Tecnologia e lavoro. Ivana PAIS e Michele FAIOLI
Mansioni e macchina intelligente.

Sabato 30 gennaio 2021, lezione on-line.

Il testo analizzato, mediante un approccio di tipo giuridico-scientifico, si articola principalmente attorno ad una lettura molto approfondita dell’articolo 2103 del Codice Civile, norma madre del sistema della mobilità endo-aziendale, in particolare così come è stato modificato dalla recente riforma del 2015, giacché il concetto di “professionalità” del lavoratore, dovrebbe essere maggiormente salvaguardato sia da adeguate statuizioni codicistiche, che soprattutto attraverso la contrattazione collettiva.

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Luca Caputo presenta la lezione – 6:02
Andrea Rinaldo introduce Michele Faioli e Ivana Pais – 22:13
Prima parte della relazione di Michele Faioli e Ivana Pais – 40:44
Commento di Andrea Rinaldo – 2:42
Seconda parte della relazione di Michele Faioli e Ivana Pais – 20:01
Commento di Andrea Rinaldo – 2:11
Terza parte della relazione di Michele Faioli e Ivana Pais – 20:56
Commento di Luca Caputo – 4:17
Prima serie di domande – 11:09
Risposte di Michele Faioli e Ivana Pais – 15:10
Seconda serie di domande – 19:49
Risposte di Michele Faioli e Ivana Pais, chiusura della lezione di Luca Caputo – 17:47

DIRITTI   DEL   LAVORO   4.0?

Introduzione al testo “Mansioni e macchina intelligente” [1]di Michele Faioli, a cura di Andrea Rinaldo.

Uno. Azienda, macchine intelligenti, lavoratori
Il contesto produttivo caratterizzato dall’innovazione tecnologica e dalla conseguente utilizzazione di “macchine intelligenti”, disegna scenari innovativi stabilendo la genesi  della cosiddetta Industry 4.0, dove gli algoritmi sono in grado di plasmare la materia fisica, mentre il lavoro umano si fonde con le protesi (esoscheletri ad esempio), e con congegni avveniristici.  Il testo che oggi analizziamo, mediante un approccio di tipo giuridicoscientifico, si articola principalmente attorno ad una lettura molto approfondita dell’articolo 2103 del Codice Civile, norma madre del sistema della mobilità endo-aziendale, in particolare così come è stato modificato dalla recente riforma del 2015, giacché il concetto di “professionalità” del lavoratore, dovrebbe essere maggiormente salvaguardato sia da adeguate statuizioni codicistiche, e soprattutto attraverso la contrattazione collettiva. L’autore vede così con favore il progressivo superamento di una fase interpretativa da parte del Giudice competente secondo il principio di “equivalenza” delle mansioni, in ragione di una tutela della professionalità di tipo “procedurale” – non astratta e sostanziale quindi – ma da relazionare al mutevole profilo organizzativo dentro la “fabbrica intelligente” del futuro. Determinare le “mansioni” vuole dire cercare un quadro di relazioni contrattuali che compongano gli interessi contrapposti, quelli storici della parte datoriale e del lavoratore, ma anche in riferimento ad un terzo corno della questione: il rapporto con la “macchina intelligente”.  Quindi una rilettura dell’art. 2103 situata nel confronto dialettico tra il diritto del lavoro e la tecnologia, e la definizione di possibili scenari in cui il diritto e la contrattazione collettiva, siano in grado di perimetrare il rapporto che si instaura tra la “macchina intelligente” che interagisce con il prestatore d’opera, poiché è in atto una trasformazione di tipo tecnico e nell’organizzazione del lavoro che non ha precedenti. Con esclusione però di ogni forma di riclassamento che nei fatti stabilisca uno svilimento della professionalità acquisita,  oppure in una sua più o meno surrettizia mortificazione. La temperie è quella socio-tecnologica dell’Industria4.0e della GiG-Economy, così per la prima, per la manifattura, è richiesta la regolazione della flessibilità interna (orario, retribuzione, mansione), mentre per la seconda, che riguarda la distribuzione dei beni e dei servizi, quella della flessibilità esterna (scelta tra tipi di lavoro, tra subordinato necessario e scelto). Il paradigma “liquido” della fabbrica che verrà incorpora un’organizzazione temporanea, dove l’instabilità di funzioni e la progettualità a breve termine, rendono “mobile” la professionalità del prestatore d’opera, anche se alcune pratiche di management possono rafforzare la partecipazione dei lavoratori nelle decisioni aziendali.  Una nuova teoria delle mansioni non può prescindere da questo scenario produttivo, dove le macchine sono intelligenti cioè in grado di autoapprendimento (“intelligenze artificiali”), e possono in alcuni casi anche arrivare a coordinare  il lavoro umano.

Due. Il novellato dell’art. 2103 prima del D.Lgs. 81/15
Il concetto di mansione pre-riforma del 2015 dell’art. 2103 ha oscillato tra due differenti prospettive: una visione “pratica” che le connotava come operazioni economico-sociali, ed un’altra che  ne poneva in evidenza il concetto giuridico connesso, cioè in sostanza una categoria della loro rappresentazione “formale”. L’evoluzione  dell’art. 2103 consisteva comunque  in apprezzabili modificazioni introdotte dallo Statuto dei Lavoratori già nel 1970, a sua volta successivamente profondamente rimodulato dal rinnovamento del Jobs act (D.Lgs. 81/15), per qualcuno però evidenziando progressivamente anche uno sbilanciamento degli interessi in gioco, a favore della parte datoriale.  Comunque il Giudice del lavoro prima del 2015, si trovava di fronte ad una norma di carattere generale a precetto generico, rispetto alla quale era tenuto a definire, caso per caso, la nozione di “mansione equivalente”. Il bilanciamento degli interessi era inteso come diritto del datore di lavoro ad una organizzazione aziendale più efficiente versus quello del  lavoratore a mantenere l’occupazione. La difficoltà del Giudice nel tratteggiare singolarmente le prestazioni equivalenti si è confrontata con la capacità sicuramente più puntuale della contrattazione collettiva di definirne i contorni.  L’autore segnala anche alcuni casi specifici a sostegno di questa tesi, giungendo così alla conclusione che la contrattazione collettiva, nazionale od aziendale, ha in alcuni casi “anticipato” il novellato dell’art. 2103 del 2015.  Inoltre che la variabilità delle mansioni dipende dall’organizzazione e dal livello tecnologico utilizzato nella singola unità aziendale, di qui l’idea che sia il sistema di classificazione prescelto a determinare successivamente la relatività delle mansioni.

La nozione di mansione post riforma del 2015 appare giuridicamente più articolata, e tale fatto trae origine da una certa inefficienza manifestata dalla forma precedentemente utilizzata di “equivalenza”, anche se la professionalità in generale, conserva comunque la sua finalità protettiva della dignità della persona.  Tuttavia non è più principalmente lo Stato attraverso l’articolazione locale della sua giurisdizione a dirimere la materia oggetto di contenzioso, ma è un rimedio “adattivo” posto in capo all’autonomia privata (contrattazione collettiva o individuale).  Inoltre il mutamento di funzione non è soggetto ad un regime di invalidità assoluta, mentre la tutela della professionalità appare principalmente legata all’appartenenza ad una certa classificazione contrattuale. La mansione diventa “riconducibile”, così che la stessa può essere oggetto di revisione anche in ragione di eventuali mutazioni del mercato,  introducendo quindi un elemento di flessibilità di stampo si potrebbe dire “neo-liberale”; l’inquadramento contrattuale e la categoria legale rappresentano in definitiva gli elementi giuridici di cornice con il punto fermo dell’entità della retribuzione.  Pertanto lo jus variandi  della mansionepuò  essere in peius (cioè peggiorativo), entro il recinto però di alcune guarentigie, oppure ottenibile mediante una “revisione negoziata” che può portare anche ad un “patto di retrocessione”, o ancora che determina una “mobilità geografica” (sotto il controllo sindacale), cioè uno spostamento fisico della sede di lavoro; ma anche in melius, nel senso cheal verificarsi di alcune condizioni consente un miglioramento della posizione del prestatore d’opera, se non una vera e propria assegnazione a “mansioni superiori”.  Le modificazioni unilaterali (della parte datoriale) appaiono a “struttura debole”, mentre quelle consensuali a cui si giunge attraverso una forma-procedimento diventano invece a “struttura forte”; le garanzie sono contenute principalmente appunto nella forma-procedimento, oppure (eventualmente) nella formazione ed  anche sono proporzionate dentro il livello della retribuzione. Se ne può dedurre che l’impianto dell’art. 2103 del C.C. post riforma del 2015, può essere considerato – e il nostro autore lo fa – parte di un sistema più vasto di tutele, basate però sulla combinazione di politiche attive e passive, e di contrattazione nazionale o aziendale, da collocare nel contesto “liquido” dell’instabile mondo della smart factory.

Quattro. Cyborg, cobot e lavoro umano
Quando un lavoratore interagisce con una “macchina intelligente” stabilisce con essa un processo di “ibridazione”, trasformandosi per così dire in una specie di “cyborg”, che nel linguaggio della fantascienza significa un individuo sul quale sono state impiantate membra sintetiche: siamo così di fronte ad un “cobot“, cioè ad una macchina collaborativa con l’elemento umano, cosa che peraltro avviene con frequenza anche al di fuori della fabbrica, ad esempio se un utente interagisce semplicemente con uno smartphone od un home computer.  Secondo il consigliere del Cnel qui con noi stamane,  nella “fabbrica 4.0” la contrattazione collettiva dovrebbe riguardare la gestione delle tutele di questo inedito processo di ibridazione, che è invece il tratto caratterizzante dell’opificio moderno, poiché incide sull’attribuzione delle mansioni. Industry 4.0 non è più infatti lo stabilimento Fordista del passato, ed essa influisce sul delicato equilibrio tra professionalità e retribuzione, implicando quantomeno la funzione regolatrice delle rappresentanze sindacali. Ma queste ultime  sono da relazionare alla loro capacità di rappresentanza, in una temperie di diminuita fiducia dei lavoratori nelle prerogative del sindacato; ad un tessuto produttivo italiano costituito in prevalenza da piccole e medie imprese poco sindacalizzate, in associazione con un mondo del lavoro dove coabitano differenti statuizioni contrattuali; ad una  normativa generale sempre più “fluida”, e tale cornice può costituire un elemento di debolezza della catena delle tutele. Inoltre vi è il tema aperto delle prerogative delle rappresentanze sindacali, così che il contratto stipulato in azienda sia esigibile anche nei confronti delle compagini eventualmente dissenzienti. Posto comunque che l’interazione tra la “risorsa umana” e la “macchina intelligente” è ormai un dato di fatto, resta da definire ai fini giuslavoristici il profilo civilistico di detta macchina, per la quale alcuni studiosi propongono addirittura l’attribuzione della personalità giuridica. Più prosaicamente all’attualità persistono responsabilità di danno – ad esempio – in capo al produttore di tali congegni, o al datore di lavoro in quanto ne trasmettono la sua volontà, mentre potrebbero essere anche in grado di dare in autonomia ordini al lavoratore o di variarne le mansioni, e su questo aspetto però latitano le tutele giuridiche.  Una eventuale regolazione dovrebbe tener conto degli aspetti di “intuizione”, “intelligibilità” e “adeguatezza” del rapporto tra lavoratore e macchina intelligente, mentre, il docente universitario qui con noi oggi,  prefigura una contrattazione di carattere aziendale problem solving orientata, che sia cioè in grado di colmare l’indeterminatezza su alcuni aspetti specifici relativi alla normativa vigente, come la sorveglianza diretta od indiretta o le questioni di privacy, oppure ancorale attualmente inesistenti RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) di filiera digitale o della catena di valore.

Cinque. Conclusioni provvisorie e qualche pressante interrogativo
A questo punto si può dire che il testo dell’art. 2103 del c.c. come modificato dal Jobs act (D.Lgs. 81/05), in tema di “mansioni” ha sancito che il lavoratore può essere assegnato ad una qualunque delle stesse all’interno però dell’area di inquadramento – così com’è previsto peraltro nel pubblico impiego (D.Lgs. n. 165/01 art. 52) – purché appunto rientranti nella medesima categoria legale (dirigenti, quadri, impiegati, operai), e non più però soltanto a mansioni “equivalenti”, cioè che implicano l’utilizzo della medesima professionalità, aprendo la via per una nuova “procedimentalizzazione”.  Siamo così di fronte ad un “cambiamento sistemico”, dove la contrattazione collettiva assume una notevole centralità ed una funzione gestionale nel bilanciamento di interessi contrapposti, poiché è più esteso lo jus variandi del datore di lavoro, quindi è assolutamente necessario garantire un impatto sociale positivo, ed una identificazione di procedure vincolanti e replicabili.  Con un problema però, visto che l’intervento delle parti sindacali avviene ex-post  le necessità di innovazione individuate dalla parte datoriale, e considerato che l’eventuale re-skilling del lavoratore può essere anche di tipo individuale, rimane poco spazio per la contrattazione e soprattutto per quella di secondo livello.  Uno degli aspetti meno pubblicizzati dei diversi decreti attuativi del Jobs act è stato sicuramente quello relativo alla disciplina delle mansioni, ed è anche vero che qualche parte sindacale  ha parlato apertamente di raggiunta libertà di “demansionamento” con la scusa dell’innovazione tecnologica, senza neanche il vincolo della necessaria formazione, e di “orientamento antisindacale”, giacché l’indirizzo politico del provvedimento apparirebbe sbilanciato in favore delle imprese.  E’ certo che la questione della formazione appare sicuramente l’anello più debole della filiera delle novità introdotte nel 2015.  La norma prevede inoltre la possibilità di modificare le mansioni, nonché la categoria legale ed il livello di inquadramento e la relativa retribuzione, attraverso accordi individuali “assistiti in sede protetta”, sottoscritti cioè in sede sindacale o presso la direzione territoriale del lavoro, oppure nelle commissioni di certificazione. Si potranno così modificare le mansioni, nell’interesse del lavoratore nel manifestarsi di queste tre evenienze: conservazione dell’occupazione (per evitare il licenziamento insomma); acquisizione di una diversa professionalità; miglioramento delle condizioni di vita; con il rischio concreto però che così facendo, si possano validare circostanze effettive di demansionamento, peggiorando gli accordi d’impiego previsti da norme e contratti. In aggiunta c’è tutto il tema in generale della distruzione/creazione di posti di lavoro connessa alle logiche legate alla Industry 4.0 ed all’automazione, che rendono rapidamente obsoleta la professionalità del lavoratore, oltre che i limiti della sua capacità di resilienza in relazione alla sua anzianità sia lavorativa che anagrafica. Forse sarebbe utile una riflessione magari su una nuova “carta dei diritti universali del lavoro”, che comprenda anche l’universo della “fabbrica smart”, poiché è evidente che all’attualità le macchine intelligenti siano da considerare come un possibile “terzo elemento” del contratto di lavoro, comunque sempre con un significativo rimando alla funzione integratrice della contrattazione collettiva, che non può però essere subalterna all’innovazione tecnologica. Chi ha una opinione  positiva, afferma che il  nuovo regime dell’art. 2103 del C.C. sia una norma di impostazione europea della flessibilità endoaziendale, che ha attinto dalle esperienze del Vecchio Continente più interessanti. Si è dimostrato comunque nel lavoro svolto dal prof. Faioli, che al fondo della dignità umana nel contesto aziendale, c’è per così dire una “forma-procedimento” non soltanto appunto formale, ma sostanziale e giuridicamente validata, che è anche una modalità di tutela del “bene comune” della professionalità.  Possiamo così sperare che la prassi stabilirà con il tempo delle modalità di contrattazione collettiva accettabili, giacché non si può certamente sacrificare la dignità del lavoratore sull’altare di una competitività che è sempre più spinta, invocando a suo carico la repentina obsolescenza delle conoscenze e di fatto comunque consegnandolo nelle mani dell’accresciuto potere di deterrenza posto in capo al datore di lavoro, senza però degli adeguati controbilanciamenti. Un sentito ringraziamento al professor Michele Faioli ed alla professoressa Ivana Pais

[1] M. Faioli, Mansioni e macchina intelligente – Giappichelli Editore, Torino, 2018.


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1 – Luca Caputo presenta la lezione – 6:02
2 – Andrea Rinaldo introduce Michele Faioli e Ivana Pais – 22:13
3 – Prima parte della relazione di Michele Faioli e Ivana Pais – 40:44
4 – Commento di Andrea Rinaldo – 2:42
5 – Seconda parte della relazione di Michele Faioli e Ivana Pais – 20:01
6 – Commento di Andrea Rinaldo – 2:11
7 – Terza parte della relazione di Michele Faioli e Ivana Pais – 20:56
8 – Commento di Luca Caputo – 4:17
9 – Prima serie di domande – 11:09
10 – Risposte di Michele Faioli e Ivana Pais – 15:10
11 – Seconda serie di domande – 19:49
12 – Risposte di Michele Faioli e Ivana Pais, chiusura della lezione di Luca Caputo – 17:47

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