Un maestro di fede e di vita

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Charles de Foucauld non avrebbe mai pensato alla beatificazione: nella prima parte della sua vita, dominata dall’ orgoglio nobiliare, dal piacere e dall’ ambizione, avrebbe riso di una cosa che considerava sciocca. Nella seconda parte, avrebbe pensato con timore e tremore ad un simile onore che avrebbe giudicato alla stregua dell’ estrema tentazione in una vita ormai dedicata al nascondimento, al farsi ultimo fra gli ultimi in nome di quel Maestro che era diventato l’ amore ed il punto di riferimento inevitabile della sua esistenza.

In questo senso, posso immaginare il senso di straniamento che i suoi seguaci, quei Piccoli fratelli di Gesù per i quali padre Charles scrisse una regola che non vide mai applicata perché nessuno condivise la sua solitudine prima a Nazareth e poi a Tamanrasset, in mezzo al Sahara, hanno provato nel momento in cui, ancora vivente Giovanni Paolo II, la Congregazione per le cause dei Santi ha annunciato che, dopo tutto,anche l’ eremita e martire del deserto sarebbe assurto agli onori degli altari.

In effetti, la regola dei “Petits freres” ha ben poco di attraente: essa comanda a ciascuno di loro una vita nascosta, un apostolato fatto più di gesti quotidiani che di parole, il lavoro manuale in luoghi spesso distanti da quelli natii, un taglio deciso rispetto al  passato e agli affetti più cari. Non è un caso che quando Carlo Carretto, dopo la rottura con Gedda e con l’ entourage di Pio XII, decise di lasciare l’ Italia e la vita associativa per unirsi ai Piccoli fratelli nel deserto alegrino, si sentì raccomandare dal maestro dei novizi : “Il faut faire une coupure, Carlo”, ed egli intuì che questo “taglio” era quello del cordone ombelicale , di un passato anche buono e piacevole ma che ora non era altro che un impedimento alla nuova vita. E Carretto quella sera stessa bruciò l’ agenda dove erano segnati i nomi, gli indirizzi e i numeri di tutte gli amici che aveva conosciuto in vent’ anni di indefesso lavoro apostolico nella GIAC.

E’ sintomatico che proprio le persone più impegnate nella vita pubblica abbiano sentito così forte il richiamo del modello di vita proposto da de Foucauld e attualizzato da quel genio teologico ed apostolico che fu Renè Voillaume, al quale solo la morte, avvenuta due anni fa, ha impedito di poter essere presente alla beatificazione del Fondatore. Facendo riferimento alla mia esperienza potrei parlare di due sacerdoti ambrosiani, don Paolo Villa e don Raimondo Bertoletti, ambedue assistenti delle ACLI milanesi fortemente impegnati nella dialettica del movimento operaio negli anni Cinquanta, scelsero la via del noviziato fra i Piccoli fratelli di Gesù vincendo le resistenze del loro Arcivescovo – che si chiamava Giovanbattista Montini – per andare l’ uno a morire di un male inesorabile in Giappone, l’ altro, dopo una vita di duro lavoro come camionista e scaricatore di porto a Marsiglia, a spegnersi ora lentamente in una clinica milanese.

Due vite bruciate, qualcuno forse direbbe sprecate “con il tanto bene che si potrebbe fare qui” come recriminò il cardinale Montini in una lettera a don Raimondo: eppure per loro, come per gli anacoreti dei primi secoli della Chiesa, vale il principio di quella profezia che si colloca al di fuori delle mura della città secolare non perché la rifiuti o la spregi, ma perché ritiene che il modo migliore per servire gli altri sia quello di essere vicini a loro nella preghiera, nel nascondimento, nell’ oblazione quotidiana di sé, nello scandalo e nella follia della Croce che può esprimersi sia nel lavoro oscuro e diuturno, sia nei gesti enormi come quello del cardinale arcivescovo di Marsiglia Robert Coffy quando andò a dire Messa nella due stanzette cadenti che formavano l’ abitazione di fratel Raimondo e prese il caffè nel bar sottostante insieme alle prostitute, ai ladri e agli immigrati magrebini che erano i vicini di casa e gli amici  di quel seguace di padre Charles.

Come ha giustamente ricordato Benedetto XVI nell’ Angelus seguito alla cerimonia di beatificazione il 13 novembre, Charles de Foucauld è stato un precursore del Concilio Vaticano II, in particolare di quella universale vocazione alla santità che l’ assise ecumenica chiusasi quarant’ anni fa richiamava a tutti i credenti, ed in particolare ai laici, a quei laici che vivono nella quotidianità e nell’ asprezza di attività lavorative, di rapporti familiari ed umani non sempre lineari e non sempre pacifici, e che anche attraverso tali difficoltà cercano di vivere in maniera degna di Cristo operando nello stesso tempo per fare la città dell’ uomo sempre più a misura d’ uomo.

Nei deserti reali e in quelli che a volta creiamo nelle nostre città, l’ esempio e l’ opera di uomini per nulla eccezionali che però sanno fare cose eccezionali perché li muove una fede operante che diventa capacità di amare e di costruire un mondo diverso insieme a tutti gli uomini di buona volontà, è un eccellente viatico per il futuro.

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