Pio Parisi. Dialoghi sulla laicità.

La laicità coincide con la fede stessa. La fede cristiana non può che essere una fede laica e una fede laica non può che essere una fede profetica. Il vocabolo laicità vuole esprimere il compito che è stato affidato al popolo di Dio dal Padre, mediante Cristo e nella forza dello Spirito: compito profetico in progressiva attuazione.Il popolo di Dio ne può assumere la responsabilità, solo in quanto prende coscienza del fatto che il Padre lo rende partecipe alla finalità del Cristo. Laicità e profezia sono due aspetti coessenziali della fede cristiana . La laicità in quanto tale è essenzialmente profetica. Non esiste una laicità della fede che non sia profetica. Dal termine laicità siamo ricondotti al termine profezia e viceversa. Cosa vuol dire profezia? Lo si è visto: essere partecipi alla finalità del Cristo.

1. leggi il testo dell’introduzione di Giuseppe Trotta

2. la trascrizione della relazione di padre Pio Parisi non è disponibile

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Testo dell’introduzione di Giuseppe Trotta a padre Pio Parisi

E’ un’impresa collettiva quella che ci offre questo volume: più persone impegnate ad esplorare il pianeta della laicità. Non si tratta solo degli autori del libro (padre Mario Castelli, padre Pino Stancari, padre Saverio Corradino, padre Pio Parisi, padre Remo Sartori, padre Francesco Rossi de Gasperis), ma di un gruppo più vasto di persone, citato all’inizio del volume, che hanno partecipato all’impresa con più o meno assiduità.

Del gruppo stretto degli autori va detto che sono tutti gesuiti. E’ noto quanto sia disperante trovare un filo comune tra i “gesuiti”, qui un filo comune c’è, ed è profondo. Quando personaggi così diversi riescono a ragionare così interiormente insieme è il caso di parlare di un’amicizia spirituale. Definizione forse scialba, se la prendiamo superficialmente, unica se ne intendiamo l’interiorità, che non è fatta solo di attenzioni, di gesti, di stima ma dell’essere in un assillo comune con le stesse domande. Chi conosce gli autori sa l’enorme differenza del loro carattere, della loro storia, del loro lavoro. Mario Castelli è stato responsabile di Aggiornamenti Sociali, ha avuto cariche di primissimo piano nella Compagnia di Gesù; Pio Parisi ha diretto per diversi anni la Cappella Universitaria della Sapienza di Roma, poi ha lavorato alle ACLI, ora, tra le tante cose, lavora nell’associazione S.Pancrazio; Pino Stancari è insediato da anni alla periferia di Cosenza ed è noto per le sue straordinarie lectio, Francesco Rossi de Gasperis insegna all’università di Gerusalemme, Saverio Corradino, genio matematico, si è interessato di storia della scienza, in particolare del ‘600. Insomma cosa hanno in comune storie così diverse? Certo un’amicizia cresciuta per alcuni nella Compagnia, ma, dicevo prima, un assillo e un comune modo di domandare. Cos’è quest’assillo? La laicità.

Il volume è traccia di un lavoro iniziato circa 20 anni fa, che è andato oltre il libro in questione e che vede ancora coinvolti gli autori, quelli almeno che sono rimasti. Padre Mario Castelli e padre Saverio Corradino sono morti nel 1997. Sentiamo come padre Parisi in una sua intervista ricostruisce quest’iniziativa:

Avevo fatto tante altri riunioni, anche con i gesuiti, come padre Bonato, ma una volta ci trovammo in via degli Ortaggi (Corradino, Castelli, Stancari e io) e iniziammo una cosa sistematica. Scegliemmo tutti il tema della laicità, diversissimi tra di noi, pensavamo tutti la stessa cosa sulla laicità. Difficile fu farlo capire agli altri.. E’ stata una cosa grossa e continua per tanti anni. Avevamo registrato tante cose, avevamo tanto materiale e a un certo punto decidemmo di prendere una parte di questo materiale e farne un libro. Siamo stati 15 giorni insieme a Campo di Giove, tranne Stancari che si fermò solo otto giorni. Io pensavo a tutta la parte logistica, preparavo da mangiare ecc. e loro stavano lì, tutti quanti intenti .. Lavoravano sodo con la macchina da scrivere. La sera per riposarci andavamo a spasso a vedere le costellazioni. Castelli era agli inizi della malattia.. Prima le riunioni le facevamo alle ACLI, vi partecipano parecchi. C’è ancora tanto materiale che non è stato pubblicato.

Ma torniamo alla nostra domanda iniziale: cos’è la laicità. Anche qui, come nel volume che abbiamo presentato l’anno scorso, è importante un’avvertenza: siamo oltre le categorie consuete con cui nel mondo cattolico viene usata questa parola, oltre quel patrimonio maritainiano o lazzatiano su cui si sono formate generazioni di cattolici italiani. Ma sentiamo direttamente gli autori:

la laicità è la condizione del cristiano, o del battezzato, come tale; esprime la dimensione carismatica dell’esistenza cristiana. (9)

Come dire, e dall’inizio, la laicità coincide con la fede stessa. La fede cristiana non può che essere una fede laica e una fede laica non può che essere una fede profetica.

Il vocabolo laicità vuole esprimere il compito che è stato affidato al popolo di Dio dal Padre, mediante Cristo e nella forza dello Spirito: compito profetico in progressiva attuazione.Il popolo di Dio ne può assumere la responsabilità, solo in quanto prende coscienza del fatto che il Padre lo rende partecipe alla finalità del Cristo. (10)

Laicità e profezia sono due aspetti coessenziali della fede cristiana . La laicità in quanto tale è essenzialmente profetica. Non esiste una laicità della fede che non sia profetica. Dal termine laicità siamo ricondotti al termine profezia e viceversa. Cosa vuol dire profezia? Lo si è visto: essere partecipi alla finalità del Cristo. Ma sentiamo padre Castelli:

Per laicità intendiamo infatti il prolungamento dell’opera del Figlio di Dio, per il quale ogni cosa che esiste fu fatta e salvata: prolungamento che è compito del popolo di Dio nella storia degli uomini: ed è profezia di assunzione di ogni autentico valore nella realtà del Regno che il Figlio consegna al Padre. (17)

Siamo solo alle prime pagine del libro e ci troviamo in alto mare, improvvisamente sbattuti in acque profonde. Due sono le cose possibili: o affogare subito, o cercare di imparare a nuotare. Cioè di capire. Gli autori ci mettono sull’avviso:

Questo discorso sulla laicità è inteso a rettificare altre accezioni di laicità, che si sono storicamente affermate.. in modo da recuperare un discorso unitario, nel quale siano superate posizioni devianti sia nell’ambito della Chiesa che nell’ambito della cultura… (11)

Quali sono questi luoghi comuni? Inanzitutto quello di considerare “laici” quei valori comuni che prescindono dalla rivelazione. Dirà in un altro luogo Pio Parisi:

la laicità, anche fra i cristiani, viene generalmente intesa come autonomia, peer esempio dell’economia e della politica. Nei confronti di.. Questo è il punto che spesso non viene chiarito. Si dice autonomia ma non si chiarisce nei confronti di chi. Della morale, delle ideologie, degli schieramenti politici, dei poteri, dei preti? Quando non si chiarisce nei confronti di chi e di che cosa si rivendica l’autonomia si finisce per farne un assoluto. E così, in modo più o meno esplicito, si afferma l’autonomia neio confronti dell’Assoluto, di Dio, della sua Parola, del Mistero che tutto fonda e attraversa.

Ci troviamo insomma dinanzi ad un radicale rimescolamento delle carte: non mondo e spiritualità, ma spiritualità del mondo: è questo lo sguardo del cristiano. Non c’è alcune sepaeratezza tra mondo e spirito. La laicità è proprio lo sguardo che sopprime questa separatezza. E’ lo sguardo della fede, è lo sguardo di Gesù di Nazareth. Non questo mondo e l’altro mondo, ma questo mondo nella terrestrissima prospettiva della redenzione.

Mi sono spesso posto la domanda: ma da dove viene quest’assillo della laicità della fede? E’ certamente una questione ecclesiale, ma penso che al fondo ci sia anche un dato biografico, un dato generazionale. Nel volume sono soprattutto gli interventi di padre Corradino ad evidenziare questa filigrana nascosta. Cosa era la Chiesa degli anni 30 o 40? Un altro mondo, contrapposto a questo mondo. C’era appunto un “mondo cattolico” e c’era un “mondo laico”. Due mondi diversi, contrapposti, che non si parlavano se non nella contrapposizione, o,peggio, nell’indifferenza. La Chiesa come mondo separato è una Chiesa che si parla addosso. Una Chiesa clericale. Sentiamo Corradino:

Quindi la Chiesa come entità a sé, separata dal mondo, fiera talvolta di tale separazione come di un eroico dovere adempiuto. E il mondo come entità autonoma e totalizzante, che considera la Chiesa come un fatto interno, che appartiene al proprio passato.. Si vada a vedere il manuale di lettura del Casati..

E’ indicativo il ricordo del manuale del Casati. Ma è questa una situazione che potete leggere anche nella lunga intervista con padre Pio Parisi che prima citavo. Questa situazione si è rotta, è esplosa tra la fine degli anni 50 e 60. La parola “esplosa” mi sembra la più appropriata: quanto più forte era stata la chiusura, tanto più liberante deve essere l’apertura. E dov’è l’apertura? Quali sono i modo di quest’esplosione? La scoperta della laicità come dimensione propria della fede, la natura eminentememnte profetica di questa laicità. Sono cose accennate nell’introduzione ma che trovano nel testo il loro approfondimento.

Prendiamo ancora una riflessione di padre Corradino:

Una Chiesa separata dal mondo è in condizione simile a quella di Israele prima di Cristo. Con la differenza che Israele in quel suo isolamento monastico, che riusciva a portare con se persino nella diaspora, viveva il privilegio di popolo di Dio;mentre per la Chiesa il discorso è tutto diverso;la sua missione di testimonianza è ben più radicale di quella di Israele e un simile ritorno contraddice la novità del Signore. (56)

La Chiesa è esattamente l’esplosione della separatezza di Israele. Non esiste, non può esistere un particolarismo cristiano, proprio perché il cristianesimo è il farsi universale del messaggio di salvezza: a tutto il mondo, per tutto il mondo. Ciò che fa esplodere questo universalismo è la morte e la resurrezione del Signore, di Dio Stesso.

Dalla trasformazione cosmica operata visibilmente nel mistero pasquale l’intera umanità viene coinvolta, lo sappia o no. E l’intera umanità è la Chiesa, nel senso che ogni uomo, e ogni valore istituzionale umano, ha un rapporto esistenziale con il corpo del Signore; e nei suoi confronti – nei confronti del singolo e delle società umane – opera una chiamata che non avrà mai fine. La Chiesa è appunto la traccia visibile di questa chiamata (ecclesia=convocazione); è l’inizio ancora incompleto di una figura finale cui essa deve dare adempimento, senza poter vantare pretese su altri oltre che su se stessa. (63)

Sono riflessioni decisive per intendere tutto lo spessore della laicità. A me ricordano l’impeto di lapiriano sulla resurrezione di Gesù che trascina il mondo in un vortice inesauribile,incontenibile. Il mondo. Tutto il mondo. Non solo la Chiesa o i cristiani, ma Kennedy, Kruscev, le guerre, le rivoluzioni del terzo mondo, la lotta per la pace. La Pira parlava di “terrazze apocalittiche” della storia contemporanea. E queste terrazze apocalittiche erano possibili, erano visibili, grazie alla resurrezione di gesù. In questo senso tutta la storia dopo Cristo è storia contemporanea. Non esiste una storia sacra e una storia profana, ma una unica storia che è quella della salvezza. E questo si riverbera all’interno stesso della Chiesa, rimettendo in discussione modi di dire radicati. Affermerà Mario Castelli che non è vero che ” la consecratio mundi esprima “il compito proprio del laicato cristiano”. La consecratio mundi diventa ” il fine stesso della Chiesa nella sua totalità: non come compito riguardante una creazione transitoria, ma come transito di ogni reale valore dalla stadio attuale della corruttibilità a quello futuro della incorruttibilità”.

Non esiste nemmeno una storia ecclesiastica. Qual è infatti la forma che assume la Chiesa e ogni battezzato nella morte e nella resurrezione del Signore? Quella del sale, quella del lievito. Una forma cioè che si scioglie, che non è per sé, ma per l’altro. E l’altro è il mondo intero. Non lo si dice nel testo, ma lo rilascia chiaramente capire: le forme del sale e del lievito sono forma eminentemente laicali. Esse non consistono in “essenze”, ma si dissolvono in relazioni, in dono di sé, perché il mondo cresca nella resurrezione. Sentiamo ancora padre Corradino:

Appena si tenti di prenderla sul serio, questa certezza di fede esige compromissione, impone responsabilità misteriose e pesanti, esclude alle radici il disimpegno, la separazione, i corsi paralleli tra chiesa e mondo, la possibilità di evitare lo scontro. Il vero punto di contatto tra Chiesa e mondo rimane sempre la croce: e lì, dove la Chiesa si incontra con il Signore, anche il mondo viene incontrato dal Signore. (63)

Compromettersi con il mondo è uscire fuori, per sempre, dalla vecchia ecclesiologia, ma anche da quelle nuove messe in vigore dai gruppi negli ultimi trent’anni, da quel comunitarismo dei movimenti per cui la Chiesa è il gruppo e il gruppo si contrappone al mondo, mondo delle tenebre e del peccato. Non a caso è proprio padre Corradino che nel volume si incarica di esplorare parole come clericalismo, integrismo, integralismo. A Pio Parisi spetta la riflessione sul pastoralismo. Ma ce ne parlerà lui personalmente.

Laicità e profezia sono due facce della fede, due aspetti di una unica realtà. C’è una parola che può riassumere il rapporto tra Chiesa e mondo, ne parla Stancari nella sua lectio continua che cuce e ricuce le riflessioni del libro: amicizia. E’ una amicizia profonda, sconvolgente quella di cui si parla. Non un rapporto di buon vicinato, ma un amore che può arrivare fino alla morte, come quella di Gionata per Davide, di Gesù per noi. Io vi consiglierei di non perdere una autentica finezza esegetica dedicata a Maria, alla Madonna. Essa è la figura emblematica dell’amicizia:

Per ogni popolo della terra la Madre di Dio rappresenta la certezza che ‘un figlio è nato per noi’. Il Cristo appartiene anche a noi: possiamo essere un popolo di pagani, i reietti di questo mondo, oppure gli ultimi arrivati, eppure il Figlio di Dio ha preso dimora nel grembi di una donna.. Per questo la Madre del Signore viene sempre rappresentata con i caratteri propri del popolo che è stato evangelizzato: sarà la meticcia dei messicani o la Madonna nera degli africani. La Madonna è indubbiamente nostra.. Proprio una corretta prospettiva mariologica libera la missione della Chiesa da erronei atteggiamenti paternalistico e colonialistici: l’evangelo di Cristo non è un messaggio che giunge dall’esterno, ma viene riconosciuto là dove la Madre di Dio ha partorito il Figlio, là dove la misericordia di Dio ha seminato la sua parola, nel ventre della terra, in ogni frammento della storia umana. 73)

Laicità, amicizia, Maria. Maria dunque come figura emblematica della laicità.

Arriviamo così all’ultimo punto che voglio toccare di questo volume. Ce ne sono tanti altri, ma questo mi è sembrato decisivo per cogliere fino in fondo questa rivoluzione della laicità.

Se la fede è in quanto fede laica e profetica che senso ha il sacerdozio? Non è il sacerdote figura tipica del sacro o di una Chiesa che si parla addosso? Espressione di una distinzione tra perfetti e non perfetti? Tra chi segue radicalmente Gesù e chi, invece, non lo segue radicalmente? E non è stata proprio la teologia del sacerdozio quella su cui si è costruita quell’immagine di Chiesa come Castello fortificato rispetto al mondo? Non sono tutti gli autori del volume sacerdoti, oltre che religiosi?

Non sono domande da poco. Possiamo riassumerle così: la l laicità e la profezia come dimensioni proprie e profonde della fede non mettono in discussione il sacerdozio? Con questi interrogativi si cimenta il densissimo saggio di Francesco Rossi de Gasperis.

Di Gesù non si dice mai che sia sacerdote. Non poteva esserlo. Presso gli ebrei solo da una tribù, quella di Levi, potevano venire i sacerdoti. Gesù non appartiene a questa tribù. E’ un laico, escluso fin dalla nascita da qualsiasi funzione sacerdotale. Gesù ha partecipato al culto del Tempio, ma come semplice israelita, non ha mai varcato il cortile riservato ai sacerdoti e meno che mai il Santo dei Santi, in cui poteva entrare una volta all’anno solo il Sommo Sacerdote.

Eppure la Lettera agli ebrei, unico testo nel Nuovo testamento, parla di Gesù come sommo sacerdote. Come Mai? Per capire questo paradosso Rossi de Gasperis ci fa fare un breve viaggio nel sacerdozio di Israele. Tutta la vita del popolo eletto si concentra nel contatto che esso ha con Dio. Solo attraverso questo contatto il popolo può accedere alla benedizione. Questo contatto è possibile solo attraverso una serie di separazioni. “Dal momento che l’approccio a Dio esige la santità da parte dell’uomo, non chiunque e in qualunque condizione può avvicinarsi al Signore.. La santificazione dell’uomo è inculcato da un regime rigoroso di separazioni. Santificare diventa sinonimo di sottrarre a un uso ordinario e profano per riservare a un uso sacro”. (157) I Sacerdoti vengono separati dal popolo mediante una consacrazione che li trasferisce nel mondo del sacro. Quanto più è perfetta la separazione tanto più è efficace la mediazione del sacerdote. Questa mediazione tra Dio e il suo popolo il sacerdote la esercita mediante il sacrificio che trasforma l’offerta separandola dal mondo e offrendola a Dio. Il sacrificio è il punto più alto della mediazione: è il simbolo del passaggio del popolo dal profano al sacro. “Al sacerdozio era attribuito il compito di aprire l’intera esistenza del popolo alla relazione personale con Dio” (159)

Gesù opera una rottura profonda di questo schema. Lo sovverte dall’interno. Rispetto e deferenza per il sacerdozio levitino, ma anche libertà messianica nei suoi confronti. “Gesù è mandato a diffondere la tenerezza di Dio. Invece di santificare se stesso separandosi dal comune e dal profano, Gesù si santifica consegnandosi a tutti nel servizio messianico.. Essere cristiani significa mettere in questione, nella maniera più radicale e definitiva, tutto il discorso concernente il culto di Dio, perché il caso Gesù di Nazaret ha messo in questione, nel modo più radicale e definitivo, tutto il sistema delle sacre separazioni, che,prima di lui, accompagnavano il culto di Dio, sia nel giudaismo che nelle altre religioni del sacro.” (162)

Neppure la morte di Gesù è interpretabile come un sacrificio: oltre ad essere escluso come sacrificio umano, esso non avviene in un luogo sacro, ma addirittura fuori dalle mura della città santa. “Gesù crocifisso fuori della città e al di fuori di ogni contesto rituale, lungi dall’avere una qualunque apparenza sacrificale, è secondo la Torah, una maledizione di Dio che contamina la terra del Signore”(164)

Ma se le cose stanno così, perché la Lettera agli ebrei parla di Gesù come Sommo sacerdote? Il saggio di Francesco Rossi de Gasperis dimostra la radicale trasfigurazione del sacerdozio operata da questo testo.

Il sacerdozio di Gesù consiste nel compimento perfezione a cui lo ha condotto non un rito, bensì la sua perfetta e filiale obbedienza alla volontà del Padre. Il suo sacrificio consiste nell’offerta non di doni, di cose, animali, bensì del suo proprio corpo e del suo sangue.. Ma un tale sacrificio non costituisce più un sistema di culto proprio di una categoria di persone.

Anche la nozione di mediazione viene trasfigurata nel sacerdozio di Gesù. Egli non è più un intermediario tra Dio e gli uomini. Gesù nella sua persona rende immediatamente presente il Padre, senza frapporre più nulla tra Dio e l’uomo. Non c’è allora più bisogno di moltiplicare i sacrifici e le espiazioni. Basta quello che Gesù ha fatto una volta per sempre. Con Gesù il luogo del culto non è più un tempio determinato, il suo tempo non è riservato ad ore determinate. Esso non richiede più certi segni, gesti, riti. Il primo luogo dell’ultimo culto di Dio è l’esistenza dell’uomo Gesù”(167)

La radicale innovazione portata da Gesù provoca un vero e proprio vuoto cultuale nella primitiva comunità cristiana: il Messia è un laico, i suoi caopi non sono sacerdoti ma apostoli, anziani, gente assolutamente comune. E’ su questo vuoto cultuale che nasce una nuova realtà sacramentale: nell’eucaristia noi ripresentiamo l’unico e irripetibile sacrificio di Gesù per inserirci l’offerta che facciamo di noi stessi. Nell’eucaristia noi ci offriamo al Padre. Ci offriamo esistenzialmente. L’eucaristia è questa nostra offerta al padre nella memoria dell’offerta di Cristo che solo rende possibile la nostra offerta. E quindi nell’eucaristia noi aboliamo anche ogni culto, ogni sacralità, ogni separatezza. “Lungi dall’essere puramente rituale, la liturgia sacramentale è solo un momento comunitario del culto esistenziale del popolo” (172)

In questo senso il sacerdozio è universale, appartiene ai credenti in quanto tali, in quanto laici. Come dice de Gasperis: “il sistema sacramentale della Chiesa non tende minimamente a ricreare in seno al popolo di Dio una divisione tra sacerdoti e laici”.

Ma allora c’è da chiedersi perché la storia del cristianesimo ha prodotto questa separazione? Perché c’è stato un ritorno all’antico sacerdozio nel cuore della Chiesa? A queste domande il saggio di de Gasperis non risponde. E sono domande inquietanti. Perché la figura del presbitero è tornata ad essere una figura separata? Perché il sacro è tornato a dividere il popolo di Dio? Si aprono a questo punto problemi immensi che toccano la stessa figura del celibato, del sacerdozio femminile. Non sono temi neppure toccati nel testo, ma aperti certamente dalle sue considerazioni.

Possiamo così chiudere questo viaggio con una riflessione di padre Pio Parisi:

E’ crollato il muro di Berlino, e ne sono crollati tanti altri, ma noi purtroppo ne costruiamo sempre di nuovi alla ricerca di sicurezze che non sono quelle del Signore morto e risorto per la nostra salvezza. C’è un muro nella Chiesa, più grande della muraglia cinese, che dovrebbe difenderne il corpo ma che in realtà ne mura l’anima. Lo si chiami clericalismo o in altro modo, è tutto ciò che i cristiani costruiscono a prescindere da Dio, non fidandosi della sua Parola. E’ un muro fatto di elaborazioni culturali e di organizzazioni che sono cresciute nei secoli e che si riproducono dopo ogni piccola scossa e dopo ogni crollo. E’ stolto pensare che tale muro possa crollare con una spallata o servendosi degli arieti più potenti di cui è fornito il nostro mondo. Solo lo Spirito può farlo crollare impregnandolo di sé della carità, degli anticipi della Gerusalemme celeste.

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