L’ira di Cesare

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Giovanni BianchiLa vicenda dell’espulsione dal PDL di Gianfranco Fini e dei suoi costituisce un’ ulteriore conferma di quanto già si sapeva da tempo, ossia l’assoluta incompatibilità fra Silvio Berlusconi e la democrazia, intesa essenzialmente come rispetto delle idee altrui e delle procedure chiare e trasparenti che dovrebbero presiedere all’assunzione delle decisioni da parte di chi dirige uno strumento di democrazia per eccellenza quale è un partito politico.

Il paragone con la radiazione dal PCI del gruppo del “Manifesto” è improprio, perché comunque la dirigenza di Botteghe Oscure arrivò a quel gesto certamente deprecabile a seguito di una procedura complessa che rispettava lo Statuto ed il particolare costume di quel partito, e vi fu una votazione in Comitato centrale sulla radiazione finale di Rossanda, Pintor e Magri , in cui si registrarono anche voti contrari ed astensioni, e l’intero carteggio, comprese le controdeduzioni dei “reprobi”, vennero pubblicate dalla casa editrice del partito.

Qui ci si è trovati di fronte non ad un atto di insubordinazione quale fu, tanto per rifarci ancora al passato, la scelta dei deputati della sinistra socialista di non votare la fiducia al primo Governo Moro, che fu prodromica alla scissione dello PSIUP, ma semplicemente ad intenzioni, a colpi di spillo, a dissensi pubblici che non sono mani stati formalizzati né nelle aule parlamentari né negli (inesistenti) luoghi di dibattito interni al PDL. Insomma, Fini ed i suoi sono stati cacciati per le loro “cattive intenzioni”, il testo della scomunica è stato scritto direttamente da “Cesare” (come, pare, il premier viene chiamato nelle intercettazioni della banda di malviventi politico-giudiziari che è stata definita P3) ed approvato senza discussione da un gruppo di fantocci, mentre la stampa di partito (ossia quella di proprietà più o meno diretta del Sire), lungi dal dar spazio alle argomentazioni dei dissenzienti li copre quotidianamente di contumelie e di allusioni alle loro vite private, seguendo, come ha apertamente rivendicato uno dei famigli della corte di Arcore, il luminoso esempio della campagna mediatica che ha stroncato la carriera e rovinato la vita a Dino Boffo.

Sarebbe facile a questo punto partire in quarta, parlando del clima malsano che ormai Berlusconi, nella sua troppo lunga decadenza, sta diffondendo intorno a sé, al punto tale che l’unico tipo di compagnia che ormai gli va a genio è quella di certe ninfette, magari promosse ad importanti incarichi istituzionali e prive del più elementare rispetto di se stesse, ovvero di servi spudorati come quello che, presiedendo la Provincia di Milano, ha messo a disposizione le guglie del Duomo per un inedito (ed inaudito) premio assegnato a Cesare con una motivazione che ricorda i deliri di servilismo di Fantozzi di fronte al Megadirettore.

No, il punto vero è un altro: il punto è di capire se, date queste premesse, è ancora possibile una vita democratica all’interno dei partiti, se cioè il clima negativo diffuso dalla predominanza mediatica berlusconiana, predominanza che si esercitava, come mentalità, anche nei periodi in cui Cesare stava all’opposizione, non abbia ormai contagiato anche gli altri soggetti politici.

In effetti, sembra ormai che non sia possibile vivere in un partito stando in minoranza, ma che sia necessario o essere in qualche modo partecipi del governo, sia pure in posizione subordinata, ovvero prendere la porta o venirvi accompagnati in malo modo (come appunto è accaduto a Fini, e prima di lui a Vendola in Rifondazione comunista).

Le correnti, anche strutturate, sono una componente essenziale della dialettica politica dei partiti, soprattutto di quelli di massa che, introiettando in se stessi una pluralità di interessi sociali, debbono anche subire le contraddizioni di cui quegli interessi sono portatori. Non si spiegherebbe altrimenti perchè Nenni abbia atteso per molti anni (ovviamente svolgendo nel contempo un intenso lavoro di agitazione politica e di ricerca culturale) di rovesciare l’egemonia interna della sinistra filocomunista del PSI per approdare al centrosinistra, e specularmente perchè le sinistre democristiane avessero lavorato così a lungo per lo stesso obiettivo logorando la resistenza della maggioranza moderata, anche grazie alla lungimiranza di Aldo Moro.

Ovviamente stiamo parlando di stagioni politiche – e, soprattutto, di personalità – molto diverse da quelle di oggi, in cui la politica si confonde con lo spettacolo, ed i personaggi hanno rimpiazzato le personalità o, più semplicemente, le persone.

Ma la vera, epocale vittoria di Berlusconi consisterebbe nel prendere atto che, anche dopo la sua scomparsa dalla scena politica, i suoi metodi di azione politica, anzi prima ancora la sua concezione proprietaria ed autoritaria, e per questo eversiva, della politica si perpetuassero e diventassero patrimonio condiviso anche fra i suoi avversari.

E quello sarebbe il rischio più esiziale per la democrazia.

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