TERRA MARTIRE. La guerra che sconvolge il Medio Oriente.

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Il 7 ottobre 2023 verrà ricordata come la data che ha cambiato per sempre la storia del Medio Oriente. L’inaspettata operazione “alluvione Al-Aqsa” condotta da Hamas nel territorio israeliano ha messo in discussione le capacità militari e di intelligence israeliane nonché il mito dell’invincibilità di Israele che la nazione si era costruita progressivamente dal 1948 in avanti. L’effetto sorpresa di Hamas è stato psicologicamente devastante e ha generato un grande trauma collettivo nell’opinione pubblica israeliana che si è scoperta improvvisamente vulnerabile nei confronti dei propri nemici esterni, causando anche una profonda crisi istituzionale interna. La necessità di ristabilire la deterrenza verso l’esterno, onde scoraggiare altri nemici da intraprendere azioni contro lo stato Ebraico in un momento di vulnerabilità, ha scatenato una durissima reazione da parte del governo Netanyahu nei confronti della Striscia di Gaza di cui non si intravede la fine. 

Con l’inizio delle operazioni militari dell’IDF nella Striscia, Hamas ha voluto da una parte portare Israele a combattere una guerra asimmetrica di logoramento pressoché infinita dentro il proprio territorio e dall’altra ergersi a unico difensore della causa palestinese, spodestando l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), percepita dalla maggior parte dei palestinesi della Cisgiordania come debole e inefficiente. Sebbene abbiano ottenuto solamente in parte per ora gli obbiettivi che si era prefissata l’organizzazione islamica, l’intransigente politica estera israeliana potrebbe aprire un altro scenario sul quale il Movimento della Resistenza Islamica punta: l’allargamento del conflitto. L’apertura di un nuovo fronte costringerebbe Tel Aviv a impiegare ancora più risorse e a dispiegare ancora più uomini, mettendo fortemente sotto pressione la stabilità e la tenuta psicologica interna del popolo israeliano. I continui, e sempre più violenti, scontri a fuoco tra gli Hezbollah libanesi e l’esercito israeliano al confine tra il Libano e Israele, che proseguono continuamente dal 8 ottobre, sono i prodromi di un possibile allargamento del conflitto anche a quest’area. Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha già dichiarato che il governo potrebbe decidere di aprire un secondo fronte nel sud del Libano, per respingere i miliziani di Hezbollah oltre il fiume Leonte. Di recente si ha avuto una ulteriore escalation di violenza su questo fronte: il lancio di diversi razzi da parte di Hezbollah hanno colpito due basi militari israeliane, uccidendo una soldatessa, a cui è succeduto un ampio attacco aereo da parte israeliana che ha colpito diverse città del sud del Libano, causando la morte di alcuni esponenti di Hezbollah e di diversi civili. 

In questo momento la vera linea rossa è quella della città di Rafah. Se Israele, come sembra, è intenzionato a lanciare un’operazione militare dentro la città, si aprono scenari imprevedibili, specie se i profughi palestinese dovessero riversarsi nel Sinai in Egitto.

A questo si aggiunge anche il pericolo che il conflitto si estenda ad altre aree del Medio Oriente come di fatto sta già accadendo. La decisione degli Houthi dello Yemen di bombardare tutte le navi dirette in Israele come rappresaglia per l’invasione israeliana della Striscia stanno creando problemi al commercio internazionale e hanno portato gli Stati Uniti a condurre raid in territorio yemenita per proteggere le rotte commerciali, passanti per lo Stretto di Bab el-Mandeb, e salvare la credibilità di grande potenza talassocratica del mondo. 

Allo stesso tempo, Washington ha cercato e sta cercando ripetutamente di convincere Tel Aviv ad abbandonare la propria linea dura e aprire i negoziati per un cessate il fuoco e una tregua. La Casa Bianca teme che più il conflitto si prolunga nel tempo più si avvicina un’ipotetica guerra tra Israele ed Iran che scatenerebbe una grande guerra regionale che coinvolgerebbe obtorto collo anche gli Stati Uniti. L’intensificazione della guerra per procura tra Washington e Teheran è anche una tattica per assicurare Israele sulla garanzia di sicurezza americana nei confronti del nemico iraniano, scoraggiarlo dall’intraprendere azioni militari contro l’Iran e spingerlo a concentrarsi unicamente sul dossier palestinese.La ferocia di Hamas e la furia di Israele impediscono il raggiungimento di qualsiasi compromesso che possa distendere la situazione.

Il 7 ottobre è iniziato forse il capitolo conclusivo dell’ormai ultra centenario conflitto israelo-palestinese nel quale soltanto uno trionferà mentre l’altro cadrà. Questa è diventata una guerra esistenziale in cui nessuno è disposto a concedere nulla. 

Da questa guerra uscirà un Medio Oriente completamente diverso. 

Marco Corno

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