Vescovo a Milano

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Giovanni BianchiIl solenne ingresso in Diocesi del card. Angelo Scola è stato salutato da una presenza di folla strabocchevole, in Duomo e fuori, presenza certo ovvia nel momento in cui un nuovo Vescovo della Diocesi di Milano si insedia sulla cattedra di Sant’Ambrogio, ma che dice anche delle aspettative che credenti e non credenti coltivano rispetto a colui che è stato chiamato a raccogliere un’eredità impegnativa come quella dei cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, per dire solo dei suoi due immediati ed ancora viventi predecessori.

Proprio il card. Tettamanzi, consegnando al nuovo Arcivescovo lo storico pastorale che fu di san Carlo Borromeo, gli ha ricordato, rifacendosi a sua volta al card. Martini,che questa dignità può essere pesante, ed il nuovo arrivato a sua volta ha replicato che lo sarà molto di meno se egli verrà aiutato a portarla da coloro che sono stati affidati alle sue cure pastorali. In effetti, la cifra di questa richiesta di collaborazione è perfettamente leggibile nell’omelia che il card. Scola ha tenuto basandosi sulle lettura della festa di Sant’Anatalo, primo Vescovo di Milano, che ricorreva per provvidenziale coincidenza proprio il 25 settembre, giorno del suo ingresso in Diocesi.

In particolare, per sottolineare la sua peculiare lettura della comunione ecclesiale, il Cardinale ha voluto richiamare un passo della Lettera agli Ebrei in cui si raccomanda di “obbedire ai capi e stare loro sottomessi perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto “. In tali parole il nuovo Vescovo intende significare non una volontà di dominio, ma insieme un dovere pressante, quello del Vescovo stesso che a Dio e alla Chiesa dovrà rendere conto del formidabile compito a lui affidato, e quello di una comunità responsabile che vive l’obbedienza non nella passività ma nella forma della collaborazione, seguendo tre orientamenti fondamentali, a loro volta espressione delle Sacre Scritture: “una tensione indomita a fare il bene ed evitare il male, la pratica del culto cristiano (…) che consiste nell’offerta di sé (…) la decisa assunzione degli obblighi sociali, attraverso l’esercizio delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza”.

Non è un caso del resto che lo stesso passo della Lettera agli Ebrei sia stato citato dal card. Martini nel breve scritto di saluto al nuovo Vescovo pubblicato sulla prima pagina del “Corriere della sera” del 25 settembre, e che il card. Scola abbia ricordato, aggiungendo a braccio una considerazione ulteriore a quelle già riportate nei saluti finali, che anche questo scritto ha rafforzato il rapporto di comunione e vicinanza con il biblista divenuto Vescovo e cardinale.

Certo, ognuno di noi è figlio della sua storia, e il ricordo particolare che il Cardinale ha voluto dedicare, fra i suoi maestri, a mons. Luigi Giussani è lì a simboleggiarlo, ma è stato altrettanto significativo, fra gli altri, il ricordo della “sofferta figura” di Ambrogio Valsecchi, il grande teologo morale che fu per anni una delle “stelle” del Seminario di Venegono e che successivamente, a causa di incomprensioni per le posizioni assunte dopo il Concilio (da cui il sarcastico soprannome affibbiatogli di “Valsexy”), lasciò il sacerdozio e si sposò per poi morire improvvisamente. Insomma, chi è consapevole di venire da una storia specifica, ed è radicato in essa, e sa di non doversi vergognare di nulla al netto degli errori che la fragilità umana impone, può allo stesso tempo essere autenticamente libero e rispettoso verso le storie altrui sapendo, con la saggezza del credente, che tutto verrà riassunto nella più alta prospettiva dell’amore di Dio.

Un’altra provvidenziale coincidenza di questi giorni è quella fra l’inizio della nuova attività pastorale della Diocesi di Milano e la riunione del Consiglio permanente della CEI nel corso della quale il card. Bagnasco ha fatto punto rispetto allo squallore morale e all’inconsistenza politica dell’attuale Governo e di chi lo guida. Una volta di più pastori e popolo di Dio, a Milano come in tutta Italia, sono chiamati a camminare sulle strade degli uomini proponendo essenzialmente il Vangelo come base di una vita buona, e non ricette univoche, astratte dalla vita proprio perché pensate a tavolino e calate dall’alto.

La vita buona, infatti, nasce essenzialmente dal rispetto della libertà e dell’adultità delle persone, non si impone ma si propone, e non cresce nell’uniformità, ma, come scrisse proprio il card. Scola nel suo primo messaggio alla Chiesa di Milano, si alimenta della “pluriformità”.

Chi se lo dimenticasse, dovrebbe affrontare magari non le manifestazioni tipiche di altre latitudini che magari hanno indotto certi Vescovi a rimettere il loro mandato, ma quella peculiare specialità italiana che è la resistenza passiva, che è in grado di far male più di mille proteste di piazza.

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