Comunanza, comunicazione, comunità nel mondo contemporaneo

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Dove nasce la discordia
(settembre 2009)

La “discordia odiosa di questo mondo” è la faccia notturna di un rapporto tra spiritualità e politica che è ancora da trovare. Non in una parte della terra anziché in un’altra, ma come condizione generale dentro una fase di globalizzazione che non a caso interessa tutto il mondo attuale. Essa cresce infatti nel paradosso di una globalizzazione che, mentre aumenta i legami reali fra le popolazioni, aumenta insieme le distanze sociali e culturali: non soltanto tra una nazione e l’altra, ma all’interno dei singoli Stati. È questa la radice della politica di potenza che si alimenta al permanere delle rendite di posizione dei vecchi e dei nuovi corporativismi, delle contrapposizioni ideologiche che continuano in duplice veste: o come residui delle ideologie dell’Ottocento, o come nuovi muri di contrapposizione delle “piccole patrie”.

È perfino rintracciabile là dove si stanno tentando politiche nuove di superamento dei vecchi regimi. Scrive Benedetto XVI nel’ultima enciclica, Caritas in Veritate, che “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo” (n. 3). Si tratta di affermazione assai meno scontata e assai più puntuale di quanto non possa apparire a prima vista. Non siamo soltanto di fronte al Papa filosofo che usa il fioretto della ragione confrontandosi con i concetti e i sentimenti: si concentra qui una sorta di chiave inglese con la quale smontare alcuni dei meccanismi della crisi in atto.

Mi rivolgo una domanda soltanto apparentemente spericolata e provocatoria. Non pensate che se tornasse tra noi l’antico sindaco di Firenze Giorgio La Pira avrebbe insieme il coraggio e il buonsenso di chiedere di mettere all’ordine del giorno di questa decantata globalizzazione il problema di una assicurazione sociale per tutte le donne e gli uomini del pianeta: un welfare mondiale, finalmente? Che senso ha proclamare dichiarazioni solenni sui diritti umani universali senza garantire un minimo di base materiale a tanta retorica? Quanti milioni sono i bambini e i minorenni al lavoro sul globo per consentire i nostri livelli di benessere a rischio?

Da tempo, come nel Macbeth di Shakespeare, siamo inseguiti da un fantasma. Ci è parso più volte insopportabile il divario tra ricchezza e povertà che l’economia globalizzata, pur producendo livelli di benessere estesi per miliardi di persone, ha però creato in alcune zone del pianeta e in particolare nel Continente Nero. Dai tempi di Raoul Follereau, il non dimenticato e pittoresco apostolo dei lebbrosi, abbiamo tutti appreso, al di là del vezzo letterario, ad usare statistiche e comparazioni per rendere evidente e addirittura didattico il divario dei beni a disposizione. E ci è parso che il dato di tutti più pregnante, con un uso puntuale delle statistiche, sia quello riguardante la vita media dei diversi popoli: laddove le ragioni strutturali e quelle antropologiche, non a caso si parla di “speranza di vita”, si concentrano ed evidenziano con maggiore efficacia. Ebbene, nell’attuale classifica mondiale al primo posto per longevità troviamo i giapponesi con 82 anni di vita media. Ovviamente il risultato è ottenuto facendo la media tra la speranza di vita delle donne, che risulta generalmente maggiore di quattro o cinque anni rispetto a quella dei maschi, e quella dei loro coetanei. Al secondo posto l’Italia, con una vita media di 80 anni. Anche in Italia le donne campano circa 4 anni in più. Al terzo l’Unione Europea nel suo complesso con 77  anni di speranza di vita. In Albania si scende a 76 anni, e nella Russia di Putin a 66. Sessantasei anni è la vita media in Bolivia. 74 in Messico e 70 in Brasile. In Africa campano settant’anni gli egiziani, 48 gli etiopici, 46 gli abitanti della Nigeria, 45 i sudafricani, 43 gli abitanti del Niger.

Difficilmente vicinanze e distanze in termini di benessere, di igiene e nutrizione possono essere così puntualmente valutate. I dati qui raccolti hanno come fonte l’Encyclopaedia Britannica dell’anno 2006. Ma il dato più con sconvolgente è un altro. Infatti per quel che riguarda gli Stati Uniti d’America non si dà la possibilità di fare la media tra la speranza di vita delle donne e degli uomini del Grande Paese, perché le statistiche risultano tuttora separate tra “ bianchi”: 76 anni di vita media, e “neri”: 71 anno di speranza di vita. Una statistica che con le sue due colonne la dice lunga su cultura e resistenze del Paese considerato leader del mondo.

Ovviamente la vicenda mi ha fatto pensare all’attuale battaglia del presidente Barack Obama per estendere il Medical Care a tutta la popolazione, a partire dagli alunni delle scuole. Negli Stati Uniti infatti l’assicurazione sanitaria e in generale le assicurazioni sono collegate al posto di lavoro, e vengono quindi meno con la perdita del posto medesimo. Tutto ciò dice quanto sia aspra la vicenda alla quale assistiamo e come costringa a pensare sui rapporti non soltanto in termini macroeconomici tra Nord e Sud del mondo, ma sui diritti umani e la loro realizzazione per le singole persone in carne ed ossa.

Perché la comunicazione è distorta

Assistiamo dunque ad una generale e vincente resistenza rispetto non solo al cambiamento, ma al cambiamento anche della comunicazione, delle modalità di informazione che possono consentire la creazione di una coscienza all’altezza dei tempi, non soltanto nei credenti ma in tutti gli uomini che si pongono seriamente in ricerca del senso della propria esistenza. Anche in Italia il consolidarsi del populismo vincente di Silvio Berlusconi può essere letto così: come l’assicurazione che non verranno toccati i rapporti di forza e di ricchezza, le rendite di posizione. Chi ha continuerà a possedere, e chi non ha otterrà buone parole. Il tutto naturalmente coperto da un rincorrersi di promesse lusinghiere e di prospettive di riforme che non verranno mai attuate…

E’ possibile un punto di svolta, e magari di “svolta a gomito”? C’è una condizione mondiale che deve essere affrontata prima di tutte: la finanza, contrariamente a quanto continua ad avvenire (anche nell’ultimo G 20 di Pittsburgh) deve lasciare il posto di comando e chiudere il “pilota automatico” degli animal spirits dal quale si è lasciata fin qui guidare. La politica deve recuperare la dignità perduta e un primato che non ha più da quando si è messa al servizio non tanto dell’economia reale quanto degli interessi finanziari e delle Borse di Wall Sreet, di Tokio e della City di Londra . Tutto ciò non può essere raggiunto senza un diverso livello di comunicazione, senza cambiare le modalità attraverso le quali gli uomini saranno in messi in grado di farsi un’idea responsabile delle condizioni reali del pianeta. Per questo deve essere recuperata l’universalità del termine “comunicazione” come pure l’universalità dell’accesso alle fonti dell’informazione.

Non a caso Karl  Popper, il filosofo teorizzatore della “società aperta” aveva in uno dei suoi ultimi scritti bollato la televisione come “cattiva maestra”. Non a caso il cardinale Carlo Maria Martini, già nel 1991, interrogandosi intorno a un incontro tra Chiesa e mass-media, scriveva nella lettera pastorale Il lembo del mantello che si trattava di reimpostare, anche nelle comunità ecclesiali, il rapporto tra coscienza e mass-media.

Voglia di comunità

Quel che importa è non dimenticare che senza “voglia di comunità” non saremo in grado di andare oltre gli annunci di una crisi la cui fine viene ogni volta annunciata dietro l’angolo. Troppi gli angoli di questa ideologia alla moda… Se da un lato riesce sempre più difficile pronunciare “Solidarity for ever, questa bella parola d’ordine che gli operai americani avevano coniato per dire legame sociale tra loro”, dall’altra non possiamo non concordare con Zygmunt Bauman quando realisticamente osserva che “la comunità è fatta di comprensione comune, dunque, quand’anche la si riuscisse creare, resterà sempre un’entità fragile e vulnerabile, costantemente bisognosa di vigilanza, fortificazione e difesa. Chi dunque sogna la comunità, nella speranza di trovarvi la tanto agognata sicurezza di vita quotidiana e scrollarsi di dosso l’incombenza di dover compiere scelte sempre nuove e rischiose, è destinato a restare deluso.”

Neppure si possono costruire relazioni, consci insieme della loro dignità e precarietà, dimenticando che già nel 1964 Bob Dylan cantava di fronte al mondo: “The times they are a-changin”… Nessuna illusione. Nessuna illusione né in un senso né nell’altro, perché anche dove le cose hanno ricominciato a correre migliorando, come negli Stati Uniti d’America, gli esempi negativi non mancano. Non è chiaro soprattutto quali siano gli uomini preparati e adatti a mettere le mani sulle nuove leve di un qualche “nuovo modello di sviluppo”, come si sarebbe detto nel linguaggio del Sindacato italiano di qualche decennio fa. Basti pensare a una circostanza. L’amministrazione statunitense è tempestivamente intervenuta per impedire il fallimento della più grande Agenzia di Assicurazioni, e quindi anche di pensioni d’anzianità e vecchiaia, l’AIG, di tutti gli States. Ebbene ai dirigenti che avevano condotto l’Agenzia sull’orlo del baratro sono stati distribuiti bonus in misura superiore al budget stanziato dalla Casa Bianca per ristrutturare l’intera rete ferroviaria degli Stati Uniti…

Per questo lavorare alla speranza, costruire relazioni solidali e momenti comunitari non è certo facile utopia, ma duro impegno quotidiano, ancorché sostenuto da un sogno incessante. Nella storia del francescanesimo e di tutto il cristianesimo non si tratta del resto di un novità. È l’altra faccia delle comunità “lamentose”. E’ anche la faccia possibile di una politica che deve recuperare, insieme al primato perduto, dignità, fiducia, disponibilità generosa e insieme concreta. Non vale la pena provarci?

Concludo questa riflessione, con un movimento che nel linguaggio musicale si potrebbe dire “in levare”, perfino salottiero. Georg Simmel viene considerato uno dei più grandi pensatori del Novecento tedesco, e non soltanto. Ha anche scritto cose interessantissime sulla filosofia del denaro. Simmel era anche esponente di spicco dell’establishment intellettuale cattolico del suo Paese e intimo alla curia della diocesi. Ebbe la ventura un giorno, anzi, una notte, di essere scoperto intimo della segretaria in un alberghetto di periferia. Il grande intellettuale ammise francamente la colpa, e poi dirottò dialetticamente l’argomentazione sul piano professionale. Disse: “Tocca al filosofo indicare la strada, non percorrerla.” Perfino simpatico. Ebbene, per il cristiano però le cose stanno esattamente al rovescio: nessuno gli rimprovererà una ancora insufficiente informazione filosofica. Il suo dovere piuttosto è quello della testimonianza.

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