Rapsodia sestese.
Giovanni Bianchi.

Rapsodia sestese
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Ancora una ripresa, non un remake. Rivisitare i racconti è rivisitare la mia città: insieme Stalingrado d’Italia e Tritacarne City. Nuovi personaggi affiorano e nuove contrade, come se il tramonto definitivo delle colate – per ordine di Bruxelles – avesse inaugurato giorni comunque nuovi.

Quel che finisce sotto la lente d’ingrandimento è la Grande Mutazione, probabilmente soltanto agli inizi. La fabbrica del presente è davvero quella degli Adami Celesti. Perché è costante vocazione della realtà anticipare e superare la fantasia.

Sesto San Giovanni dunque, più di New York e più di San Pietroburgo. Non lo sapeva, ma Marshall Berman quel titolo lo ha sottratto per noi al Manifesto del 1848: Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria.

E il cuore allora e la fantasia si rivelano incredibilmente acuti, resistenti, determinati. L’espressione scanzonatamente definitoria di “fordismo onirico” si segnala come perfettamente calzante, non soltanto per la scrittura spericolata di un vecchio sestese.

Che tutta la vita sia davvero sogno? Certamente è del cuore continuare a sognare ad ogni età. Le macchine sognavano. Le acciaierie. Le ciminiere. I sestesi.

Sta a vedere che anche Stakanov delirava…

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