Ecologia umana integrale. Marzio Marzorati: Alexander Langer, una buona politica per riparare il mondo.

linea_rossa_740x1Corso di formazione alla politica

Abbiamo già intercettato qui al circolo Dossetti la figura di Alexander Langer, il quale ha rappresentato indubbiamente un unicum nel non entusiasmante panorama politico italiano ed è stato contemporaneamente uno dei grandi maestri dell’ecologismo nostrano.

Definito “viaggiatore inquieto”, “portatore di speranza”; “troppo etico”, e pertanto schiacciato fino al gesto estremo dall’insostenibile peso dell’etica.…”

In lui era viva la propensione verso una sorta di policentrismo decisionale in politica, non strettamente legato alla forma partito/apparato, e a chi ad esso vi appartiene, ma ai luoghi di formazione delle scelte laddove essi venivano a determinarsi. Egli sembrava pertanto più vicino a quel paradigma di democrazia deliberativa, di tipo orizzontale e spesso di slancio spontaneo.

Locandina: Marzio MARZORATI, Mao VALPIANA. Una buona politica per riparare il mondo, di Alex Langer.

1. leggi l’introduzione di Andrea Rinaldo a Marzio Marzorati

2. leggi il testo della relazione di Marzio Marzorati

3. clicca sui file audio sottostanti per ascoltare le registrazioni della lezione

(se vuoi scaricare i file sul tuo computer trovi i link in fondo alla pagina)

Premessa di Giovanni Bianchi 17′ 51″

Introduzione di Andrea Rinaldo 19′ 47″

Relazione di Marzio Marzorati 1h 15′ 44″

Intervento Giovanni Bianchi 5′ 03″

Domande del pubblico 5′ 59″

Risposte di Marzio Marzorati 15′ 50″

Domande del pubblico 3′ 45″

Risposte di Marzio Marzorati e chiusura 14′ 31″

Giovanni Bianchi, Andrea Rinaldo, Marzio Marzorati

Giovanni Bianchi, Andrea Rinaldo, Marzio Marzorati


Testo dell’introduzione di Andrea Rinaldo a Marzio Marzorati

 Uno.         Alexander Langer

Abbiamo già intercettato qui al circolo Dossetti la figura di Alexander Langer, il quale ha rappresentato indubbiamente un unicum nel non entusiasmante panorama politico italiano ed è stato contemporaneamente uno dei grandi maestri dell’ecologismo nostrano. Definito “viaggiatore inquieto”, “portatore di speranza”; “troppo etico”, e pertanto schiacciato fino al gesto estremo dall’insostenibile peso dell’etica.

Perché guardare ancora oggi alle vicende umane e politiche di Alex Langer? Perché egli, secondo le parole scritte qualche anno or sono proprio dal presidente del nostro circolo “…ci dice dal gorgo profondo della sua tragedia che non si può dare nuova politica nella [allora ndr] restaurata stagione berlusconiana senza un nuovo guadagno etico: di un’etica <meticcia> ancorché condivisa…”[2].

In lui infatti era viva la propensione verso una sorta di policentrismo decisionale in politica, non strettamente legato alla forma partito/apparato, e a chi ad esso vi appartiene, ma ai luoghi di formazione delle scelte laddove essi venivano a determinarsi. Egli sembrava pertanto più vicino a quel paradigma di democrazia deliberativa, di tipo orizzontale e spesso di slancio spontaneo. Era la “faccia notturna della politica”, dove la dimensione dei movimenti del civile s’incontrava con l’architettura delle istituzioni.

Perché ha delineato una nuova figura di consumatore, restituendogli dignità attraverso l’acquisizione di una sempre maggiore capacità di autodeterminazione, nella logica però della cosiddetta “autolimitazione” dei consumi, i quali alla lunga finiscono proprio con il consumare il consumatore.

Se il mondo attuale è “rotto”, (perché l’abbiamo rotto!), soltanto una buona politica potrà “ripararlo”: la sfida assunta dagli autori del testo che esaminiamo stamane, è quella di dimostrare attraverso selezionate esperienze, che l’impegno pubblico è oggi ancora possibile. Cioè che si può curare la nostra “casa comune”, la Terra, e che tutto ciò che è “locale è anche globale”.

Perché Langer ha rappresentato l’esperienza ambientalista in modo totale, incarnando potremmo dire, quella “ecologia umana integrale” assunta come paradigma di giustizia dall’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco. Perché la grande intuizione di Alexander Langer fu forse quella di percepire la trasversalità della questione ecologica, e di avanzare una “proposta verde” che era in prima battuta un giudizio (non positivo) sulla civiltà dei consumi, e che costruiva però dei “ponti” e non degli “steccati”.

Era, ed è, forse questa l’essenza della “conversione ecologica” auspicata dal politico sud Tirolese. Un’indicazione di cambiamento individuale prima che politico. E’ anche per questo motivo che il suo testamento spirituale è permeato in un orizzonte di fiducia “…non siate tristi, continuate in ciò che era giusto…”[3].

 

Due.     Confrontarsi con il suo pensiero

Lo schema espositivo del testo, si articola su dieci riflessioni concernenti altrettanti temi offerte dal politico Trentino (più una postfazione ed un’appendice), commentate da altri e diversi autori. Il collage che ne risulta conferisce al lavoro una certa connotazione da “manualistica”, nel senso che consente una visione d’insieme sul pensiero Langeriano.

E’ complessivamente un elogio della “buona politica”, intesa come predisposizione nonviolenta all’ascolto e al confronto, e a quella capacità di ricercare il bene comune e di tutti. L’orizzonte spaziale da cui partire indicato allora era quello dell’Europa, e della pace da “riparare” all’interno di questo continente. Ricercando “una vita semplice”, mettendo in gioco i nostri stili di vita, ed acquisendo la consapevolezza che si può “riparare il mondo” con gesti appunto semplici e ripetibili.

Gli argomenti trattati sono quelli ampiamente nelle corde di Alex: la compresenza plurietnica, l’ecodebito, il mondo da riparare, la conversione ecologica, ma anche le “virtù verdi”, la pace tra gli uomini e la natura, la vita semplice e le virtù dell’uomo politico. E a mettere insieme questi temi in un nuovo lavoro editoriale sono due attivisti come Marzio Marzorati e Mao Valpiana, che certamente si muovono nel solco ideale tracciato da Langer.

Il primo per aver abbracciato la forma del divulgatore ambientale specialmente in Legambiente, mentre il secondo, che ha conosciuto Alex di persona, ha formato e condiviso con lui alcune delle prime liste elettorali “verdi” nel Veneto. Ma veniamo agli argomenti. Si tratta di ricercare, ad esempio, tutte quelle forme di osmosi umana che consentono di arginare l’esclusivismo e la separatezza tra le etnie. La compresenza plurietnica nella città dovrebbe essere riconosciuta e resa visibile, infatti dovremmo affidarci a “…chi ha a cuore l’arte e la cultura della convivenza come unica alternativa realistica al riemergere di una generalizzata barbarie etnocentrica…”.[4] Non c’è dubbio: un tema attualissimo.

Secondo Sabina Langer poi, due sono i temi di fondo della speculazione Langeriana, la conversione ecologica e la complessa arte della convivenza, e molto forse c’entra questo fatto con le origini sud Tirolesi del politico Trentino. Altro tema pregnante è quello dell’ “ecodebito” contratto dagli uomini con la natura, a causa del pernicioso sistema economico e produttivo che gli stessi hanno creato.

Ma anche qui sarebbe meglio precisare “creato da alcuni uomini”, perché una buona parte di essi sta già pagando invece le conseguenze negative di questa “insolvenza fraudolenta”. In questo senso la transizione da un’economia che consuma le risorse esauribili ad un’altra connotata dall’utilizzazione massiccia di beni rinnovabili è l” asset di un nuovo modello meno impattante, ma soprattutto maggiormente di giustizia. Forse il tema vero di fondo è che questo sviluppo basato sull’ideologia della “crescita illimitata” è in nuce fallace.

 

Tre. L’eredità esigente di Alex Langer

E’ probabilmente nel “mare di mezzo”, nel Mediterraneo culla d’Europa, che si gioca la sfida della pace e della convivenza tra popoli, e non a caso Langer nel 1995 propose una “Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione nel Mediterraneo”. A patto però che si dismettessero al più presto già allora le energie fossili, il cui approvvigionamento impediva (ed impedisce) ai Paesi europei di avere politiche estere libere da condizionamenti, mentre all’ escalation securitaria innescata dal radicalismo di matrice islamica, si dovrebbe allora (come oggi) rispondere prevalentemente con maggiori occasioni di incontro e di scambio reciproci.

E’ questo quel “mondo da riparare” così caro ad Alex, aver cura cioè di quella Terra “presa in prestito dai nostri figli”. Perché sì “…il tempo di vita che si è allungato molto sotto il profilo quantitativo non appare “liberato” e consegnato alla sovranità di chi lo vive, ma fortemente alienato e sostanzialmente determinato da altri:…”.[5]

Il tema è quello dell’ “impatto generazionale” delle azioni umane connesse al presunto agognato “progresso”. Tuttavia si tratta, senza cedere ad ipotesi catastrofiste, di “perdersi per trovarsi”, all’interno di un nuovo paradigma di “autolimitazione” consapevole dei consumi, per libero convincimento però.

Se l’economia “uccide” è necessaria una radicale “conversione ecologica”. La sostanza di questa conversione intreccia diagonalmente i diversi pensieri chiave del politico Trentino: sfuggire dai falsi idoli di una crescita illimitata, rivalutare le comunità locali nel senso di quel “pensare globalmente ed agire localmente”, la necessità di perseguire una sana convivenza tra diversi, l’utilità collettiva di svolgere una vita individuale in “semplicità”.

La “coscienza del limite”, cioè quella propensione prudenziale che induce a non infrangere le soglie della fattibilità di certe azioni, anche se la tecnica attuale lo consentirebbe, ma magari non se ne intravvedono con sufficienza le possibili eventuali conseguenze. Il “pentimento” soggettivo non è utilizzato soltanto in una logica di stampo eminentemente cattolico, ma come quell’ “…atteggiamento di chi ha sperimentato l’eccesso, la trasgressione, la violazione e se ne rende conto e non ha lo stesso atteggiamento di innocenza di chi non ha mai peccato…”[6].

Le “virtù verdi” sono necessarie, così come la logica del “rifiuto del nemico”, ma ancora più necessaria è la “pace tra gli uomini e la natura”. La riconciliazione tra l’uomo e il creato va ricercata in una “vita semplice”, cioè in comportamenti che possano essere moltiplicabili senza nocumento, per l’intero numero di abitanti del nostro pianeta (a dicembre 2016 la cifra notevole di 7,5 miliardi circa[7]). Per generare un “futuro amico”.

La tensione evocativa è forte nelle parole di Langer, il quale si spinge ad offrire anche una sorta di decalogo per il neo-eletto nelle liste verdi, in una operazione che prima di essere di tipo manualistico, è un solve et coagula (una rigenerazione) di se stessi. Spinge ad andare oltre ai partiti identitari, i quali diventano “nemici della democrazia”, quando le condizioni del vivere insieme richiedono invece soluzioni creative gradite da tutti gli attori, da trovare al di fuori del perimetro delle convinzioni date a priori come scontate.

E’ necessario però “bandire ogni violenza” poiché non esiste nessuna “guerra giusta” o accettabile, la concordia tra i popoli va ricercata ed è sempre possibile. C’è una dignità nei “piccoli” (che sono tanti), che non competono con metodi arroganti per diventare presunti “grandi” (i quali peraltro invece sono pochi).

 

Quattro. Tra utopia concreta e speranza

Seppure Alexander Langer smise tragicamente quasi ventidue anni fa di analizzare il mondo, il suo pensiero, i suoi scritti suscitano riflessioni ancora di attualità. La sua “utopia concreta” era ed è in grado di dimostrare che un “altro modo di stare nel mondo è possibile”. Nelle riflessioni contenute nei pezzi a commento degli altrettanti documenti Langeriani si percepisce chiaramente il suo riverbero nel vissuto di altre persone.

Ma come comporre oggi il deposito Langeriano in un pianeta ormai ampiamente caratterizzato dalla globalizzazione, dal capitalismo e dal consumismo? Forse l’operazione più sensata è quella indicata da Anna Bravo, e cioè di “…non proiettare il suo pensiero sul presente, ma all’opposto il presente sul suo pensiero…”[8].

Magari assumendo la consapevolezza che un’economia che preleva dalla natura molto di più di quanto non si possa in essa rigenerare è insostenibile. “L’ecologia, – poi – più che un lusso dei ricchi, è una necessità dei poveri…”[9], e una tale asserzione ha molto in comune con certe recenti riflessioni espresse in merito da Papa Francesco. Il pensiero Langeriano non è una variante ecologista dell’atteggiamento umano che sprezzantemente viene definito di tipo “buonista”: la cura della natura è una necessità sia “altruista” che avente implicazioni, in un certo senso, “egoiste”.

Che l’ “ecologia del pensiero”, delle relazioni, delle azioni sia ormai diventata un necessità per un ambientalismo che è soprattutto cura per tutte le forme di vita, è di palmare evidenza. L’attualità della sua visione “plurietnica” è notevole, in un momento storico in cui il tema delle migrazioni ha dimensioni epocali, e spesso viene assunto dalla rappresentanza politica in termini di protezionismo e di individualismo.

Perché l’orizzonte ideale costituito dal “costruire ponti, saltare i muri, esplorare le frontiere” è un’angolatura obliqua che consente di affrontare anche le difficoltà del terzo millennio, senza rispondere in termini repressivi a questi fenomeni. Perché servono ancora militanti “verdi” capaci di promuovere creativamente occasioni di democrazia partecipativa e deliberativa. Per costruire un futuro amico meno impostato sul vecchio motto olimpico competitivo: “citius, altius, fortius”, ma anzi su concezioni orizzontali più lente, più profonde e dolci. Si può ancora crederci… Crediamoci!

Per approfondire: Fondazione Alexander Langer: www.alexanderlanger.org

[1] Marzio Marzorati e Mao Valpiana, a cura di, Alexander Langer, Una buona politica per riparare il mondo, La Biblioteca del Cigno, Rimini, 2016.

[2] Giovanni BIANCHI, Solo la sinistra va in Paradiso, san Paolo, Cinisello B. (MI), 2009, p. 150.

[3] Fonte: wikipedia pagina dedicata ad Alexander Langer.

[4] Marzio Marzorati e Mao Valpiana, a cura di, Alexander Langer, Una buona politica per riparare il mondo, La Biblioteca del Cigno, Rimini, 2016, p. 44

[5] Marzio Marzorati e Mao Valpiana, a cura di, Alexander Langer, Una buona politica per riparare il mondo, La Biblioteca del Cigno, Rimini, 2016, p. 84

[6] Marzio Marzorati e Mao Valpiana, a cura di, Alexander Langer, Una buona politica per riparare il mondo, La Biblioteca del Cigno, Rimini, 2016, p. 119.

[7] Fonte: wikipedia

[8] Marzio Marzorati e Mao Valpiana, a cura di, Alexander Langer, Una buona politica per riparare il mondo, La Biblioteca del Cigno, Rimini, 2016, p. 185

[9] Marzio Marzorati e Mao Valpiana, a cura di, Alexander Langer, Una buona politica per riparare il mondo, La Biblioteca del Cigno, Rimini, 2016, p. 169.


Trascrizione della relazione di Marzio Marzorati

Grazie ad Andrea Rinaldo. Grazie dell’invito. E, prima di tutto, ringraziando anche Giovanni Bianchi di questa introduzione fatta all’inizio, e anche della vostra (mi stupisce) perseveranza nell’incontro verso la politica, vorrei iniziare con le parole di Alex, dando a lui uno spazio: c’è un video che vi ho portato e che poi trovate in rete, molto facile da trovare, ed è un intervento che lui fece ad Assisi, a un convegno della magistratura, quindi legato alle comunicazioni sulla giustizia: Alex frequentava qualsiasi tipo di convegno. Mi ricordo che un giorno lo accompagnai al Congresso nazionale degli infermieri (non sapevo neanche che esistesse), lui era stato invitato, doveva andare Ivan Illich, quindi molto tempo fa, cui lui era molto legato, era un suo mentore, e fece un intervento sulla cura del pianeta, la cura delle persone, l’importanza dei curatori, di quelli che si prendono cura dell’altro, sorprendente in questo convegno dove l’ambientalismo entrava…, anzi forse non c’entrava proprio, e fu il coraggio di un infermiere che invitò Illich, che poi fu sostituito da Alex, che nessuno conosceva, a fare questo intervento; quindi, le sue parole sono sempre abbastanza interessanti e, dopo che chi mi ha preceduto ne ha riportate di molto significative, direi di lasciare un tempo a lui e poi vi racconto un po’ come il libro si muove anche dagli spunti che ha dato Andrea Rinaldo.

Il filmato su Alex Langer presentato da Marzio Marzorati (Youtube)

Ecco, spero che sia piaciuto, insomma, forse è stato un po’ lungo. Tra l’altro in questi giorni con Mao Valpiana abbiamo raccolto, anche con il Movimento non violento di Verona, con quel presidente e grazie a Radio radicale, tutti gli interventi che Alex ha fatto al Parlamento europeo di tre minuti. Sapete che l’intervento di tre minuti è faticosissimo nel senso che per i tre minuti devi prepararti per tre giorni; è molto difficile fare un intervento che rimanga, che sia incisivo: più il tempo è corto e più devi prepararti. Alex aveva questo motto: bisogna dire le cose velocemente nella lingua dell’interlocutore che ti ascolta, bisogna prepararsi molto per dire le cose giuste, appropriate, per poter aprire una porta con l’interlocutore, che sia politico, che sia a livello comunitario.

Allora, nei ringraziamenti io faccio un ringraziamento anche ad Andrea Rinaldo che mi ha portato il libro che hanno fatto a Como: Como Sud, le storie e frammenti di vita in città. Lo ringrazio perché ho avuto modo con il Circolo dell’Ambiente, lui fa parte di quello di Como, di rintracciare queste storie al margine di una città e di poterla scoprire, come si può dire, da un altro punto di vista, e quindi lo ringrazio perché avremo uno scambio di libri oggi.

Da dove è nata questa idea del manuale? Un po’ è già stato detto. Allora quando morì Alex nel 1995 Alex era molto giovane, aveva 49 anni e lasciò sostanzialmente tutto in sospeso. Il suicidio è una morte drammatica, tutte le morti lo sono in generale, ma crea una responsabilità di una comunità vicina alla persona molto forte perché ti chiedi semplicemente che cosa è successo e dove eri tu. Quindi, ti ricade una responsabilità sulla pelle: non hai potuto accompagnarlo, non lo sapevi, dovevi vederlo il giorno dopo, così era tra l’altro per molti di noi, a un incontro. È un avvenimento, non so come si può dire, che entra nel profondo delle persone che stanno vicine. Riprenderò alla fine su questo argomento, brevemente.

Però quando successe creò un vuoto inaspettato, immediato, di tante cose che si dovevano fare che erano lì: non solo la ex Jugoslavia, il conflitto che c’era, la questione dei convegni, i Verdi, la pace: c’era una dimensione proprio di cose e quindi noi amici, che eravamo in tanti, tanti amici aveva Alex, una delle sue, come si può dire, grandi risorse che ha lasciato è stato il suo indirizzario, un indirizzario mondiale, fatto di tanti punti, persone che stavano nel mondo e che avevano avuto a che fare con lui. Questo indirizzario, circa 3.500 indirizzi dettagliati, più altri che arrivavano a comporre 10.000 indirizzi che Alex teneva dentro una computer che era il primo portatile che io avevo visto in vita mia, grandissimo, pesantissimo, tra l’altro ho visto ad Alex il primo cellulare anche questo grandissimo, pesantissimo. Così come Alex aveva sempre nello zaino, il famoso suo zaino, un orario dei treni dell’Europa grandissimo, pesantissimo anche questo, che aveva trovato solo lui e noi non trovammo più quell’orario con tutte le combinazioni di tutti i treni perché lui aveva fatto una obiezione all’utilizzo dell’aereo, che allora costava tantissimo: non c’erano i low cost, però lui l’aveva gratuito come parlamentare europeo o, allora, molto scontato. non so più.

E pensava al treno perché il treno era il suo mezzo di trasporto di conoscenza delle persone. In effetti, io ho viaggiato molto in aereo perché ho fatto cooperazione per più di 15 anni nel paesi dell’America latin e dell’Africa, e io non ho un conoscente dell’aereo; cioè, io ci ho pensato qualche tempo fa perché stiamo scrivendo un testo sui viaggi e non ho persone che ho conosciuto in aereo, ho un sacco di persone che ho conosciuto in treno. Forse adesso con l’alta velocità non si conoscerà più nessuno neanche in treno, perché forse la velocità è il fatto che ci impedisce di conoscere qualcuno sui mezzi di trasporto.

Bene, quando lui morì, questa comunità molto diversa, di persone che venivano da esperienze diverse e che erano insieme per lui, grazie a lui, su temi che lui aveva creato, interdisciplinari, interconnessi, e poi dirò qualcosa, dovevano fare qualcosa. Sapete che la morte di una persona viene sempre due volte: la prima è quando fisicamente non c’è più, la seconda è quando non viene più nominato, e allora lì è finita, non c’è più questa persona. Quindi, noi abbiamo detto: noi possiamo fare solo la seconda, la prima non ci è data, la seconda è quella di continuare nella sua nominazione e poter pensare di completare cose che lui ha lasciato lì. Perché ce lo aveva detto: continuate in quello che è giusto e su quel giusto, su quella direzione, noi abbiamo creato una fondazione, la Fondazione Alex Langer, fatta di molti suoi amici parlamentari, un fondo che gestisse la continuità di un’azione che però non fosse un’azione di una politica attiva di Alex, Alex non c’era più, ma che mantenesse viva, ancora viva nel presente, una delle dimensioni a cui ha creduto tantissimo Alex nella politica, che era la relazione con le persone.

Alex non era un filosofo, con tutto il rispetto non era un pensatore, lui era, come si può dire, un azionista della politica, uno che agiva, che si metteva in campo, un militante. E quindi, ogni pensiero e ogni riflessione, come questo che avete sentito, diventavano per lui un agire, che era necessario dare a questi pensieri, sulla velocità dell’economia, dello sviluppo, sulla convivenza, un’esperienza, cioè un luogo dove questo potesse diventare vero nella comunità umana, e un luogo dove diventa vero inevitabilmente ha a che fare con una persona, basta una, che lì fa una testimonianza, ha cambiato. Quindi, dov’è questa persona nell’esperienza che vogliamo per cambiare il mondo?

E questa è la sua ricerca costante, che gli ha permesso di avere quell’indirizzario che era un indirizzario sapiente… per esempio io sono andato a vedere il mio nome, cioè sono andato a vedere come lui mi aveva descritto: nell’indirizzario il mio nome era seguito da due pagine perché diceva cos’ero, dov’ero, perché mi aveva conosciuto, in che posto, le competenze che avevo. Un altro concetto di Davide della relazione è sempre stato il luogo, è stato già citato, cioè la radice di una persona, il luogo di nascita o il luogo dov’è, dove vive la persona, è una radice inevitabilmente intrinseca al suo modo di vivere e di pensare. E lui lo ha detto anche qua, lo diceva sempre: io sono dell’Alto Adige, ma lui in Alto Adige non ci viveva quasi più, o pochissimo. Negli ultimi anni non dormiva, mi ricordo, più di tre sere nello stesso posto, cioè una vita in movimento. Però la radice, le conoscenze, l’educazione, il posto dove tu sei stato concepito, oppure dove sei migrato, sei arrivato a vivere, sono una radice fondamentale.

Io per esempio sono di Seveso, Seveso ormai è un mantra ormai sull’ecologia , a Seveso o potevi essere ecologista o no, non avevi altra scelta, poi come ecologista potevi essere un ecologista radicale o un ecologista sociale… Allora, mi ricordo, a Seveso non solo venne anche lui, io ero molto giovane, non ho intrattenuto allora relazione con Alex, ma venne tantissimo Laura Conti, che è un’ecologista di Milano, medico partigiana, che penso conosciate, una delle fondatrici di Lega Ambiente e quindi nel posto dove sei, perché succede un incidente, come è successo nella mia comunità, tu sei sui giornali.

Permettetemi questa parentesi. Il mio papà portava a casa il Corriere d’Informazione, La Notte, per chi se lo ricorda, erano questi giornali della sera, che aprivamo a casa perché il televisore non era mai nel luogo dove mangiavamo allora, poi si andava a vedere la televisione, quel poco che c’era, si mangiava senza televisione, quindi mio papà aveva questo giornale e commentava questo giornale. E il giornale per mesi, per anni, parlava di noi, quindi tu apri il giornale che parla di te, della tua città, del tuo vicino di casa. Feltri allora fu particolarmente cattivo, se possiamo usare questo termine, perché io mi ricordo questo, raccontandovi questo aneddoto, perché lui mise le foto e gli indirizzi, con il nome e cognome delle donne che dovevano andare ad abortire la settimana dopo a Milano perché preoccupate del parto. Quindi capite cosa vuol dire in Brianza fare questa cosa, molte di loro hanno dovuto cambiare casa e città. L’aggressività in cui si è posto l’ambito della comunicazione di quel periodo.

E quindi il mio indirizzo era un indirizzo ricco di queste osservazioni di chi ero io perché ad Alex interessava la persona, la sua radice, di dov’era, cosa poteva raccontare e la sua esperienza: questo fa politica. Quindi, noi abbiamo ripreso la Fondazione, riprendendo un archivio che è metà di questa sala, più o meno, carico di appunti che oggi chiameremmo grigi, scritti, documenti che abbiamo raccolto in giro per l’Italia di riflessioni che lui aveva composto, di articoli sui giornali. Alex era su tutte le riviste più impensabili, nel senso che, non so, il bollettino parrocchiale di Verona, ha scritto innumerevoli articoli sui bollettini più incredibili che noi abbiamo raccolto perché questa rete di Alex è stata attiva per tanto tempo, e lo è ancora. E quindi le persone erano chiamate a questo. È difficile che io vada a presentare il libro oggi in una sala dove non ci sia qualcuno che l’abbia conosciuto. Ma guardate bene, anche in posti, che so, Menaggio, un mese fa, c’è uno che è passato da casa sua e ha dormito lì.

Perché il terzo elemento di Alex, dopo la persona e la sua radice, era il viaggio, cioè il fatto di andare a incontrare le esperienze: non basta come oggi acquisirle dai social, non basta farsele raccontare, bisogna andare lì perché così si vede, si tocca con mano il tempo di quella relazione; perché ogni esperienza ha un tempo e tu non puoi pensare di descriverla senza esserti appropriato per lo meno di un po’ di tempo tuo per lo scambio. E quindi queste erano pratiche che noi abbiamo imparato un po’ da lui, pratiche della politica, e quindi la Fondazione ha ereditato questa esperienza.

Abbiamo dato un premio, andate a vederlo su Internet, basta che segnate Fondazione Alex Langer e lo trovate, abbiamo dato un premio ogni anno a una persona particolare nel mondo che si è distinta sulle questioni che Alex portava avanti, sulle tematiche e sulle pratiche che lui… non so se riesco a comunicarlo, però la tematica è legata alla pratica per Alex, da sempre, nell’esperienza e quindi nella necessità di testimoniarla. Quindi, voglio la pace nel mondo? Bene, sì, dove l’hai trovata? Dov’è la pace? Dove hai questa conoscenza di pace? Chi la interpreta? Mi porti a incontrarlo? Basta uno per cambiare il mondo, diceva Alex e devi avere lo stesso tempo che hai per uno che hai per l’assemblea di molti. E quella pratica ti permette di andare a fondo del tema della politica che necessita, come si può dire, lo sguardo, che necessita la condivisione. Quindi, lui diceva: se tu hai un’idea di bene, quel bene c’è già nel mondo, se tu ce l’hai in mente è già successo. Lo devi trovare, lo devi incontrare, ti devi alleare, devi vedere che radici ha avuto quel bene e quello diventa politica.

Che premi abbiamo dato? Non so, a donne in Algeria che si battevano per l’indipendenza e per l’autonomia dell’Algeria contro i radicalismi religiosi, poi questa persona è diventata addirittura ministro dell’Algeria. Ci siamo battuti con ostetriche, cioè abbiamo premiato ostetriche della Thailandia che facevano nascere bambini di tutte le etnie e di tutte le religioni. Abbiamo premiato la famiglia che a Tienanmen in Cina ha raccolto i nomi e cognomi di tutti quelli che sono morti in Cina, perché a piazza Tienanmen c’è stato un massacro che noi sappiamo in parte nel senso che sono morte migliaia di persone e non due o tre; è stato un massacro anche scientifico, cioè le persone sono state uccise andandole a prendere a casa loro, sono state eliminate opposizioni che vivevano. Questo naturalmente non è stato raccontato e loro hanno avuto il coraggio di mettere a rete e di lavorare per questo. Questa famiglia aveva un solo obiettivo: di rintracciare i nomi dei morti. Punto. E questa è un’azione politica. Tutta la vita era dedicata a quello, e noi abbiamo dato il premio. Naturalmente, il governo cinese non li ha fatti uscire dai confini, sono morti recentemente tutti e due, ma dargli questo premio, non siamo riusciti neanche a dargli i soldi, perché il premio aveva un contributo (pochissimo) economico che veniva da questo fondo creato da molti amici parlamentari di Alex Langer che hanno aiutato a creare la Fondazione.

Quindi noi abbiamo continuato a mantenere questa rete attraverso un premio di riconoscimento ad Alex nell’indicare la persona e nello stabilire la sua importanza nel mondo, di portarla fuori. Cioè, non so, nel conflitto Uganda-Ruanda noi abbiamo premiato una tutsi che praticamente aveva salvato una persona, neanche conoscendola, perché l’ha messa in casa rischiando cdi essere uccisa, così per umanità, per salvarla dalla morte. Punto. Non c’era dietro nessun tipo di idea interetnica della convivenza, perché l’umano è buono, tende a quella bontà e noi dobbiamo metterla in evidenza e valorizzarla.

Quindi, voglio dire che la Fondazione è stata, ed è tuttora, un’esperienza di recupero della memoria di Alex e dei suoi temi, cercando però, come lui ci ha insegnato, se no non l’avremmo fatta, non di coltivare una memoria, come si può dire, fissa nel tempo, non l’avrebbe voluto, ma di continuare nella memoria a fare politica; e quindi l’abbiamo fatto per vent’anni, fino al 2015, molti di noi volevano chiudere questa Fondazione, e io tra l’altro ero uno di questi, poi hanno vinto quelli che la volevano aperta e quindi la teniamo aperta, perché io anche dopo vent’anni ero in pace. Molti di noi oggi lo sono, cioè non siamo più arrabbiati di quella morte, non siamo più svuotati da quella morte, per cui non è più necessaria quella memoria.

Io sono di questo avviso: che le cose devono essere anche chiuse. Voi sapete che nella politica italiana non si chiude mai niente ma si continua a spezzettare l’agonia, perché non fa i conti, o rifonda, quindi rimette insieme, o ridivide. È una pratica politica abbastanza conosciuta che viviamo , cioè quella di non chiudere un’esperienza: questa esperienza è chiusa, quindi noi oggi cambiamo passo.

Alex aveva chiuso l’esperienza di Lotta Continua, era stato uno dei più grossi sostenitori della chiusura di quell’esperienza, rivoluzione area comunista extraparlamentare, Alex veniva da lì, perché si scontrava con tre cose, due in effetti, che erano nell’evidenza della realtà non più mediabile da quella esperienza politica. La prima era il movimento delle donne, perché mi ricordo ancora un dibattito con Alex, io ero giovanissimo, ma proprio giovanissimo, giovane davvero non come adesso che, mi hanno detto, i giovani adesso sono fino a 35 anni, allora per noi già dopo i 20 era già un matusa per noi, per cui pensateci. E quindi in questa esperienza delle donne fu fatta, oggi si chiamerebbe outing, allora, come si chiamava?, autocoscienza nella quale queste donne dicevano di essere state picchiate dai maschi uomini sindacalisti di sinistra. Allora di fronte al fatto che la violenza maschile non aveva più confine di classe, allora si diceva così, o ideologico, non so se vi ricordate l’UDI… io ne parlavo con mio padre e mia madre , mio padre era un operaio, quando fece un atto rivoluzionario l’UDI perché semplicemente mise le riunioni alle sette di sera: drammatico per una famiglia, senza neanche i contenuti cambiò il mondo perché la mamma non c’era più a far da mangiare e dovevamo organizzarci e potete ben pensare questo che cosa poteva far succedere. Va beh.

E la seconda questione era la violenza che fece chiudere Lotta Continua perché la violenza era arrivata al limite e la politica necessitava della non violenza. Alex lo dichiarò e disse che tutte le manifestazioni della violenza giusta contro gli oppressori, ecc., non erano più giustificabili, la violenza giusta non c’è. Su questo paradigma che era in Lotta Continua allora, scusate se divago su questo, era molto forte perché molti giovani, chi si ricorda i testi che uscirono sul giornale nell’ultimo periodo, sia di suicidi, ma anche di persone che confluirono senza tregua, se mi ricordo, verso il terrorismo, tu mantenevi viva una cosa di cui non avevi più la possibilità di gestire la nuova generazione, davi il cattivo esempio. Alex diceva sempre: attenzione, quando tu stai dando il cattivo esempio o sei in un luogo che dà il cattivo esempio nonostante tu non lo voglia, tu devi chiudere quel luogo. Quell’esperienza, non hai una chance diversa, e la fatica di fare o nascere e la fatica di fare morire è uguale. E richiede una concentrazione notevole.

Adesso, non era così drammatica la Fondazione, anzi; però io sono sempre convinto che dire chiudiamo porta una eccitazione umana incredibile nella politica che richiede una riflessione, un confronto. Fa scandalo, mi ricordo ancora, simpaticamente, con tutti gli amici della Fondazione nel 2015 quando io e Mao Valpiana dichiarammo: è chiusa l’esperienza della Fondazione, basta. Quindi, dramma, perché poi uno si abitua, vive, si affeziona, diventa affezionato a quella cosa lì e non vede altro e delle volte è giusto e delle volte non lo è. Però la sospensione (?) della Fondazione ha permesso di fare molto.

Che cosa è successo? Allora abbiamo deciso di fare questo libro perché il ’95 era l’anniversario e quindi molti ci hanno detto: va bene facciamo questo libro, riflettiamo, vediamo di portare Alex nelle librerie, vediamo di capire… A noi questa cosa ci annoiava moltissimo, uno perché fare una cosa sulla morte veramente è una roba che non mi piace questo anniversario della morte. Allora abbiamo detto facciamo il ventunesimo, è iniziata un po’ questa idea, poi abbiamo detto: no, lo facciamo per la nascita che è l’anno successivo, sono 70 anni, ci sembrava più positivo, a nessuno non gliene frega niente dei settant’anni. No, neanche i giornali, perché per i vent’anni qualche giornalista chiama, adesso non so se chiameranno per i 22, oppure per i 25, non so quali sono le commemorazioni più significative. Ma non ci piaceva quest’idea della morte e, sostanzialmente, noi non avevamo proprio nessuna voglia di fare un passo di questo tipo.

Allora, pensiamo a questo libro e diciamo subito: che cosa può servire? Perché uno fa molte volte libri per autocelebrazione o per narcisismo, e questo può andare anche bene, ma se uno fa un libro per la politica, se fa un libro in un contesto collettivo che è quello della Fondazione, a che cosa serve questo libro? Ed è già stato un po’ detto: noi ci siamo chiesti e, dandoci una risposta con gli altri, è uscita quest’idea che è un po’ quella di Alex. Oggi la politica ha bisogno di umano, di persone che si dedichino a farla e la politica è un’arte nobile della convivenza, è l’arte più nobile e in un passaggio di Sabrina Langer, che è sua nipote e che ha scritto un bel pezzo all’inizio, lei si è occupata di donne, e soprattutto si occupa di donne qui di Milano e soprattutto di ex jugoslave, di conflitti di comunicazione interetnica ha ereditato quelle cose ultime che diceva Alex, perché Alex è stato un suo educatore della politica, ci siamo chiesti cosa può servire oggi per portare i giovani a vedere nella politica un bene, un impegno.

Per noi fu facile, almeno per me fu facile, nel senso che la realtà ci mise di fronte alle contraddizioni e noi ci impegnammo. Eravamo tanti giovani e io mi ricordo che nel mio quartiere giocavamo al pallone, simulavamo il campionato mondiale di calcio sin da quando avevo sei anni nel quartiere e interrompevamo il traffico stradale della via, cioè giocavamo a calcio nella via senza autorizzazione e le macchine non passavano, ma non per una via a fondo cieco, era una via, perché era occupata, perché giocavamo al pallone: nel mio paese le macchine giravano dall’altra parte perché c’era un’altra strada, oggi non credo che la cosa si potrebbe fare. Ma questo per dirvi dello spazio che avevano i giovani nella società e, lo sapete bene, che oggi non hanno più perché sono pochi, sono lontani, difficilmente a volte si incontrano, non si hanno luoghi per farlo.

Quindi, abbiamo detto: creiamo una modalità dove ci può essere un piacere di tornare a fare politica, perché di politica abbiamo bisogno. Alex, pensate bene, era un movimentista, Lotta Continua era un gruppo extraparlamentare, pensate voi, poi è diventato parlamentare, addirittura un parlamentare europeo, perché Alex credeva tantissimo nelle istituzioni. Diceva: voi potete impegnarvi molto, non so, nella Lega Ambiente, nelle ACLI, nell’associazionismo in generale, fate del bene, ma alla fine uno di voi, meglio due, deve andare nelle istituzioni a cambiare le regole. Perché sono le regole, lo ha detto anche qui non so se lo avete notato, ma bisogna andare a cambiare le regole della convivenza. Perché tu puoi fare del bene al tuo vicino che è arrivato da un altro paese migrante, ma se questo è illegale, quel bene non diventa utile agli altri. Come oggi, si parla di emigrazione illegale, ma c’è la migrazione legale? No, oggi non c’è una migrazione legale; questo è il dramma della illegalità della migrazione.

Oggi i migranti che attraversano dal Niger, siamo appena stati con il COSV che è una società di cooperazione, il Niger è uno dei paesi più poveri, io ho iniziato a fare cooperazione nell’80 in Niger. Per darvi un’idea, hanno fatto le elezioni perché i francesi gli hanno regalato la loro Costituzione che è la migliore del mondo perché è francese: hanno cambiato Francia in Niger e l’hanno fatta votare ai nigerini, che è una demenzialità totale. Quindi, hanno fatto le elezioni, anche con il ballottaggio, e poi hanno convocato il parlamento, è caduto il tetto del parlamento in Niger, io ero lì perché ho fatto l’osservatore dell’ONU alle elezioni nigerine. Questa ve la devo dire: perché quando noi esportiamo una democrazia in un modo che non ha un’attinenza… Mi ricordo che venivano a votare, questi africani, a piedi, 30 chilometri, ci credevano un sacco, non è che l’hanno vissuta male, con un sacco di braccialetti perché il braccialetto era indicativo della scheda elettorale. Quindi, venivano con tutti quelli dei parenti perché per fare 30 km era meglio che venisse uno solo, non trenta. E quindi lui veniva e io li ho fatti votare, poi l’ho spiegato nel mio rapporto, perché un africano che riceve un amuleto da te e tu gli dici vota per lui, è difficile che non faccia quello. Io sono convinto che un africano che arriva con sei amuleti e ha sei indicazioni di voto diverse le rispetta tutte, perché sa che potrebbe succedere qualcosa di malvagio a lui; quindi per me è attendibile quel voto. In Italia non so se potrei fidarmi alla stessa maniera del mio vicino di casa delegandogli il mio voto.

Però, per dirvi che quel tipo di migrazione illegale oggi non permette di vivere a quella legale. Alex sarebbe andato lì, perché in questo spazio di terra che va dal Niger, il paese più povero che oggi è diventato una casbah di tratta degli umani, credetemi, una casbah di tratta degli umani che devono attraversare il deserto per arrivare in Libia, lì ne muoiono altrettanti di quelli che vediamo nel mare. Nessuno lo sa, ma molti di questi arrivano a Niamey in Niger con 3.000 dollari perché la comunità glieli ha dati per andare a fare i migranti e portare a casa dei soldi per loro, hanno investito i senegalesi. E perché questi non possono partire in aereo dal Senegal? Loro hanno i soldi per venire in aereo dal Senegal? Ma perché non ci sono quote di migrazione legale. Non è che l’Italia dice: abbiamo bisogno di 100 mila persone per il lavoro, oppure, cosa che andrebbe fatta: abbiamo bisogno di destinare le terre del Centro Italia alla gente, perché in Centro Italia non c’è più nessuno che lavora la terra in Appennino, sono territori abbandonati. Ce lo ricordiamo adesso perché c’è stato il terremoto. Il terremoto per sfortuna è successo d’estate quando c’era molta gente, se fosse successo d’inverno non sarebbe quasi morto nessuno in questi posti disabitati. Abbiamo bisogno di riassegnare le terre al Centro e molti di questi lo sono nella parte centrale dell’Appennino. Lì se non abbiamo una migrazione legale ci sarà solo quella illegale da gestire, ma da quella illegale non ne usciamo.

Quindi, ci siamo detti: prendiamo i temi di Alex che fanno ancora scandalo e vediamo di metterli sul tavolo della politica e quindi di non fare solo noi il libro, ma di coinvolgere, come è stato detto, varie persone che fanno parte di questa comunità di relazioni, hanno impegni oggi diversi, fare 10 capitoli su cui farli riflettere. I temi li avete già sentiti: sono quelli della convivenza, del debito con la natura, della necessità di fare ponti e non muri, del rifiutare il nemico, li trovate nell’indice.

Allora abbiamo pensato di fare questo gioco di rapporto tra uno scritto di Alex scelto tra i suoi, già pubblicati, sono tutti pubblicati sul sito della Fondazione, alcuni sono stati ripresi dal primo testo che era Il viaggiatore leggero fatto da Adriano Sofri e da Eddy Rabbini che è ancora il presidente della Fondazione (era il suo segretario personale), che ha permesso la raccolta dei primi testi l’anno successivo della sua morte. Molti di questi sono testi già visti ma che noi abbiamo scelto tra gli innumerevoli che, secondo il nostro punto di vista, avevano ancora qualcosa da dire alla politica, per chi vuole occuparsene. E li abbiamo abbinati a un approfondimento contemporaneo, che non giudica molto il libro di Alex, prende spunto da lì per dire dove oggi si vede la tematica, che è lo stile che vi dicevo prima, dove si manifesta l’esperienza, la contraddizione di quella idea di Alex.

Quindi hanno scritto questo libro, sono stati sei mesi molto interessanti, perché scrivere insieme agli altri è veramente faticoso, richiede una comprensione collettiva, richiede uno sforzo perché non è stata semplicemente una delega, tu fammi un libro, questo è il titolo. Io non lo avevo mai fatto, Mao Valpiana sì, richiede uno sforzo di comunicazione, di interpretazione, di traduzione che è notevole, cioè proprio tanto tempo; e anche attenzione alle parole, cosa vuol dire per te questa cosa, cosa pensi possa essere, dove possa andare; rispettare le particolarità, le sensibilità. Quindi, devo dire che è stata una’esperienza veramente interessante e che ha raccolto i testi senza rifiuti. Non si sono prodotti rifiuti di questo libro. È una cosa a cui tengo nella lingua scritta perché nella lingua parlata oggi si possono produrre tante parole che dimenticherete e che magari sono inutili, o retoriche, nella lingua scritta è più difficile, nel senso che devi stare più attento a non mettere parole di troppo o a non riflettere sulla parola, perché la parola scritta, lo sapete benissimo, rimane e nel suo rimanere ti giudica sempre, è sempre lì. E quindi abbiamo ragionato su questo con gli autori anche sul linguaggio, che potesse essere più contemporaneo, e quali sono le parole oggi che possono essere ambigue.

E in questa riflessione sono arrivati i documenti, 14.000 caratteri per autore, abbastanza rispettati, cioè non è un prodotto spazzatura, non so come dire. Alcune riflessioni maggiori di qualcuno che ha prodotto più testo sono state occupate per fare degli articoli, in particolare sulla guerra della ex Jugoslavia su cui sono arrivate riflessioni molto interessanti, in primis da Sabrina Langer, e sono stati utilizzati per fare un altro materiale. Questo è stato sorprendente, molto interessante; abbiamo cercato quindi di non buttare via nulla, di costruire anche una cronologia degli avvenimenti da cui Alex era stato, come dire, colpito. Che è una cosa interessante perché quando fai cronologia, tu puoi prender un testo e vedere che cos’è avvenuto quell’anno. Ma cos’è avvenuto quell’anno per tutti noi non è uguale. Se io vi dovessi chiedere: nel 2015 cosa sono le cose importanti che voi segnate?, uno dice l’enciclica, uno magari non lo dice, uno dice l’Expo, uno magari non lo dice o lo dice in maniera diversa. Cioè, gli avvenimenti non toccano le persone nella stessa maniera pur cadendo per tutti, ma dicono delle cose diverse che fanno creare esperienza a quella persona. Quind,i Alex delle cose che sono successe, che lui ha visto che abbiamo descritto perché sono nei suoi appunti, dove lui prendeva nota continuamente di cose, sono la cronologia di Colleoni, che è la persona che lo ha conosciuto di più dal punto di vista, come si può dire, giornalistico e degli appunti, era un giornalista dell’Arena di Verona, ha fatto anche il corrispondente per Radio Vaticano, quindi è stato una persona che ha faticato in questa professione, accompagnava Alex nelle scelte della comunicazione. Abbiamo quindi prodotto questo testo che abbiamo pensato poi alla fine che fosse un manuale, qualcosa che servisse, che uno può leggere a pezzi come vuole, può iniziare dalla fine, non importa, basta che segue un indice suo che può dare, e costruisce quindi una sensibilità alla politica.

Vogliamo già sperimentarlo, quindi faccio un annuncio, nel senso che abbiamo pensato con Legambiente di fare un corso utilizzando il manuale, qui a Milano, partirà a maggio, è già in rete la richiesta di adesione, stiamo raccogliendo le adesioni e qui si aspettano i giovani, i giovani fino a 35 anni, poi dopo non sono più giovami. Possono partecipare a questo corso tutti però, perché la Fondazione Cariplo (che è la mamma del terzo settore in tutta la Lombardia e se non ci fosse saremmo nel dramma, quindi ogni volta che le istituzioni pubbliche cercano di portargli via i soldi… mi ricordo che Tremonti voleva prenderseli quasi tutti per fare le autostrade, per fortuna Guzzetti ha resistito a quella violenza) ci ha finanziato questo corso su cui sperimenteremo già con un gruppo di giovani un manuale per la politica, per l’impegno.

Quali sono i pilastri che, per così dire, il testo ha? Tre di Alex che sono contemporanei ancora. Dirò questa cosa sui tre e poi sui metodi, tre metodi e tre temi, i tre temi che sono stati toccati e che sono oggi, a nostro giudizio, contemporanei. Il primo è quello dell’ambiente, dell’ecologia: oggi a differenza di quando c’era Alex ma, diciamo così, nel percorso di Alex, il tema ambientale è oggi un tema trasversale, dominante della preoccupazione come il lavoro, perché legato alla qualità della vita, una sensibilità diffusa. Non parlo qui oggi naturalmente dell’Enciclica del papa, però ne abbiamo parlato nel 2015 con Leonardo Boff, che credo sia in parte l’ispiratore di alcuni contenuti di quel percorso, lo invitammo a fare un ragionamento sul libro, venne qui per Expo col Brasile per una cosa che riguarda l’educazione, l’acqua. Tra l’altro, la coincidenza che Boff, quando morì Alex stava tenendo, in quel momento in cui i giornali diedero la notizia, un convegno a Trento, quindi fu lui a dare la notizia a tutti i trentini: Trento è un luogo molto vicino alla politica di Alex.

Questo dell’ambiente per Alex richiede quindi una pratica, come vi dicevo, un’esperienza, e lui coniò, e oggi è attuale, il termine conversione, rifiutando negli anni Novanta totalmente l’idea della rivoluzione. La sua rottura con il passato e quindi del tradimento, che cita anche qua, lì lo cita per questioni interetniche, ma il tradimento di Alex fu anche un tradimento della politica, di una politica violenta che faceva della rivoluzione un moto positivo (sappiamo che le rivoluzioni vengono fatte da pochi per gli altri e dopo un po’ che vengono fatte i pochi si appropriano del diritto di perseverare contro gli altri).

Invece lui diceva: la conversione è un atto irreversibile che parte da te e non è solo un ambito, come si può dire, di pratica spirituale, che pure è, ma anche una pratica laica, praticata dalla raccolta differenziata. L’Enciclica ne parla, pensate voi, è rivoluzionario, è incredibile, quel testo per un laico, perché parla a tutti, sì, perché la raccolta differenziata richiede uno sforzo individuale. Ricordo che allora quando raccoglievamo le bottiglie per portarle alle campane, non so se vi ricordate, alcuni miei amici della sinistra molto ideologica mi accusavano di creare profitto per le ditte che lavoravano sui rifiuti senza remunerazione del lavoro, cioè che il mio volontariato di fatto non lo era, era un apporto al profitto di queste ditte. C’è anche un’equivalenza marxiana su questo, che non citiamo. Ma quello ha cambiato il mondo: certo che hanno fatto nascere delle ditte che hanno lavorato sui rifiuti, ma hanno creato posti di lavoro; quindi, per la prima volta, la conversione personale entra nell’anima dell’economia, riconverte l’economia, crea una prospettiva dove finalmente l’ecologia si mette in relazione con l’economia, cioè con l’amministrazione della casa, non solo con la conoscenza della casa comune e quindi la conversione ha una pratica collettiva, cioè può uscire dalla dimensione personale e diventare un movimento e l’ecologia, l’ambientalismo, lo può ereditare.

E lui diceva: i Verdi lo possono prendere in sé, ma i Verdi tradirono subito questo spirito. Lo dico perché Alex fece subito un convegno quando i Verdi presero il 3,5, adesso non mi ricordo le date, e quindi c’era l’euforia perché allora si era molto euforici con il 3,5, anche adesso credo. Quindi euforici, vinceremo il popolo, non importa se vinciamo, l’importanza sono le idee che abbiamo. Cosa succedeva? Questa positività Alex la smascherò facendo un convegno a Pesaro dicendo: i Verdi sono finiti. Capite che non gli ha dato un grande consenso questa cosa, perché diceva una cosa molto semplice: per essere credibile l’idea che hai, la pratica che hai e le relazioni che coltivi devono esserci le persone che la interpretano. Dico un abominio: se oggi… no, non lo dico perché è esagerato. Cioè devono essere interpretate perché se non c’è la persona che dice: io ci credo, nelle istituzioni, nella politica rappresentativa non ti dà il voto, banale; nella politica sociale eccetera, non ti segue, non ti ascolta, proprio non ti ascolta.

Allora i Verdi furono occupati dal ceto politico dell’estrema sinistra che non voleva perdere l’occasione di stare in Parlamento dopo essere stata extraparlamentare e di farlo con una certificazione che non aveva nella pratica personale. Quindi Alex diceva: siccome non vanno condannati quelli che cambiano, voi dovete avere un tempo per cambiare, noi dobbiamo avere un tempo per cambiare perché se no non siamo credibili, siamo degli ipocriti. Quindi, la lista elettorale che fu una delle grandi battaglie di Alex nei Verdi, si fa con le persone che interpretano il cambiamento. Chi sono? Il presidente di Alce Nero, il presidente di allora di Legambiente, lo chiese a Realacci che era appena nato, che non faceva parte della politica, gente del Movimento non violento, Mao Valpiana, persone che nessuno conosceva ma che nella realtà sociale, cattolici di base, persone che avevano a che fare con un movimento non visibile nella politica istituzionale, ma visibile nella politica sociale. Queste sono quelle che prenderanno i voti, perché la gente dirà: questo non lo conosce nessuno, ma insomma vale la pena, però le cose che dice sono belle. Liberava la persona dal suo simbolico e faceva ragionare sul suo contenuto e sulla sua esperienza. Questo poteva rompere e poteva far arrivare i Verdi, come si pensava, alla statistica del 10-15%. Perché Alex era un uomo della politica istituzionale, era un uomo che metteva le persone al voto, che faceva campagna elettorale, non era uno che diceva: ah il bene… No, il bene va lottato, e la democrazia è lo strumento che abbiamo su cui bisogna lavorare.

I Verdi lo buttarono fuori, già è stata citata prima da Giovanni Bianchi la questione elettorale. Devo dire, aggiungendo a ciò che hai detto che due volte Alex ha cercato di fare il sindaco a Bolzano, perché lui ci teneva veramente tanto, ci teneva a tornare a quella radice che dicevo prima. La seconda volta fu sconfitto da quello che Bianchi ha detto, cioè dal fatto che lui non accettò la collocazione etnica, cioè ingua materna sangue paterno, e si oppose. Mi ricordo che in quella riunione che si fece a Bolzano noi gli dicemmo: ma scusa, perché dopo parte l’opportunismo, cosa te ne frega, fatti eleggere e poi cambi. E lui disse: ma se mi faccio eleggere così non cambio più, io cambio se mi faccio eleggere in maniera diversa. E tu: ma così non ti farai eleggere. Perché in Alto Adige c’è una legge che tutela le minoranze e questa legge che tutela le minoranze è diventata di fatto nel tempo una legge razziale, ci piaccia o non ci piaccia. È una legge che consolida le separazioni: quel gruppo misto che diceva Alex fu fatto perché tedeschi, italiani e ladini dicevano sui giornali che era un abominio per il riconoscimento etnico. E lui ha citato le bombe perché allora sparavano, ai traditori sparavano, non è che giocassero. Lui diceva: oggi mi sono svegliato e mi sento molto italiano, ma domani mi sento magari molto tedesco, e poi parlo ladino. Quindi, capite che per questo, chi riconosce l’identità del noi, come diceva lui, chiusa, questo è un abominio, è un tradimento e sul tradimento, lui l’ha detto, la violenza che parte dalle questioni razziali e religiose, lo diceva nel ’94, vedete cos’è successo, è atroce, quasi non ha rimedio, quella violenza lì.

Quindi, la prima volta invece, più interessante per il discorso che sto facendo io, gli fu impedito dai Verdi perché alcune persone dei Verdi (potrei fare i nomi ma oggi non fanno più politica quindi pazienza, se dovessero riprendere a farla li attaccherò su questo) fecero una lista elettorale contro di lui a Bolzano, andarono lì per mettere contro. Allora era la sinistra che voleva appoggiare Alex perché non aveva molte chance, perché la Volkspartei era molto forte, era un’occasione Alex per rompere: quindi la sinistra aveva capito che la persona era giusta e aveva il consenso, fu rotto dai suoi stessi amici che andarono lì a fare una lista elettorale quindi si ruppe il patto, cominciarono i dibattiti che voi conoscete molto bene e lui si ritirò per evitare che questo conflitto andasse… Non si presentò. Anche lì noi, io la prima volta non c’ero, altri amici, Deafenstein stesso diceva: stai lì, e lui diceva: la pratica è già diventata violenta e aggressiva tra di noi, io non faccio questo passo.

Quindi, sulla questione della responsabilità della politica, la conversione richiede una adesione personale e questa è la scoperta dell’ambientalismo nella politica. Non è che Alex abbia scoperto solo questo, però lo ha fatto diventare politica, si è usciti dalla scienza dell’ecologia, anni Sessanta, il Club di Roma, moriremo tutti, quando il pianeta si salverà, una condizione estranea alla società, e l’ecologia entrava in relazione diretta verso la società.

Il secondo elemento è la convivenza tra noi diversi che è stato citato da Alex, perché l’ecologia deve essere un fatto che ha a che fare con la convivenza delle persone. Alex diceva: deve essere desiderabile non possiamo pensare di imporlo per legge, anche se le leggi sono necessarie. L’80% delle leggi ambientali italiane, forse anche di più, sono dettate dall’Unione Europea, noi non abbiamo fatto una legge ambientale benfatta, le abbiamo fatte grazie alla Unione Europea, grazie a un lavoro incredibile.

Ah, per concludere il discorso di prima, quando i Verdi lo buttarono fuori, cioè non lo buttarono fuori perché era un fondatore, però gli dissero: ti diamo… perché sapete che in politica fanno così, quando ti buttano fuori ti danno un premio, apparentemente un premio, e gli dissero: guarda, sei talmente bravo che in Italia sei sprecato, perché sei troppo bravo, sei il più bravo di noi, quindi ti diamo un premio, ti candidiamo in Europa. Chiaramente, candidato in Europa voleva dire… sapete come sono le elezioni europee, sono proporzionali con la preferenza, quindi devi prendere migliaia di preferenze. E lui disse: va bene, accetto la sfida e iniziò una campagna elettorale pazzesca nel Nord Italia, Lombardia, Veneto, insomma un bacino elettorale immenso, e lo frequentò e lì ci furono sei mesi in cui dormì un giorno solo per ogni luogo. Mi ricordo che facevamo le riunioni in treno e quando poi lo conobbi sulla questione della cooperazione (sono molto più giovane di lui), io venivo da lì, e facevamo le riunioni in treno. Guarda, io vado in treno da Milano a Verona, facciamo la riunione in treno così sappiamo quando finisce, perché Alex era anche ossessionato che le riunioni durassero più del tempo dovuto. Quindi il treno era anche utile perché la riunione finisce quando arriva il treno, può essere in ritardo e in questo caso la riunione aumenta, si allunga e quindi tu speravi nei ritardi per poter restare di più a condividere questa cosa.

Quindi, diciamo che lui si mise in gioco europeo e fece il parlamentare europeo; prese sempre i soldi, prese sempre un contributo dal fondo europeo uguale al suo stipendio di insegnante: Alex era un insegnante. Quindi continuò a prendere quei soldi sempre ma non diede i soldi al partito, lui odiava questa cosa. Fece un’associazione che lo aiutasse a fare il parlamentare europeo: impiegò 12 persone da Bolzano a Bruxelles, a Strasburgo, che avevano un ufficio per poter alimentare i contenuti della sua azione politica.

Oggi in Germania questa è una pratica che serve ai politici per dar dei soldi alle fondazioni, per poter contribuire all’azione politica. Addirittura, in Danimarca si sono spinti oltre, perché il programma elettorale dei partiti danesi viene giudicato da una commissione. E sapete che anche qui è obbligatorio portarli in comune, però da noi la cosa va un po’ così; là se giudicano che tu prometti delle cose non realizzabili devi rifare il programma se no non sei ammissibile alle elezioni. Nel mio comune ho guardato i programmi dei partiti che si sono presentati, nel mio comune, non oso pensare a livello più elevato.

Questo per dire che la politica richiede una responsabilità e Alex nell’istituzione l’aveva, non ha mai mancato a un’assemblea, ha sempre fatto interventi sugli argomenti più disperati, era interconnesso con i vari sistemi, aveva una visione europeista totale e nella condizione della convivenza lui mise al centro l’Europa. E oggi la vediamo. La mise al centro tanto che sua nipote dice: chissà che non arrivi proprio da questa moltitudine disperata la spinta nella direzione di una unità europea politica, questo scrive sua nipote. E poi alla fine, descrive questo: dobbiamo attrezzarci per la convivenza in un territorio che ci parrà necessariamente più stretto. Ognuno di noi può fare e deve fare il suo, come un bambino che (questo è un racconto della sua scuola) alla domanda che fa un adulto a questo ragazzo: quanti stranieri ci sono nella tua classe?, lui risponde: nella mia classe ci sono solo bambini.

Quindi, l’dea che la convivenza includa l’altro è la dimensione che potrà dare all’Europa, che è l’unico futuro che abbiamo. Io sono un europeista totale e quando mi dicono: però l’Europa non va molto bene, sì perché?, gli stati nazione? uno fa i paragoni, io mi sento un patriota dell’Europa e culturalmente un italiano, la mia patria non è più da tempo l’Italia. Mi spiace, e questo lo metto in gioco quotidianamente e, come si può dire, a quegli imbecilli che pensano che l’euro sia solo una questione di moneta delle banche, io dico l’euro, come tutte le monete fa parte della vita quotidiana delle persone. Io oggi lavoro con molti giovani, i miei nipoti, che neanche hanno visto la lira, ma io perché devo fargliela vedere? Perché devo far tornare indietro una possibilità così grande di far convivere un continente di diversi che si è fatto guerra per secoli e che oggi può vivere in pace nelle contraddizioni di una guerra alle frontiere, e anche nel suo cuore, ogni tanto?

Alex lanciava una cosa più in là, perché non era mai in pace e quindi diceva a noi: sì, però l’Europa non è nulla, non ha senso se non c’è il Mediterraneo; e quindi lanciò a Bolzano una campagna che c’è ancora, una festa ogni anno che si chiama Euro-mediterranea, a Bolzano, potete immaginare. Perché diceva: è la culla di queste relazioni, quindi se noi non tratteremo la convivenza con il sud del Mediterraneo, e oggi guardate come è, noi non andremo da nessuna parte, è lì che passa la nostra aspirazione di unità nella diversità; il continente più diverso, il continente più contraddittorio, il continente che ha più responsabilità di un modello di sviluppo, ma il continente che oggi sulla questione dell’ecologia può disaccoppiare.

Può disaccoppiare in che senso? Che la felicità non dipende più dalla materialità. Per molti popoli di questo pianeta è ancora così: c’è bisogno di cose, frigoriferi, carta igienica; noi non abbiamo più bisogno di cose per stare bene, anzi in alcuni momenti dovremmo averne meno per poterle utilizzare meglio, ma questo non perché si pensa, e Alex non lo pensava, solo a un processo di decrescita che è una parola che non sempre è completa anche se Latouche ha fatto interventi anche interessanti su Alex; il pensiero di Alex: la decrescita non può essere una desistenza, capite, una mortificazione dello sviluppo.

Alex si faceva questa idea anche sull’ecologia legata alle persone e quindi alla demografia. Se da voi viene un amico che vi dice che ha avuto un bambino, voi cosa gli dite: peccato, un altro in più che deve mangiare sul pianeta? Non è umano, se uno vi dice che ha avuto un figlio, voi siete contenti, voi gioite di quella vita, anche se sapete che peserà sul pianeta, ma non può essere quella la nostra soluzione dei problemi ambientali. Quindi, su questa idea della condivisione e anche del fatto che la conversione deve essere desiderabile, sta tutta la sfida che l’ambientalismo, o un pensiero che riguarda l’ambientalismo, deve porre alla politica.

L’ultima pratica delle tre, e l’ho già citata prima, è la non violenza. Viene citata molto nel libro. È stata la rottura con il suo passato rivoluzionario, è oggi costantemente una questione aperta nel senso che tutti discutono sulla violenza giusta, sulla violenza necessaria. Anche Alex, lo ha detto nel video, è stato arrestato innumerevoli volte. Io ne ho fatte due di queste cose, una volta mi hanno fermato, un’altra volta sono scappato prima perché facevamo i volantinaggi davanti alle caserme, dicendo, invitando (sì, insomma, è come andare all’inferno) i militari a disertare; non solo davamo il volantino che è già, penso, un vilipendio, non so cosa succede, è già una cosa gravissima, ma poi lui conversava, faceva slogan: non andate in caserma, sapete che chi non rientrava… qui lo sa solo la parte maschile. Poi noi scappavamo tutti in fretta e lui rimaneva lì perché voleva discutere anche con i carabinieri che gli dicevano: guardi che alla fine dobbiamo arrestarla; però siccome lui su questa cosa, un po’ come Pasolini, su questo aspetto aveva questa idea che le forze dell’ordine hanno un ruolo determinante nella civiltà, che noi gli abbiamo delegato per la gestione della violenza e loro gestivano la violenza per conto nostro, e questo ci permette di non avere armi in case, speriamo. Dove non c’è la forza dell’ordine che lo gestisce nel modo in cui noi l’abbiamo creato in Europa, succedono dei grandi pasticci perché l’uomo, l’umano, è cattivo, oltre che bravo, e ogni tanto succede che la cattiveria prevale anche tra i bravi, e se non hai la pistola, ecco sì, è più faticoso sopprimere un altro.

Quindi, lui aveva un grande rispetto delle forze dell’ordine perché diceva: lì ci sta un’umanità, una comprensione; noi diamo loro un delega con la quale devono convivere, cioè un carabiniere deve convivere con la violenza che vede e che deve esercitare per sopprimere la violenza, quindi noi dobbiamo avere rispetto di questo e per sopprimere i carabinieri dovremmo, diceva così ai carabinieri, pensate, per sopprimervi dobbiamo diventare più buoni tutti noi; finché noi non lo siamo voi ci siete, dobbiamo stabilire un patto di convivenza. Questa cosa mi è rimasta perché io nella Legambiente ho grandissimi rapporti con le forze dell’ordine perché abbiamo fatto un accordo sulla questione della criminalità, sono sempre un po’ strutturati i miei discorsi, quando abbiamo fatto l’ultima riunione c’erano tutti questi qua; io poi non ho fatto il militare, ho fatto l’obiezione, sono un non violento totale e loro lo sanno: ma, Marzorati, non tutti possono essere perfetti, accettiamo, non si preoccupi… Abbiamo fatto un accordo anche con la Forestale che adesso sono diventati carabinieri e quindi c’è tutto un cambiamento nelle forze dell’ordine che è molto interessante.

Quindi, Alex veniva sempre arrestato, però poi negoziava. C’è una foto che ho recuperato qualche giorno fa, del Corriere, che mette che è stato arrestato, poi c’è questo carabiniere poco tecno, un carabiniere anni Ottanta, con quella cosa lì che non so mai che cosa c’hanno dentro in quella, cosa c’è dentro lì? Delle munizioni? Io pensavo del dentifricio, quindi avevano questa borsetta, lo arrestavano e la foto diceva: il parlamentare Alex Langer è trattenuto dalle forze dell’ordine, lo si può vedere nella foto, è quello con l’ombrello. Ecco, però erano in due, uno era un carabiniere e l’altro era Alex Langer: non è che ci fosse molta scelta di individuare. Sono foto molto interessanti.

La non violenza è una pratica quotidiana, non è solo una pratica ideologica, dall’esperienza di Gandhi, di Capitini in Italia, è una pratica, e qui ci sarebbe stato il mio amico Mao Valpiana che avrebbe fatto un intervento più adatto, quotidiana. Su questo abbiamo ragionato molto, sul pacifismo e non violenza, per i non addetti è la stessa cosa, può esserlo, va bene; pacifico mi è sempre sembrato uno poco attivo, cioè io non mi sono mai ritenuto un pacifista, io combatto per le mie idee non violente, vuol dire che so che c’è la violenza e la violenza vuol dire fare una pratica su di sé, come la prima sulla conversione, per non esercitarla sull’altro. Il primo cambiamento è la cura.

Ho quasi finito. Quindi su questo, dell’idea della non violenza è una discussione che è tutta aperta e su cui lui fece uno scandalo. Lui ci diceva sempre: la politica deve prendere un elemento simbolico e farne scandalo per poter rendere chiaro dove vuoi andare. Uno dei suoi scandali sulla non violenza fu l’ultimo, che gli costò molte delle simpatie del mondo non violento, o pacifista per meglio dire, fu proprio fatto sulla ex Jugoslavia perché lui a un certo punto disse: bisogna creare una forza di interposizione. Questo fu un tradimento, perché molti non violenti gli dissero: tu hai tradito, alla fine anche tu vuoi che si mandino gli eserciti. Lui rispose, mi ricordo, mi viene ancora la pelle d’oca, quella volta in un’assemblea piuttosto concitata, rispose dicendo: guardate, è molto semplice e nello stesso tempo è estremamente complicato; ma voi pensate, quando uscite da scuola e i vostri due migliori amici si prendono a pugni, sei alle elementari, cosa fai? Questi se le danno proprio. Tu cosa fai? Ti metti di mezzo. Ed era la cosa che si diceva sempre alle elementari: non metterti di mezzo. Perché? Perché se ti metti di mezzo le prendi, magari da tutti e due, anche se non fai niente ma il corpo che si mette in mezzo ecco gli altri non si scontrano più, hanno davanti te, dovrai passare sul mio corpo; è già un’azione importante, capito? Anche se non ti muovi. Le azioni non violente erano sempre quelle: noi ci sedevamo, venivamo trasportati, ma farsi trasportare, a parte che è pericoloso, speriamo che non mi lasci perché se no cado. Il corpo è il corpo e lo devi saper trattare quando è passivo.

Quindi, lui diceva di fronte a questo: sta succedendo l’irreparabile, dobbiamo metterci di mezzo e non possiamo farlo noi, ci vuole qualcuno che la società ha delegato nella gestione della violenza, ci vogliono le forze dell’ordine, non mi posso mettere solo io, anche se lui lo ha fatto, l’ha dimostrato. Possiamo fare una dimostrazione ma di fronte alle armi deve esserci qualcuno che è pratico e quindi dobbiamo avere questa consapevolezza della non violenza. E cosa facciamo noi quando c’è la forza di interposizione che va lì? Disse: noi possiamo pregare. E uno dice: guardate oggi cosa succede. Possiamo pregare perché se noi non possiamo stare lì, la preghiera può mettere insieme una speranza. E questa è la conversione che lui proponeva; pensate per il mondo laico, per la politica, diciamo. Per chi crede o non crede, la politica è la stessa cosa. Pensate forse che Mitterand stesse a pregare? O, non so chi era il primo ministro italiano, non mi ricordo più, stesse a pregare? È un’azione passiva. Invece sarebbe stata un’azione attiva se la preghiera fosse stata multi-religiosa, come si può dire, fatta da noi, dai mussulmani, dai protestanti e dagli ortodossi in quel giorno. Se ci fosse stato il lancio della preghiera perché lì c’erano condizioni dove la violenza aveva un’interpretazione religiosa ed etnica a cui la politica si è adeguata.

Ecco, mi sono dilungato un po’ forse nei particolari, ci tenevo a dire che gli strumenti che sono anche qua tre, rapidamente, sono quelli legati al metodo di Alex, che il metodo della politica era la relazione, come vi ho già detto all’inizio, cioè la persona al centro dell’agone politico, e il rispettare l’avversario, non avere il nemico, non pensare al nemico, ma cogliere nell’altro la condizione della tua mancanza e quindi di ciò che ti serve. Anche qua, non è questa una posizione remissiva, intimista, è una condizione di cambiamento della conversione totale della persona sulla politica. Quindi, il metodo è sempre quello: chi hai di fronte? qual è la sua storia, la sua radice? come puoi fare a capirne il suo bisogno?

Guardate che qui lo scandalo, e fece anche qui lo scandalo: andammo da Craxi noi per la preparazione nel ’92 di Rio. Rio fu il grande convegno mondiale dove l’ecologia per la prima volta diventava una cosa globale, visibile. Alex dedicò tantissimo tempo, lui sapeva otto-nove lingue, e si preparò per intervenire in portoghese perché diceva: è meglio intervenire, anche sapendola poco, nella lingua del tuo interlocutore che in un’altra perché la traduzione è molto pericolosa nella comprensione. Va beh, questo lo diceva lui perché aveva una grande facilità nella comprensione delle lingue, però sulla lingua ha sempre fatto uno sforzo incredibile nel dire il nome giusto, nel citare le cose giuste.

Andammo da Craxi, perché lui allora, non so chi se lo ricorda, a parte che era il satana della sinistra e già quando ha detto: andiamo da Craxi, tutti ci siamo messi le mani nella testa e abbiamo detto: adesso succede per l’ennesima volta uno scandalo: Alex va da Craxi, chissà che cosa gli darà in cambio. Perché lui fu buttato fuori dalla politica italiana: fu un errore, io credo, e fu messo come rappresentante dell’ONU per il debito, che invece fu un ruolo importantissimo che lui fece e devo dire non male, non benissimo, ma non male in quel contesto. Quindi, andammo da Craxi a chiedere che a Rio ci fosse un riscatto italiano, perché Alex diceva non possiamo andare a Rio a chiacchierare, l’Italia ha delle responsabilità, individuiamole e andiamo a Rio con chi ha fatto delle cose sbagliate perché si riveda, riveda la sua posizione. E allora era l’Eni che aveva fatto cose sbagliate, aveva comperato un territorio grande come l’Umbria e ne aveva praticamente deforestato la metà e aveva scacciato gli Xavantes, che era la popolazione che viveva lì, mettendoci le vacche. Sapete che allora non si sapeva neanche questa cosa sull’ecologia, che la foresta tropicale è terreno arido, suolo desertico una volta tolta la foresta, perché tutta la materia organica, cioè l’energia della vita, sta nelle piante, negli animali sopra il suolo, il suolo non ha materia organica perché è sempre costante il tempo, non c’è come qua l’inverno per cui si accumulano le foglie, non c’è humus, non ci sono neanche sassi, c’è solo fango. Tolta la foresta, diventa arido in poco tempo. La vacca, praticamente c’era una vacca ogni tre ettari, e quindi vuol dire che questa per camminare e mangiare moriva, nel senso che deperiva per mangiare, non ingrassava e quindi l’Eni non sapeva cosa farsene, aveva fatto un disastro, restituì queste terre poi agli Xavantes con questo processo.

Secondo strumento importante è la comunicazione e l’indirizzario. La comunicazione perché bisogna sempre dire ciò che si sta facendo nel linguaggio dell’interlocutore, cercare di interpretare il punto di vista dicendo la propria idea e quindi la comunicazione, lo sforzo di come si comunica oggi di fatto è una pratica, anzi forse oggi si fa solo comunicazione senza sapere cosa ci si mette dentro, però le due cose dovrebbero andare teoricamente insieme.

E l’indirizzario, che è quello che dicevo prima, che oggi sono le news letter, tutte queste cose che esistono: sapete che Alex allora mandava dei twitt, twitter allora non c’era, Alex aveva delle cartoline, mandava praticamente una cinquantina di cartoline a settimana, non le mandava tutte lui, le faceva mandare, ma le scriveva tutte lui. Io ancora oggi, andando ai convegni, incontro chi aveva ricevuto decine di cartoline di Alex che dicevano, che so: sono qua al Parlamento europeo, è intervenuto un parlamentare della tua terra, mi sono ricordato di te, di quando siamo andati al ristorante a Udine insieme. Cose così, perché avevano a che fare col fatto che lui era presente nella vita delle persone.

Il terzo è il luogo, e lo strumento è il viaggio, cioè il fatto di essere in movimento per conoscere, per mettersi in relazione e per capire. Questo del viaggio è stata tutta la vita di Alex, anche il nome che aveva dato a vari testi, Il viaggiatore leggero, cioè proprio una sua modalità; lui era sempre in viaggio, era sempre altrove, era sempre in un posto. Abbiamo cercato in Fondazione, badate bene, negli ultimi anni di descrivere, come si fa oggi sulle mappe, su Google, i viaggi che aveva fatto. Una cosa incredibile, lui andava a tutti gli incontri: andammo una volta a Bergamo, lo accompagnai, praticamente c’erano in sala sette persone, Alex fece il suo intervento poi si fermò perché c’era gente che chiedeva cose, poi in macchina gli dico: ben, insomma non è andata molto bene, forse se mandavamo l’amico di Bergamo… Ma sei matto, è stata una serata bellissima, è stato interessante, abbiamo conosciuto sette persone, di cinque ho già l’indirizzo, le vedrò poi dopo, sono amici di…

E poi siamo tornati lì con altri amici bresciani perché, dopo anni, ho compreso questa cosa, perché, e finisco davvero, aveva praticamente sostenuto la lotta del popolo Apache, quando era parlamentare, su delle antenne che dovevano mettere su una collina sacra, e c’era di mezzo anche radio vaticana: era successo un po’ un pandemonio su quella cosa lì, quindi lui fece una cosa parlamentare in Europa per evitare di collocare quelle antenne su questa collina. Alla fine vinse, l’Europa disse di no, non si fece, quindi a un certo punto chiamarono gli indiani, i capi tribù degli Apache, si dice in maniera diversa credo, per venire a trovarci. Quindi vennero proprio con tutto l’ambaradan delle piume e lui disse: uno di quei sette è amico di quelli dell’Adamello che ci aiuta, perché era uno che si era dedicato alla cultura, aveva pubblicato dei libri della cultura Sioux, e l’aveva conosciuto proprio quella sera lì. E siamo andati con gli amici di Saviore, che ci sono ancora sull’Adamello, c’è un gruppo, a fare una tenda sudatoria, l’ho fatta solo quella volta lì e basta, perché è molto problematica, una cosa dei camuni. E sapete che le cose ancestrali richiamano l’umanità, sono abbastanza similari, quindi lì trovarono le tracce del popolo Apache anche nel bresciano, dai Camuni, e adesso si capisce perché i Camuni sono così, perché derivano dagli Apache.

E poi siamo andati in questa roccia, dove sono appena tornato un anno fa, con Edy e altri amici a ricordare Alex in un convegno. Ed è lì che gli Apache hanno visto Manitù e quindi la vena che conduce i Camuni, la Valle Camonica, fino alla loro valle degli Apache, che collega una direzione. Quindi siamo stati lì. Io non ho visto niente altro che una pietra, però mi hanno detto perché non credevo abbastanza, il che è possibile, e quindi siamo rimasti a concentrarci.

Questa è la meraviglia di aver conosciuto Alex in tutto questo tempo. Grazie.


File audio da scaricare (clicca sul link)

  1. Premessa di Giovanni Bianchi 17′ 51″
  2. Introduzione di Andrea Rinaldo 19′ 47″
  3. Relazione di Marzio Marzorati 1h 15′ 44″
  4. Intervento Giovanni Bianchi 5′ 03″
  5. Domande del pubblico 5′ 59″
  6. Risposte di Marzio Marzorati 15′ 50″
  7. Domande del pubblico 3′ 45″
  8. Risposte di Marzio Marzorati e chiusura 14′ 31″

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