che è una specie di fraternitas (?) sopraggiunta, rispetto alla quale si impedisce di mettere in comunicazione una cosa vera e drammatica che oggi esiste e che è quello dello spossessamento spedalizzante della morte, quell’incapacità di umanizzare la morte, ché se non umanizzi la morte non umanizzi neanche la vita perché le due cose si tengono fortemente insieme, e non si riesce a parlarne.

Io tendo a essere abbastanza ottimista, immagino che ci possano essere dei margini di recupero che possano venire e non verranno, su questo sono abbastanza convinto, dalla politica. Quindi sono abbastanza schifato quando ho visto che la domenica fra i due turni elettorali un amico ha scritto sul “sito dei tempi” che Pisapia era l’anticristo, perché per un verso mi sono detto: magari! Se l’anticristo fosse come Pisapia ce la potremmo anche cavare, faremo degli accordi e gli daremo come vice-anticristo il presidente della Casa della Carità e cominceremo a cambiare il mondo così.

Però non credo neanche al rovescio, non credo che la fine del berlusconismo, che comporterà una lunga agonia, non so quanto duri, 1, 100 o 1000 anni… ll cardinale Silvestrini che è un uomo che di politica se ne intende consolava un politico italiano dicendo: “Non preoccuparti, PierSilvio non è eterno”. Per cui non so quanto durerà tutto questo, non credo che da lì verrà qualcosa di decisivo e di buono, spero che qualcosa di decisivo e di buono per la politica economica, per la politica dell’occupazione, per la politica della ricerca, per la pubblica amministrazione, per il sistema fiscale, spero delle cose buone; ma questo tipo di livello per quel che riguarda esclusivamente in maniera radicale il dinamismo interno della Chiesa, molto soffocato e molto ristretto, nel quale non esiste zona che non sia stata contagiata. Non c’è che la logica di usare il metodo del potere come metodo di distinzione dell’appartenenza ecclesiastica e questo è diventato un criterio.

Mi ha colpito, se posso, delle cose che diceva Massimo Vicini alla fine, quando parlava della questione della mediazione e delle cose così, è esattamente, secondo me, la cosa è gravissima. Cioè pensare che ci sia ancora una logica del potere, o del potere come posizione, o del potere come mediazione, non so una specie di real politique che possa servire a rimettere insieme i cocci di una Chiesa in uno stato difficilissimo di recupero; c’è l’esigenza di ritrovare una spinta di radicalismo cristiano, di vita cristiana autentica, di spesa di sé, che va ricostruita molto pazientemente e con grande sicurezza sul fatto che almeno nella Bibbia, ma anche nella storia, certi esodi seppelliscono tutta la popolazione che ha iniziato il cammino e se si incomincia dopo e se si da accelerazione dopo, se Israele fosse uscita dall’Egitto ieri l’altro, la fine del cammino sarebbe arrivato nel 2051; senza ombra di dubbio non c’era la possibilità intermedia di sopravvivenza.

L’unica cosa che in questo consoli, e deve consolare molto, è il fatto che nella Chiesa le primavere arrivano sempre senza segni premonitori, per cui considero la gravità delle cose che stiamo attraversando, tutto sommato, come un buon segno. La cosa cui stare attenti, ciascuno soggettivamente per sé in base ai gradi di responsabilità e di esposizione che può avere, credo in questo momento, è quella di riuscire a conservare un grado di autenticità della parola, delle parole che si dicono, perché il rischio è quello di fare lo sport che va molto di moda, di inventare o di inventarsi profetismi più o meno improvvisati, dove c’era qualcuno che aveva in mano le chiavi del cambiamento e del bene rispetto al male che ci domina, ma non credo che questa sia la cosa.

Un altro rischio molto forte che è proprio della malattia di cui abbiamo sofferto, che è la malattia del potere, è quello dell’adulazione, che alla fine, per una ragione o per l’altra, si finisca lì. Tutto sommato,. alcune cose che abbiamo visto capitare lo fanno dire.

Volevo finire leggendo poche terzine di Dante (Inferno, XVIII), le ricorderete:

Luogo è in inferno detto Malebolge,

tutto di pietra di color ferrigno,

come la cerchia che dintorno il volge.

Nel dritto mezzo del campo maligno

vaneggia un pozzo assai largo e profondo,

di cui suo loco dicerò l’ordigno.

…..

Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso

vidi gente attuffata in uno sterco

che da li uman privadi parea mosso.

E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,

vidi un col capo sì di merda lordo,

che non parea s’era laico o cherco.

Quei mi sgridò:”Perché se’ tu sì ‘ngordo

di riguardar più me che li altri brutti?”

E io a lui: “Perché, se ben ricordo,

già t’ho veduto coi capelli asciutti,

e se’ Alessio Interminei da Lucca:

però t’adocchio più che li altri tutti”.

Ed elli allor, battendosi la zucca:

“Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe

ond’io non ebbi mai la lingua stucca”.

Appresso ciò lo duca: “Fa che pinghe”,

mi disse, “il viso un poco più avante,

sì che la faccia ben con l’occhio attinghe

di quella sozza e scapigliata fante

che là si graffia con l’unghie merdose,

e or s’accoscia e ora è in piedi stante.

Taide è, la puttana che rispuose

al drudo suo quando disse: ‘Ho io grazie

grandi appo te?’: ‘Anzi meravigliose!’.

E quinci sian le nostre viste sazie.”

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