Le parole giuste

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Giovanni BianchiNon metterebbe conto di occuparsi troppo delle deliranti parole che un parroco di Lerici – il quale evidentemente non deve avere molto da fare nel suo lavoro pastorale (a meno che, e sarebbe l’ipotesi più inquietante, non giudichi quello che ha fatto come parte integrante di tale lavoro)- ha mutuato da un sito internet per scrivere che, insomma, le donne che muoiono ammazzate dagli uomini in qualche misura se le sono andate a cercare.

La reazione, anche da parte ecclesiastica, è stata quella che doveva essere, e bene ha fatto il neo Vescovo di La Spezia mons. Luigi Palletti – già Vicario generale di Genova sotto i cardinali Bertone e Bagnasco – a imporre al sacerdote un periodo di silenzio e riflessione (se ne è capace). Meglio ancora sarebbe rimuoverlo definitivamente dal suo incarico, ma questi sono proprio problemi che riguardano la Curia spezzina.

I problemi però rimangono, e sono di due tipi. Il primo riguarda le fonti avvelenate a cui lo sciagurato prete si abbevera abitualmente, nel caso specifico un sito che porta il nome pomposo di “Pontifex” e si orna del simbolo del triregno e delle chiavi in modo da farsi scambiare per quello che non è, il portavoce ufficiale della Chiesa, e che utilizza le “interviste” a Vescovi anziani e forse non del tutto ancora in pieno possesso del loro senno per insultare quelli che la pensano diversamente da loro. Sono molti i siti di apologetica di questo tipo, così tanti da far pensare che siano in molti nella Chiesa a sostenere certe posizioni di odio congenito per la modernità, per il Concilio Vaticano II, per settori della Chiesa che considerano emissari di Satana, persino per gli ultimi Pontefici, compreso quello regnante, perché in fondo “modernisti”, e che hanno trovato un nuovo vigore dopo l’annuncio dell’imminente beatificazione di Paolo VI scatenando sulla sua memoria gli insulti più nefandi.

In realtà, a voler ben vedere, si tratta sempre delle stesse persone, sempre degli stessi temi e sempre delle stesse modalità con cui vengono comunicati, come pure le stesse persone, con  fantasiosi pseudonimi, scrivono su altri siti per inondarli delle loro fantasie reazionarie spacciate per verità di fede.

Ad esempio, su di un sito che – con pretesa d’ironia – si intitola “papale papale” un’illustre sconosciuta impartisce un’irritante lezioncina “esegetica” al cardinale Ravasi per spiegargli come qualmente tutti gli ebrei che vivevano a Gerusalemme e fuori fossero da considerarsi corresponsabili dell’uccisione di Gesù e che quindi, insomma, l’accusa di deicidio è ancora in piedi (l’antisemitismo in questi ambienti è molto bon ton).

Ci sono poi i teologi veri, anche se non di gran nome, la cui specialità è l’invettiva contro i più noti, i quali ovviamente sono noti e vendono libri perché sono asserviti al Principe di questo mondo: il loro bersaglio preferito è Enzo Bianchi, il quale peraltro per due volte è stato chiamato dallo schizzinoso Benedetto XVI come “esperto” al Sinodo dei Vescovi, cosa che non ha fatto con i suoi oppositori, forse perché ne ignora l’esistenza…

Ma qui ha ragione il sociologo Luca Diotallevi, che, intervistato dal “Foglio”, ha parlato di questo singolare sottobosco come di un prodotto di questa fase di transizione “in cui si creano gruppi marginali, ma anche molto numerosi, di individui segnati da una grande debolezza interiore. Questa si manifesta in una spasmodica domanda di sicurezza che cerca ‘assoluti’ e ‘compensazioni’ di ogni genere. In questi tempi la fede è sottoposta a prove dure, mentre le religioni fanno affari d’oro, gli dèi – anche mondani – godono ottima salute. Queste sacche di individui socialmente e culturalmente marginali cercano rifugio ovunque e finiscono per trovarlo dove capita. In ogni società ci sono residui culturali propri di tempi più semplici e più stabili che fanno alla bisogna: devozioni, mode, ideologie politiche, tradizioni popolari…(…) Da noi, in Italia, è la tradizione religiosa a essere più esposta a questo rischio di saccheggio e strumentalizzazione. In momenti come questi rigattieri senza scrupoli possono costruire una fortuna e un prestigio sociale sulla indigenza spirituale e la paura di tanti. La chiave di spiegazione di questi fenomeni non è ideologica, e tantomeno teologica. Qui semplicemente si specula sulla paura e la fatica di persone spiritualmente e culturalmente meno provviste, e per far questo si usano le idee o i simboli che funzionano. I significati sono un orpello. Mentre la chiesa educa alla maturità umana, gli imprenditori religiosi (fuori, ma a volte purtroppo anche dentro il cattolicesimo) investono sulla permanente dipendenza dei loro fedeli-clienti. Non è come in Francia dove vive ancora un filone di tradizionalismo religioso ultramontanista che – nel bene e più spesso nel male – difende delle ragioni. Da noi ci sono solo operatori del business religioso che arruolano dei deboli dando loro l’opportunità di sentirsi finalmente forti, e magari a volte di schiavizzare spiritualmente altri. Per loro la tradizione religiosa è un pozzo enorme da cui prendere senza scrupoli quello che serve. Sulla carta la fede cattolica ha mille antidoti contro l’idolatria e innanzitutto contro l’idolatria religiosa. Nella pratica però restano punti altamente critici. Uno di questi è costituito dall’abbassamento dei criteri di selezione del clero. “

Quest’ultimo riferimento ci permette di avvicinarci alla seconda questione, che è più importante e delicata, ossia la difficoltà a trovare, come suol dirsi, le “parole giuste” per parlare di certi problemi in un contesto secolarizzato che ha dei suoi propri canali espressivi ed uno specifico codice comunicativo. Che spesso vi sia una distorsione voluta e pervicace delle parole che vengono dalla Gerarchia ecclesiastica è un dato di fatto. Che vi sia però una reticenza a parlare di certi argomenti da parte di una Gerarchia per altre cose assai loquace è altrettanto evidente: lo dimostra la penosa vicenda della pedofilia in ambiente ecclesiastico, lo conferma l’imbarazzo su questioni che riguardano la questione femminile, la sessualità, la distinzione fra la riprovazione in termini morali dell’omosessualità e la difesa dei diritti dell’omosessuale in quanto essere umano.

Su tutte queste cose non si va mai oltre una certa genericità che nasconde la difficoltà di assumere un linguaggio alla pari con quello dell’uditorio, per cui non si entra (quasi) mai nello specifico dei problemi – come la questione del “femminicidio” che è al centro della polemica scatenata dal prete ligure- perché si ha paura di muoversi in un terreno minato in cui le bussole di prescrizioni etiche decontestualizzate servono poco e le regole del gioco sono dettate da altri.

A tacere poi della difficoltà di chiamare le cose con il loro nome, come ricorda la vicenda delle penose circonlocuzioni con cui certi importanti ecclesiastici “spiegarono” che sì, insomma, la vita privata di Berlusconi presentava aspetti a dir poco riprovevoli.

Qui il problema non è quello di affidarsi ad un qualche sapiente spin doctor, ma piuttosto quello di rivedere profondamente le modalità educative di chi deve portare parole universali di salvezza ma spesso è incapace di farlo, in parte per malizia altrui, molto per demerito proprio.

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