Fede e spiritualità. Federico Ruozzi: tutte le opere di don Lorenzo Milani.

Corso di formazione alla politica

“Sui muri della canonica stava scritto che “l’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone”, cioè che il gap sociale è in primis un divario di tipo culturale, pertanto quella scuola doveva diventare il centro del ministero sacerdotale, o quantomeno di quel suo singolare ministero.

Da quelle “900 parole” mancanti passava il riscatto delle classi subalterne, della loro riacquisizione di dignità e di consapevolezza”.

Fede e spiritualità. Federico Ruozzi, tutte le opere di don Lorenzo Milani

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Presentazione di Marica Mereghetti 03′ 35″

Introduzione di Andrea Rinaldo 21′ 34″

Relazione di Federico Ruozzi 63′ 47″

Domanda del pubblico 09′ 14″

Risposta di Federico Ruozzi 11′ 03″

Domande e risposte 19′ 55″

Domande e risposte 20′ 52″


Andrea Rinaldo, Federico Ruozzi, Marica Mereghetti

Andrea Rinaldo, Federico Ruozzi, Marica Mereghetti (foto Enrico Leoni)

Il pubblico in sala

Il pubblico in sala (foto Enrico Leoni)

Introduzione di Andrea Rinaldo a Federico Ruozzi

DON LORENZO MILANI: QUANDO LA PAROLA FA EGUALI

Introduzione al testo “Tutte le opere, Lorenzo Milani” a cura di F. Ruozzi, A. Canfora, V. Oldano[1], di Andrea Rinaldo.

Uno. La forza delle parole

C’è un rovello nella particolare pastorale di don Lorenzo Milani: è l’intendersi con le parole, con il linguaggio. Si può predicare il Vangelo ad un uditorio che non comprende il significato non tanto del testo in senso generale ma quello delle singole parole? Ecco il motivo della “scelta di campo” inusuale del sacerdote fiorentino: l’apostolato della scuola, dell’insegnamento, della formazione collettiva e quindi individuale. I ragazzi della “scuola popolare di Barbiana” pur essendo i pronipoti di Dante ed in un certo senso maneggiando inconsapevolmente il “volgare” che è poi il nostro italiano, non erano però in grado di padroneggiare il linguaggio, avevano un lessico povero, ed una capacità di comprensione assai limitata. Così poiché sui muri della canonica stava scritto che “l’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone”, cioè che il gap sociale è in primis un divario di tipo culturale, pertanto quella scuola doveva diventare il centro del ministero sacerdotale, o quantomeno di quel suo singolare ministero. Da quelle “900 parole” mancanti passava il riscatto delle classi subalterne, della loro riacquisizione di dignità e di consapevolezza. Uno di quegli ex ragazzi della scuola popolare curerà più tardi il volume che raccoglierà il senso di quell’esperienza dal titolo più che significativo “La parola fa eguali”[2], insomma una modalità per rendere concreto l’articolo 3 della Costituzione Italiana. Non si trattava però di una scuola confessionale, anzi al contrario essa era estremamente laica: il sacerdote diventava maestro per amore, così come il ragazzo più grande insegnava a quello più piccino anch’egli per amore. Una scuola a tutto tondo, aperta 365 giorni l’anno, dodici ore al giorno, perché ad ogni studente I care (interessa) conoscere il mondo, la politica, il sindacato. Dove le materie di insegnamento come si dice oggi “curricolari”, erano calate nella prosaicità della vita; ovvero una scuola assai diversa da quella istituzionale che era come “…un ospedale che cura i sani e respinge i malati…”. Insegnò molto don Lorenzo, ma scrisse anche tanto, anche se le sue pubblicazioni più note rimangono essenzialmente due: “Esperienze pastorali”[3] e “Lettera ad una professoressa”[4]. L’opera omnia a cura di Ruozzi ed altri ha il merito di raccogliere in due copiosi volumi i suoi scritti editi e soprattutto alcune pagine inedite, il suo epistolario, diversi articoli e due lettere aperte sull’obiezione di coscienza.

Due. Storicizzare la sua pastorale

Giova per tentare di capire il senso profondo del seppur breve ministero del priore di Barbiana, tener conto della sua provenienza familiare. Egli nacque certamente in una famiglia agiata, dalle illustri parentele, che portava in dote un notevole bagaglio culturale, dalla quale ereditò il gusto per la vivacità intellettuale ma non per l’agnosticismo. Anche se questi fatti non furono evidenti nella prima fase della vita di Lorenzo, il quale non era molto brillante negli studi e con l’intenzione di voler diventare pittore, e che passò invece dal non aver avuto esperienze religiose nell’infanzia alla vita seminariale e quindi a diventare prete. Tuttavia il clima della diocesi di Firenze di allora poteva ancora consentire un certo possibile “disallineamento”. Ma la temperie generata da personaggi come monsignor Bensi, don Facibeni, od anche dal sindaco “santo” Giorgio La Pira non deve trarre in inganno. Quell’Italia a cavallo degli anni ‘50 e ’60 del secolo scorso era una nazione un po’ bacchettona anche fuori dal perimetro del religioso. La morale ufficiale caratterizzava la vita pubblica e privata dei cittadini, di quelli noti ed anche di quelli fuori dai riflettori della fama. Gli esempi che si possono narrare a supporto di questa tesi sono numerosi e vari, mentre la contrapposizione bonaria alla “don Camillo e Peppone” per intenderci, era per lo più una finzione cinematografica, nella realtà le cose erano molto più dure. Era quindi quell’Italia che metteva sotto accusa penale il campionissimo Fausto Coppi e la sua “Dama Bianca”, mentre successivamente lo avrebbe consegnato alla morte, non distinguendo per tempo una banale influenza dalla ben più grave malaria. Persino a persone miti come Luigi Veronelli, il noto divulgatore del patrimonio enogastronomico nostrano, non erano risparmiati i rigori della legge: infatti egli per una opera letteraria pubblicata di De Sade fu condannato penalmente, e il suo libro messo al rogo nel 1958 nel cortile della Procura di Varese[5]. Vogliamo citare poi le vicissitudini che interessarono lungamente Pier Paolo Pasolini? Non stupisce quindi il trattamento riservato all’autore di “Lettera ad una Professoressa” ma anche de “L’obbedienza non è più una virtù”, per la quale mantenne una condanna penale post-mortem, oppure delle “Esperienze pastorali”, tolte dal commercio dal Santo Offizio e solo di recente riabilitate. Ad alcune persone certamente eccezionali capita però che la “punizione” di un esilio forzato in una sperduta chiesetta di montagna dell’appennino toscano di meno di un centinaio di anime, si possa trasformare nell’elemento che porta in superficie un pensiero limpido, potente, inconsueto.

Tre. Comprendere la sua visione

Soltanto un atteggiamento superficiale ed anche un po’ fazioso tenderebbe a collocare il magistero di don Milani prima che entro l’alveo del religioso, nelle categorie politiche di destra o di sinistra, od ancora nell’ humus immaginario del cosiddetto “cattocomunismo”. Don Lorenzo era ab origine un sacerdote, nel senso più completo di tale termine. Le dimensioni del politico gli interessavano in quanto funzionali alla pastorale, come per altro asserito nella nota lettera al militante comunista Pipetta:  “…Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso…[6]. Cioè in quanto utili alla elevazione spirituale dell’uomo, di ogni uomo, ma specialmente delle classi più svantaggiate. Era legato alla Chiesa intesa come istituzione, anche se di quest’ultima non riusciva a comprenderne i manierismi così lontani dalla lucentezza del Vangelo. Ma ci stava dentro in maniera “dialettica”: era nella gerarchia asserendo che l’ “obbedienza non è più una virtù” (quasi un ossimoro), mentre le uniche “armi” lecite per uomini erano quelle del voto e dello sciopero. Non si avventurò in pericolose confusioni tra la “morte dell’aggressore e quella della sua vittima”, né tra “il mondo in diseredati e oppressi da un lato, – e quello dei – privilegiati e oppressori dall’altro”. E’ stata una visione dirompente e nello stesso tempo però permeata di fiducia. Il suo fu uno stigmatizzare in modo “scientifico”, cioè con i dati alla mano, la natura autoritaria e classista della scuola italiana di quel tempo, e forse non sarebbe fuori luogo applicare quel metodo pedagogico all’istruzione attuale, sostanzialmente consegnata ad una logica aziendalistica, con il corollario modernista di Internet ed affini. Tuttavia la società così come l’istituzione scolastica di oggi non è meno classista di quella di allora. La scuola doveva essere intesa invece come strumento per raggiungere l’eguaglianza, una modalità di “salvezza laica” che creava sconcerto nelle gerarchie ecclesiastiche ed anche al di fuori di esse. Moderno ed attuale è ancora il suo pensiero circa l’ “obiezione di coscienza”, anche nel momento storico in cui in Italia la leva non è più obbligatoria, poiché le menzogne e le strumentalizzazioni legate al concetto di patria, nazione, militarismo sono invece ancora ben presenti. E allora don Lorenzo ci ammonisce ancora oggi dicendo che l’obbedienza può diventare la “più subdola delle tentazioni”, e perfino sul conflitto capitale-lavoro ci sono elementi di attualità del pensiero milaniano, che si riduce in sintesi alla coppia oppositiva ricco-povero, rispetto al quale bisogna porre rimedio perché altrimenti sul tema in generale del “sistema”, “...è come sostenere che tante rotelle si son messe insieme per caso. N’è venuto fuori un carro armato che fa la guerra senza manovratore…[7]. Una metafora per niente romanzesca.

Quattro. L’eredità del priore di Barbiana

Sono trascorsi cinquant’anni dalla morte di don Lorenzo Milani, che giace sepolto con l’abito talare e con i suoi scarponi da montanaro nel minuscolo cimitero di Barbiana. Cosa rimane del suo insegnamento? Le sue ultime stentate parole prima di morire furono “il cammello è passato dalla cruna dell’ago”, cioè sulla certezza dell’avvenuto suo “riscatto” spirituale, lui che era nato in una famiglia abbiente, attraverso l’apostolato per i poveri, per gli ultimi, per i più miserabili. Queste ricorrenze di solito generano eventi a ricordo di varia natura, e bene ha fatto il MIUR con il convegno del giugno scorso dal titolo “Insegnare a tutti”, che era poi la vocazione di don Lorenzo. Ma meglio potremmo anche dire dell’opera omnia che stiamo analizzando stamattina. Poiché si tratta di far nascere una memoria per così dire attiva, non fatta per slogan, ma costruita magari attraverso la curiosità. E le oltre 2800 pagine di tale prodotto editoriale consentono una ricerca quasi “mineraria” del pensiero milaniano, diacronica nel tempo e nei contenuti. Chiedo quindi al professor Ruozzi di tratteggiare per noi, dal suo punto di vista, una possibile eredità attuale di Milani. Fu certo un prete scomodo ma ci sarebbe piuttosto da chiedersi perché ci siano invece così tanti sacerdoti molto più “comodi”. L’abbraccio della Chiesa che don Lorenzo aveva sempre desiderato in vita è avvenuto postumo molti anni dopo, con la visita e le parole di papa Francesco nella sua Barbiana. Il ricordo di Jorge Mario Bergoglio è stato semplice e significativo invitando i presenti a pregare affinché il papa prendesse esempio da “questo bravo prete”. Ma da “questo bravo prete” anche noi possiamo ancora oggi accogliere il metodo che coniugava il pensiero con l’azione. La severa pedagogia dell’istruzione continua dove non esisteva la “ricreazione”. L’opzione preferenziale per i poveri. Oggi si parla molto meno di classi sociali, ma i problemi sono ancora tutti lì, tuttavia “…il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia…”[8] è ancora un’angolatura obliqua da cui guardare al mondo. I “sistemi” stanno in piedi non per il sostegno che proviene loro dall’alto ma per quello che viene dal basso: è importante pertanto saper ragionare e acquisire il senso critico. Per questo anche oggi una istituzione scolastica veramente inclusiva è uno strumento insostituibile per creare “teste pensanti” e non soltanto “teste riempite”.

E’ così semplice.

E così difficile.


Per approfondire: Fondazione don Lorenzo Milani: www.donlorenzomilani.it

[1] F. Ruozzi, A. Canfora, V. Oldano, a cura di, Tutte le opere, Lorenzo Milani, Mondadori, Milano, 2017.

[2] M. Gesualdi, a cura di, La parola fa eguali, LEF, Firenze, 2005.

[3] Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, LEF, Firenze, 1997

[4] Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, LEF, Firenze, 1996

[5] Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Veronelli

[6] Fonte: http://www.barbiana.it/Lettera%20a%20Pipetta.html

[7] Lorenzo Milani, Scuola di Barbiana, “Lettera ad una professoressa“, LEF, Firenze, 1992, p. 71.

[8] Lorenzo Milani, Scuola di Barbiana, “Lettera ad una professoressa“, LEF, Firenze, 1992, p. 14.


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  1. Presentazione di Marica Mereghetti 03′ 35″
  2. Introduzione di Andrea Rinaldo 21′ 34″
  3. Relazione di Federico Ruozzi 63′ 47″
  4. Domanda del pubblico 09′ 14″
  5. Risposta di Federico Ruozzi 11′ 03″
  6. Domande e risposte 19′ 55″
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