Giocare la partita del maggioritario

Qualche anno fa, in una delle pause nei lavori degli Incontri Riformisti, avevo espresso (magari lo ricorderà) a Pierluigi Castagnetti quello che era, insieme, un modesto appello ed una espressione di disagio; entrambe le cose, da militante: “Pierluigi, il PD ha bisogno di alleati”.

Che il Partito Democratico soffra di una certa, per certi versi difficile da interpretare, solitudine, è evidente fin da subito dopo la sua fondazione. La questione in realtà è stata discussa in lungo e in largo e non è il caso di richiamarla qui se non per chiudere i conti, dal nostro punto di vista, circa un fatto che negli ultimi anni ha tenuto banco nella dialettica (o nella polemica, se ci riferiamo ad alcuni specifici personaggi) politica nel centrosinistra: il tentativo del PD di costruire una coalizione con il Movimento 5 Stelle.

La distanza fra i due soggetti è – si potrebbe dire – un fatto fisico: attiene alla sostanza dei partiti, ma anche a quella di molte persone, coi loro stili, i loro modi e perché no, la loro concezione di ciò che è giusto fare, per quanto in buona fede si sia.

Questo tentativo, tentato da Zingaretti prima, sotto le insegne del Progresso, e da Letta poi, sotto quelle della Responsabilità di Governo, andava comunque fatto. Anche a costo dei tanti (sovente sensati) mal di pancia che ne sono derivati, e delle fondate critiche circa la possibilità di riuscita.

Fisica per fisica, tuttavia, le cose hanno teso per gravità a tornare nel proprio luogo naturale.

Era del resto impensabile che si potesse arrivare alle elezioni con quell’assetto: in prossimità delle elezioni i partiti, specie quelli di rincorsa, hanno bisogno di ripulirsi l’immagine, e questo vale anche per molti Presidenti del Consiglio; le prospettive sul proprio futuro sono tali, a tutti i livelli, da condizionare la stabilità dei Governi quanto quella delle Amministrazioni locali, spesso fatte cadere in ragione del mero calcolo elettorale.

Il Governo del Paese, insomma, come variabile dipendente della poltronabilità.

Niente di nuovo, dunque?

Non proprio, in effetti: perché lo scenario globale che stiamo vivendo avrebbe dovuto avere l’effetto di ricondurre a più miti consigli uomini e partiti, ad impegnarsi a fondo per il futuro del Paese: e semmai a sfidarsi alle elezioni, non sulla pelle di uno degli uomini più influenti e autorevoli della politica e dell’economia mondiali, con tutto quel che ne deriva per l’Italia.

Tant’è! I conflitti e i personalismi interni al M5Stelle, le troppe correnti personali di Forza Italia, la corsa (leale, ma dura) intorno alla leadership del centrodestra e le tensioni interne alla Lega, insieme all’effetto dirompente del drastico taglio dei Parlamentari, hanno prodotto elezioni anticipate. Anticipatissime, se consideriamo che siamo nel pieno di una torrida estate, il che limiterà molto le possibilità di una vera campagna elettorale.

Conteranno insomma molto le posizioni già conquistate negli anni scorsi, nel decidere l’esito: chi non è pronto ora, difficilmente potrà rimettersi in corsa. Chi si è definito in un certo modo, non avrà il tempo necessario per riconvertirsi su una proposta diversa.

Ottimo ci è sembrato il Quirinale per tempismo e manovra: del resto il Presidente Mattarella ha sempre dimostrato idee chiare, celerità e risolutezza nella gestione delle tante crisi di Governo.

Viste le previsioni, piuttosto cupe, circa l’economia globale a partire dall’autunno, è tutto sommato un bene che non si sia tentata la strada di un governo di scopo: sarà il prossimo Governo, così come determinato dal voto, a dover gestire la delicatissima fase che avremo davanti. Certamente, però, è umiliante che l’Italia non trovi la giusta dimensione etica che porti i partiti ad iniziare una competizione elettorale continuando tuttavia a lavorare per il Paese rispettando gli impegni presi e i bisogni dei cittadini.

E no, rispondiamo seccamente a quei personaggi della destra che lo ripetono continuamente, i bisogni dei cittadini non sono “andare a votare”; o non si spiegherebbe la crescente astensione quando poi a votare ci si va davvero.

In un contesto nel quale davvero tutti, partiti, correnti personali e singoli, sembrano cercare solo il miglior posizionamento elettorale possibile, la novità positiva ci sembra rappresentata dal Partito Democratico.

Enrico Letta ha fin qui gestito nel modo migliore l’atteggiamento del proprio partito rispetto alla possibile coalizione, al governo Draghi, alla crisi, al Paese. Ha avviato per tempo un percorso costruttivo sublimatosi nelle Agorà e prosegue disegnando, per il proprio partito, una dimensione che pare diversa: abituati alle tante incomprensibilità del passato, incluso l’ancoraggio continuo al Governo anche quando c’era un palese disagio degli elettori, in questa fase la visione di Letta ci sembra invece particolarmente lucida, priva di quelle ambiguità che lo stato attuale (post pandemico, bellico, di recessione certa e stagflazione probabile) non solo non consente, ma qualifica surreali.

E punta a vincere la partita maggioritaria, ben sapendo che stante la storica solidità dell’elettorato della destra tripartita, sarà molto difficile che questo accada.

Certo c’è una campagna elettorale tutta da affrontare e ci sono i tempi: quelli che viviamo, in cui tutto sembra poter cambiare con grande velocità e diventa difficile dare per acquisite le cose: siamo davvero sicuri di quale sarà la risposta degli elettori di Lega e Forza Italia rispetto agli scossoni interni, e al passaggio comunque poco cristallino cui abbiamo assistito in occasione della caduta del Governo?

Al netto di debacle clamorose, comunque, la partita proporzionale è lì, pesante, ma non fa guadagnare un solo seggio: quel che c’è ci sarà, a grandi linee.  

È invece al maggioritario che si deciderà la partita elettorale. La partita al maggioritario, se da un lato toglie proporzione alla rappresentanza parlamentare (la quale per la verità è in autonoma e sovrana crisi anche senza le forzature del maggioritario) dà respiro, anche alla Politica. Esula dalla logica dei bilancini e ci mette nella condizione di dover competere davvero; e in uno scenario in cui le opzioni che si vanno delineando non sono due, ma ancora tre o forse addirittura quattro (si farà, il centro moderato di ispirazione cattolica e costruito al di fuori degli attuali partiti?) richiede una ponderata analisi, una faticosa entrata nella giusta prospettiva; ma può aprire opportunità: Letta sembra averlo ben chiaro e la sensazione è che dall’atteggiamento rispetto alla crisi, ai rapporti con gli alleati fino al tentativo di costruzione di una coalizione (e, immaginiamo, di un Premier) stia facendo le mosse giuste per giocarla con qualche possibilità.

Di vittoria, è la speranza; ma ad ogni modo, quel o noi o loro, detto da un Dem, Enrico, ci garba proprio tanto. Non è solo sensato, lucido, strategicamente corretto: costruire coalizione, trovare alleanze, stringere accordi, provare a raggiungere la massa critica per giocare al meglio la partita maggioritaria: è che, proprio nel fatto di volerlo fare, suona molto, molto meglio di tante altre “chiamate alle barricate” del passato, che sapevano un po’ di training autogeno, di sopravvivenza elettorale più che di prospettiva politica.

I tempi sono gravi, il momento del coraggio è ora: quando, se no?

Luca Emilio Caputo

Permalink link a questo articolo: https://www.circolidossetti.it/giocare-la-partita-del-maggioritario/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.