Mettere l’uomo al centro dell’economia post-Covid.
HELEN ALFORD: Economics as a Moral Science.

L’obiettivo che ci siamo posti in questo nono appuntamento del 23° Corso di Formazione Politica dei Circoli Dossetti di Milano 2021-2022, “Oltre la Pandemia. Una società per la persona” è quello di affrontare il tema del capitalismo all’epoca della pandemia.

Ci siamo focalizzati sull’Economa Civile come proposta, con uno sguardo al passato, al presente e al futuro, al fine di comprenderne la sua direzione nella evoluzione/trasformazione dell’Economia di Mercato. In particolare abbiamo approfondito il capitalismo cattolico nell’aspetto relativo alla relazione fra le virtù e l’economia e come queste possono incidere sui comportamenti degli operatori economici sia da un punto di vista teorico che pratico.

Un bimbo che oggi nasce in Africa, o una bambina che nascerà in Europa, tra vent’anni, hanno il diritto di porre domande sul nostro modello di sviluppo e sui nostri stili di vita, perché le nostre scelte di oggi stanno già modificando la loro vita, a volte in meglio ma altre in peggio. L’economia civile cerca risposte non fuori dall’economia di mercato, ma all’insegna di un mercato diverso (civile) dove le parole felicità, onore, virtù, bene comune, possono essere riscoperte proprio in chiave economica, lasciando spazio ad una prospettiva etica e non puramente individualistica.

Nona lezione del Corso di Formazione alla Politica 2021-22
OLTRE LA PANDEMIA. UNA SOCIETÀ PER LA PERSONA

Nel video sottostante sono presentati gli spezzoni dei film Joy e Wall Street 2, non compresi nella registrazione della lezione, come esempi per riassumere i due concetti principali trattati oggi: economia civile (e sue proprietà) e capitalismo finanziario (economia di mercato attualmente dominante).


Leggi l’introduzione di Vincenzo Sabatino a suor Helen Alford

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Luca Caputo, presidente dei Circoli Dossetti, presenta la lezione – 2:35
Stefano Guffanti, presenta suor Helen Alford e Vincenzo Sabatino – 1:33
Vincenzo Sabatino introduce il tema della lezione – 15:49
Relazione di suor Helen Alford, prima parte – 36:07
Vincenzo Sabatino introduce la seconda parte della lezione – 19:22
Relazione di suor Helen Alford, seconda parte – 45:45
Prima serie di domande – 16:25
Risposte di suor Helen Alford – 12:48
Seconda serie di domande – 10:55
Risposte di suor Helen Alford – 18:27
Vincenzo Sabatino presenta e commenta due spezzoni di film, chiusura della lezione – 14:05

Introduzione di Vincenzo Sabatino a suor Helen Alford

Introduzione

L’obiettivo che ci poniamo in questo nono appuntamento del 23° Corso di Formazione Politica dei Circoli Dossetti di Milano 2021-2022, Oltre la Pandemia. Una società per la persona, è quello di affrontare il tema del capitalismo all’epoca della pandemia. Ci focalizzeremo sull’Economa Civile come proposta, con uno sguardo al passato, al presente e al futuro, al fine di comprenderne la sua direzione nella evoluzione/trasformazione dell’Economia di Mercato. In particolare approfondiremo il capitalismo cattolico nell’aspetto relativo alla relazione fra le virtù e l’economia e come queste possono incidere sui comportamenti degli operatori economici sia da un punto di vista teorico che pratico.

Un bimbo che oggi nasce in Africa, o una bambina che nascerà in Europa, tra vent’anni, hanno il diritto di porre domande sul nostro modello di sviluppo e sui nostri stili di vita, perché le nostre scelte di oggi stanno già modificando la loro vita, a volte in meglio ma altre in peggio. L’economia civile cerca risposte non fuori dall’economia di mercato, ma all’insegna di un mercato diverso (civile) dove le parole felicità, onore, virtù, bene comune, possono essere riscoperte proprio in chiave economica, lasciando spazio ad una prospettiva etica e non puramente individualistica.

Il libro è un tentativo di recuperare l’economia come una scienza morale. Sostiene che l’etica è un aspetto rilevante e inseparabile di tutti i livelli di attività economica, dall’individuo alla società globale. È necessario prendere in considerazione l’etica per spiegare e prevedere il comportamento degli agenti economici anche per la valutazione e la progettazione di politiche e meccanismi economici. La caratteristica unica del libro è che non solo analizza l’etica e l’economia a livello astratto, ma mette insieme problemi comportamentali, istituzionali e di sistema per una visione robusta e umana del funzionamento economico. Vede i “fatti” economici come intrecciati con l’intenzionalità umana e il contenuto etico, un dominio in cui i calcoli di utilità e le considerazioni morali co-determinano il comportamento degli attori economici e dei risultati delle loro attività. Il libro contiene documenti selezionati da workshop internazionali co-organizzati con l’Istituto Europeo Spes di Cambridge, Oxford e Leuven. Il primo seminario, intitolato la crisi economica e finanziaria e la persona umana, si è tenuto presso l’Istituto Von Hugel, Collegio di Santiere, Università di Cambridge, nel 2013. Ha affrontato la necessità di riequilibrare gli aspetti materiali e i valori spirituali nella politica e negli affari. Il libro impiega l’approccio “personalista” che vede le persone umane – dotate di libero arbitrio e coscienza – come gli attori di base delle attività economiche. Il libro intende dimostrare che l’economia può guadagnare molto nel significato e nell’analisi se riunisce se stessa con l’etica.

Il libro è il primo di una serie dedicata all’etica e all’economia della virtù. Il suo scopo è trasferire la teoria economica in un dominio in cui la connessione tra le virtù e le decisioni economiche, poiché tale connessione è effettivamente vissuta nella vita di tutti i giorni, è una componente organica della teoria piuttosto che una sorta di ingrediente opzionale aggiunto. L’obiettivo è aiutare a sviluppare una teoria economica basata sulle virtù che colleghi le virtù con i contenuti delle attività economiche di individui, agenti economici, non incorporati o incorporati nel processo decisionale. Il contesto principale è l’insegnamento sociale cattolico, ma verranno esplorate anche altre tradizioni religiose (in particolare ebraismo, islam, induismo, buddismo e confucianesimo) per la loro costruzione di virtù nell’azione economica. Particolare attenzione sarà riservata alle questioni normative e politiche nella promozione della giustizia economica. La serie collega l’etica della virtù con il nucleo della teoria e della pratica economica. Esamina l’intenzionalità fondamentale e irriducibile delle attività umane interessate alla produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi. Considera l’incommensurabilità dei valori come il problema centrale del processo decisionale economico ed esamina se tale problema può essere superato con qualsiasi mezzo diverso dalla ragione pratica. Questa serie è composta da volumi di alta qualità basati su articoli sviluppati per l’Economia come programma di scienze morali di Blackfriars Hall, Università di Oxford.

Glossario

Economia politica

L’economia politica è la scienza che si occupa dello studio e dell’analisi del funzionamento dei sistemi economici. È la scienza che studia l’attività umana nei rapporti economici e il comportamento umano come relazione tra il soddisfacimento dei bisogni e la scarsità delle risorse. Il termine “economia politica” deriva dalla combinazione di tre parole greche: oikos (casa), nomos (legge) e polis (Stato). Dall’etimologia delle parole si può risalire all’oggetto di studio attuale dell’economia politica che consiste nell’osservare il comportamento dell’uomo di fronte al problema della soddisfazione dei bisogni individuali in condizioni di scarsità delle risorse. Le risorse di cui l’uomo si serve per raggiungere i propri scopi sono limitate mentre i bisogni che avverte posso aumentare illimitatamente. Da questa constatazione deriva lo stimolo a usare con razionalità le risorse scarse a propria disposizione, per ottenere la massima utilità possibile tramite lo scambio dei beni e servizi con gli altri. La scienza che studia questi aspetti è detta economia politica. Esistono diverse definizioni di economia politica, quella che segue è la definizione più generale: ‘l’economia politica è la scienza che studia il modo in cui i mezzi scarsi sono impiegati in usi alternativi al fine di soddisfare al massimo i bisogni dell’uomo“. Uno dei punti chiave della definizione è la scarsità. Se le risorse non fossero scarse, non ci sarebbe bisogno di scambiarle sul mercato e non avrebbero alcun prezzo. Il campo di indagine degli studi economici è molto vasto. L’economia politica è suddivisa in due principali branche di studio: 1. Microeconomia. La microeconomia è lo studio del comportamento dei singoli agenti economici, delle imprese e dei consumatori, e del modo in cui essi interagiscono tra di loro per formare unità più ampie come i mercati e le industrie. La microeconomia studia il comportamento razionale e le scelte economiche dell’individuo (consumatore, lavoratore, risparmiatore, produttore) e delle imprese. 2. Macroeconomia. La macroeconomia è lo studio dei grandi aggregati economici. La macroeconomia studia il funzionamento del sistema economico analizzando le relazioni tra le grandezze economiche aggregate (es. consumi, produzione, spesa pubblica ecc.). La macroeconomia analizza il comportamento degli operatori aggregati (l’insieme delle famiglie, l’insieme dei consumatori, delle industrie, lo Stato, ecc.) e tutti i fenomeni economici che ne derivano.

Adam Smith

Adam Smith, (Kirkcaldy, 5 giugno 1723 – Edimburgo, 17 luglio 1790), è stato un filosofo ed economista scozzese. Dopo aver studiato filosofia sociale e morale – non essendo ancora l’economia una disciplina accademica – all’Università di Glasgow e al Balliol College di Oxford, gettò le basi dell’economia politica classica e viene pertanto considerato unanimemente il primo degli economisti classici, sebbene non sia facile individuare con precisione la fine del mercantilismo e l’inizio dell’economia politica classica, poiché per un certo periodo ci fu una sovrapposizione tra le due correnti di pensiero. Spesso è stato anche definito il padre della scienza economica; in effetti, molti precursori dell’economia classica produssero tessere o parti del mosaico, ma nessuno di essi fu in grado di fornire in un’unica opera il quadro generale delle forze che determinassero la ricchezza delle nazioni, delle politiche economiche più appropriate per promuovere la crescita e lo sviluppo e del modo in cui milioni di decisioni economiche prese autonomamente vengano effettivamente coordinate tramite il mercato. L’opera più importante è intitolata Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), che chiude il periodo dei mercantilisti e dei fisiocratici, da lui così definiti e criticati, dando avvio alla serie di economisti classici, diventando il testo di riferimento per tutti gli economisti classici del XVIII e XIX secolo, come David Ricardo, Thomas Robert Malthus, Jean-Baptiste Say, John Stuart Mill, che o ne ripresero il contenuto per elaborare le proprie posizioni, anche divergenti fra di loro, oppure la criticarono alla ricerca di nuove vie, oltre a rappresentare un importante libro di storia economica dove vengono descritte le trasformazioni dell’economia inglese del tempo. La sua concezione a proposito dello scopo della scienza economica segue quella dei mercantilisti, tendente alla spiegazione della natura e delle cause della ricchezza delle nazioni, mentre in termini moderni si direbbe che fu un teorico della macroeconomia, interessato alle forze che determinano la crescita economica, anche se queste erano ben più ampie rispetto all’ambito della moderna economia. Il suo modello economico è ricco di considerazioni di tipo politico, sociologico e storico.

Antonio Genovesi

Antonio Genovesi (Castiglione del Genovesi, 1º novembre 1713 – Napoli, 22 settembre 1769) è stato uno scrittore, filosofo, economista e sacerdote italiano. Studiò filosofia e teologia, nel 1736 venne ordinato diacono e a ventiquattro anni fu nominato maestro di retorica. Nel 1738 divenne sacerdote. Nelle sue opere, per cui utilizzò la lingua italiana invece dell’usuale latino, ricercò un compromesso tra idealismo ed empirismo, cercando ad ogni costo di salvare gli essenziali valori religiosi della filosofia cristiana. Tra i suoi lavori più importanti si ricorda Meditazioni filosofiche, Lezioni di commercio o sia d’economia civile e Della diceosina o sia della Filosofia del Giusto e dell’Onesto. Antonio Genovesi recepì l’influenza del nuovo panorama culturale italiano, con la voglia di cercare con studi ed esperimenti il concetto della pubblica felicità, consistente nel far uscire l’uomo dallo stato di “oscurità” (Illuminismo, che in Francia era già in atto: Les Lumières). Egli prese coscienza della decadenza culturale, materiale e spirituale dopo il periodo d’oro del Napoletano e, quindi, si rese conto della necessità di intervenire per riportare le arti, il commercio e l’agricoltura a nuovi splendori. Per tale motivo, abbandonò l’etica e la filosofia e si dedicò allo studio dell’economia affermando tra le altre cose, che essa doveva servire ai governi per alimentare la ricchezza e la potenza delle nazioni, argomento cardine della filosofia smithiana. Ritiene che per favorire il benessere sociale sia necessario promuovere la cultura e la civiltà, per questo motivo è il primo cattedratico ad impartire le sue lezioni in italiano anziché in latino. Dal 1754 fu docente di economia politica, occupando una cattedra istituita appositamente per lui di “commercio e meccanica” presso l’Ateneo napoletano da Bartolomeo Intieri. Soggiornò più volte nel palazzo proprio di Bartolomeo Intieri a Massaquano per lunghi periodi dove si rifugiava per trovare “la musa ispiratrice” e lì infatti scrisse alcune sue opere. Genovesi sostiene che anche le donne e i contadini abbiano diritti alla cultura poiché questa è uno strumento fondamentale per realizzare l’ordine e l’economia nelle famiglie, e di conseguenza nella società, è inoltre importante anche l’educazione degli uomini e in particolar modo lo sviluppo delle arti e delle scienze, contrapponendosi all’idea di Rousseau per il quale il progresso costituisce la fonte di tutti i mali. Denuncia anche la presenza di un numero eccessivo di persone che vivono esclusivamente di rendita e affronta tematiche importanti come; problemi di debito pubblico, inflazione e circolazione monetaria. Il suo pensiero economico è espresso nel volume Lezioni di commercio o sia di economia civile pubblicato nel 1765, considerate una delle prime opere scientifiche in materia economica. Il Genovesi cercò, così, di indicare la via per alcune riforme fondamentali: dell’istruzione, dell’agricoltura, della proprietà fondiaria, del protezionismo governativo su commerci e industrie. In occasione della carestia che colpì l’Italia nel 1764, sostenne convintamente la liberalizzazione del mercato granicolo interno, come mostrano le prefazioni e i commenti che scrisse alle opere di Cosimo Trinci e Claude-Jacques Herbert.

Anne Robert Jacques Turgot

Anne Robert Jacques Turgot (Parigi, 10 maggio 1727 – Parigi, 18 marzo 1781) è stato un economista e filosofo francese di orientamento fisiocratico. Luigi XVI gli affidò il controllo delle finanze e lui diede così vita al più organico tentativo di riforma conosciuto dalla Francia settecentesca. Nel 1752 divenne sostituto, e in seguito consigliere, nel Parlamento di Parigi e nel 1753 venne eletto maître des requêtes. A Parigi frequentò diversi salotti letterari. In questo stesso periodo incontrò i padri della teoria fisiocratica, François Quesnay e Vincent de Gournay, e con essi, l’abate André Morellet ed altri importanti economisti dell’epoca. Nel 1755 e nel 1756 accompagnò in qualità di assistente l'”Intendente” del commercio de Gournay il cui motto laisser faire, laisser passer diventò il motto del liberismo economico. Nel 1760, mentre viaggiava nell’est della Francia, fece visita a Voltaire, il quale divenne uno dei suoi più cari amici e sostenitori. A quel tempo Turgot si dedicò allo studio di diverse branche della scienza e delle lingue antiche e moderne. Nel 1753 tradusse in francese le Questions sur le commerce di Josias Tucker e nel 1754 fu autore di una Lettre sur la tolérance civile e di un pamphlet dal titolo Le Conciliateur a sostegno della tolleranza religiosa. Tra il 1755 ed il 1756 fu autore di diversi articoli per la celebre Encyclopédie e tra il 1757 ed il 1760 fu autore di un articolo dal titolo Valeurs des monnaies, composto probabilmente per il Dictionnaire du commerce di Morellet. Nel 1759 apparve anche un suo Eloge de Gournay.

Economia di mercato

Un’economia di mercato è un sistema economico in cui le decisioni in materia di investimenti, produzione e distribuzione vengono guidate esclusivamente dai segnali di prezzo creati dalle forze della domanda e dell’offerta, tipiche del mercato. La principale caratteristica di un’economia di mercato è l’esistenza di mercati dei fattori che svolgono un ruolo dominante nell’allocazione dei beni capitali e dei beni di produzione. Tali economie spaziano da un mercato regolamentato liberamente a sistemi di laissez-faire, dove l’attività statale è limitata alla fornitura di beni e servizi pubblici e alla salvaguardia della proprietà privata, a forme interventiste dove il governo si impegna a correggere i fallimenti del mercato e a promuovere il benessere sociale. Le economie di stato o dirigiste sono quelle in cui lo stato svolge un ruolo direttivo nel guidare lo sviluppo generale del mercato attraverso politiche industriali o di pianificazione indicativa (la cui guida tuttavia sostituisce il mercato per la pianificazione economica), una forma a volte indicata come economia mista. Tali economie sono anche in contrasto con le economie pianificate in cui le decisioni di investimento e produzione sono incorporate in un piano economico integrato a livello economico. In un’economia pianificata, la pianificazione economica è il principale meccanismo di allocazione tra le imprese piuttosto che i mercati, con i mezzi di produzione dell’economia posseduti e gestiti da un singolo corpo organizzativo.

Capitalismo

In economia, il capitalismo è un sistema economico in cui imprese e/o privati cittadini possiedono mezzi di produzione, ricorrendo spesso al lavoro subordinato per la produzione di beni e servizi a partire dalle materie prime lavorate, al fine di generare un profitto attraverso la vendita diretta o indiretta ad acquirenti degli stessi. Tale produzione, basata sulla domanda e sull’offerta nel mercato generale di tali prodotti, è nota come economia di mercato, contrapposta all’economia pianificata, caratterizzata invece da una pianificazione centrale da parte dello Stato. Anziché pianificare le decisioni economiche attraverso metodi politici centralizzati, come nel caso del feudalesimo e del socialismo, sotto il capitalismo tali decisioni sono del tutto decentralizzate ovvero nate sulla base di libere e volontarie iniziative dei singoli imprenditori. In senso politico, con il termine capitalismo ci si riferisce a quegli ordinamenti statuali che pongono il capitale (il reddito, la proprietà, ecc.) al centro della tutela costituzionale.

Economia civile

L’economia civile propone un modo di pensare al sistema economico basato su alcuni principi – come la reciprocità, la gratuità e la fraternità – che superano la supremazia del profitto o del mero scambio strumentale nell’attività economica e finanziaria. Si propone quindi come possibile alternativa alla concezione capitalista del mercato dove il mercato diventa la principale e unica istituzione necessaria per la produzione e distribuzione di beni. L’economia civile cerca di tradurre la convinzione che una buona società è frutto sia di un mercato che funziona sia di processi che attivano la solidarietà da parte di tutti i soggetti. Quindi l’attenzione alla persona non è elusa e neppure rimandata alla sfera privata o a qualche forma di pubblica filantropia che si limita a curare le disfunzioni del mercato. Se potessimo dirlo con un’unica espressione, diremmo che l’economia civile propone un umanesimo del mercato. Si tratta di un cammino iniziato da diversi anni, attraverso esperienze concrete – basti pensare all‘Economia di comunione e a tutto il vasto mondo della cooperazione – che mostra come sia concretamente possibile un percorso di incivilimento del mercato. Alcuni autori sostengono che l’economia civile sia un modo d’intendere l’economia tipicamente italiano, nato tra il Quattrocento ed il Cinquecento e poi sviluppato nel Settecento, soprattutto in quello napoletano e milanese, mantenendo una certa influenza fino alla metà dell’Ottocento. Il termine è certamente utilizzato nel 1754 da Antonio Genovesi, come titolo del volume delle sue Lezioni di economia. Secondo Genovesi l’ordine sociale costituisce il risultato di un bilanciamento tra la forza concentrativa (auto-interessata) e la forza diffusiva (o di cooperazione). Il termine è poi ripreso dagli economisti Zamagni e Bruni, a cui va il merito di aver riscoperto il valore e la modernità del pensiero di Genovesi e della Scuola italiana del Settecento (ad esempio Giacinto Dragonetti, Gaetano Filangieri) e di avere chiarito come l’homo oeconomicus si debba nutrire anche di relazioni e fiducia. L’attività economica ha dunque bisogno di virtù civili, di tendere al bene comune più che alla ricerca di soddisfazioni individuali. Bruni e Zamagni, attraverso il dizionario di economia civile, affermano che “l’espressione economia civile (…) è entrata, ormai da qualche tempo, nel dibattito scientifico oltre che nel circuito mediatico, ma con significati plurimi, spesso confliggenti. C’è chi la confonde con l’espressione “economia sociale” e chi invece ritiene che economia civile altro non sia che un modo diverso, più antico, di chiamare l’economia politica. Vi sono poi coloro che la identificano con il variegato mondo delle organizzazioni non profit e addirittura coloro che vedono l’economia civile come un progetto intellettuale che si oppone all’economia solidale”. L’economia civile si fonda –  in genere – sui seguenti principi:

1. Il principio economico di riferimento dell’attività economica è la reciprocità. Dato che i beni e i servizi hanno un contenuto relazionale insito nel rapporto che si instaura tra chi li eroga e chi li riceve, allora esiste anche una reciprocità che può rendere lo scambio personale e significativo: reciproco. La reciprocità è diversa dallo scambio di equivalenti. Mentre il fine ultimo dello scambio di equivalenti di valore è l’efficienza e quello della redistribuzione è l’equità, il fine della reciprocità è la fraternità. Una società dove la cultura della reciprocità non ha spazio, è una società nella quale la fraternità è cancellata.

2. Il secondo principio è la fraternità, che legittima le diversità (culturali, religiose, etniche ecc.) e le rende compatibili. La società fraterna è quella che consente a ciascuno di affermare la propria personalità e la propria dignità, in un contesto di parità, cioè senza che questa diversità diventi elemento di conflitto, ma viceversa di unità. La fraternità è un bene di legame, che fa sì che gli individui liberi e uguali diventino anche persone, cioè individui in relazione tra di loro. All’anomia dell’approccio capitalistico (esito più volte manifestato), l’economia civile propone la fraternità.

3. Il terzo principio è la gratuità, da non confondersi con l’altruismo e la filantropia; la gratuità porta ad accostarsi agli altri non in cerca di qualcuno da usare a nostro vantaggio, ma da trattare con rispetto, in un rapporto di reciprocità.

4. Il quarto principio è la felicità pubblica. Mentre la ricerca della felicità mette al centro l’individuo, la ricerca della felicità pubblica nasce da un’etica delle virtù e del bene comune. In questi tempi di crisi stiamo vedendo che la stessa ricerca individuale di felicità non si compie senza prendere sul serio la dimensione sociale e relazionale. Non c’è felicità individuale senza quella pubblica.

5. Il quinto principio è la pluralità degli attori economici. L’economia civile consente di rendere più democratico il sistema economico coinvolgendo sia imprese profit sia non profit, sia pubblici sia privati, superando così il duopolio Stato – mercato. Accanto alle forme tipiche dello Stato e del mercato, le attività di economia civile possono dar vita ad istituzioni di welfare civile che si diffondono sul territorio e a forme di democrazia deliberativa che consentono di ascoltare e consultare i cittadini. L’economia civile può dunque promuovere lo sviluppo di forme innovative di welfare e di democrazia.

Il pensiero della Chiesa sull’economia civile

La Dottrina sociale della Chiesa in diverse occasioni sottolinea la necessità di umanizzare l’economia, di renderla più civile. Citiamo solamente due documenti, tra i più importanti.

Il primo è la Centesimus annus di Giovanni Paolo II, che sottolinea la necessità di un sistema che superi il duopolio tipico del sistema capitalistico (Stato e mercato), attraverso l’affermazione di un terzo soggetto, ovvero la società civile organizzata. La Centesimus annus mette in evidenza come lo scopo dell’impresa non sia “semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società”. In questo senso “il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa” (n. 35)

Nella Caritas in veritate Benedetto XVI fa un esplicito riferimento all’economia civile. Infatti la società civile è l’ambito più proprio dove vivere «un’economia della gratuità e della fraternità» poiché «la solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti» (n. 38). Secondo Papa Benedetto il mercato ha bisogno di riscoprire la fiducia, la gratuità, il dono, poiché “senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca […] non può pienamente espletare la propria funzione economica”. Il Papa precisa che l’agire economico non è “da considerare antisociale. Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per sé il luogo della sopraffazione del forte sul debole […]. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l’economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici”. Anche nel mercato e nella finanza devono trovare accoglienza “il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità” (n. 36). L’attuale crisi mostra l’importanza di coniugare la giustizia in «tutte le fasi dell’attività economica, perché questa ha sempre a che fare con l’uomo e con le sue esigenze. Il reperimento delle risorse, i finanziamenti, la produzione, il consumo e tutte le altre fasi del ciclo economico hanno ineluttabilmente implicazioni morali» (n. 37).

Economia sociale

Si tratta di un’espressione che contiene più significati.

Un primo significato identifica quei soggetti socio-economici che operano perseguendo un obiettivo differente dal solo profitto e che nel loro agire sono mossi da principi quali la reciprocità, la democrazia, la solidarietà. Ad esempio in Francia identifica quella serie di organismi differenti – dalle associazioni, alle mutue, dalle cooperative alle fondazioni – che dà luogo alla “economia sociale e solidale”. Di conseguenza l’aggettivo sociale si riferisce ai soggetti che creano rapporti economici secondo alcuni valori. Tra questi soggetti vi possono essere anche soggetti profit e soggetti pubblici (es. aziende di Stato).

Un secondo significato rinvia ad un’istanza partecipativa tra i molti soggetti, singoli o aggregati, che prendono parte alle decisioni in ambito economico; di conseguenza l’aggettivo sociale fa riferimento all’economia tutta, formata da imprese nelle quali è assicurata la partecipazione democratica di tutti coloro che in esse lavorano oppure al controllo della conduzione degli affari e alla ripartizione dell’utile di esercizio (ad esempio, l’impresa cooperativa). Un esempio è la Germania, dove il capitalismo è temperato da un’impronta sociale, che traduce la vicinanza a forme di solidarietà concreta fondate sulla partecipazione e sull’associazione e che riducono il divario tra capitale e lavoro.

Un terzo significato veicola l’idea di un modo di concepire l’economia secondo cui il benessere prodotto include tutti i cittadini; dunque l’aggettivo sociale sarebbe l’esito finale dei processi politici messi in atto nella società, per correggere le distorsioni generate dal mercato.

Economia solidale

Con questo termine si individua un modello economico che mette al centro del proprio operare la vita delle persone e le sue relazioni, la qualità della vita e l’ambiente. Il sistema su cui si basano le imprese dell’economia solidale è formato da soggetti che agiscono all’interno di una rete di relazioni sociali per favorire lo sviluppo sociale locale attraverso la diffusione di legami basati sulla solidarietà.

L’economia solidale ha assunto forme e connotazioni differenti. Nel “Sud del mondo” l’economia solidale riguarda iniziative legate all’autosostentamento, a opportunità di lavoro create nel settore informale del commercio o dell’autoproduzione, al mutuo sostegno in ambito comunitario. Nel “Nord del mondo” essa comprende quelle iniziative rivolte alla solidarietà e alla sostenibilità ambientale, al recupero del legame sociale e all’innalzamento della qualità della vita. In Italia essa comprende iniziative come, ad esempio, il consumo critico, i bilanci di giustizia, i gruppi di acquisto solidali, il commercio equo e solidale, la finanza etica, il turismo responsabile, l’agricoltura biologica, le cooperative sociali e di produzione.

PIL

In economia, prodotto interno lordo (abbreviato PIL) è una grandezza macroeconomica che misura il valore aggregato, a prezzi di mercato, di tutti i beni e i servizi finali (cioè esclusi i prodotti intermedi) prodotti sul territorio di un Paese in un dato periodo temporale (normalmente si usa come riferimento l’anno solare, ma sono usati anche altri archi temporali). Si è guadagnato una posizione di preminenza circa la sua capacità di esprimere o simboleggiare il benessere di una collettività nazionale relativamente al suo livello di sviluppo o progresso.

Il termine interno indica che tale variabile comprende le attività economiche svolte all’interno del Paese, escludendo dunque i beni e servizi prodotti dalle imprese, dai lavoratori e da altri operatori nazionali all’estero (sono escluse anche le prestazioni a titolo gratuito o l’autoconsumo), mentre sono inclusi i prodotti realizzati da operatori esteri all’interno del Paese. Il termine lordo indica invece che il valore della produzione è al lordo degli ammortamenti, ovvero del naturale deprezzamento dello stock di capitale fisico intervenuto nel periodo; questo deprezzamento comporta che, per non ridurre tale dotazione a disposizione del sistema, parte del prodotto deve essere destinata al suo reintegro. Sottraendo dal PIL gli ammortamenti, si ottiene il PIN (prodotto interno netto).

Capitalismo finanziario

Definizione coniata dallo studioso marxista di inizio Novecento R. Hilferding. Secondo Hilferding, la crescita delle grandi banche (avvenuta verso la fine del diciannovesimo secolo) ha segnato l’inizio di una nuova fase del capitalismo, in cui il potere economico è concentrato nelle mani di grandi istituzioni finanziarie. In tempi più recenti questa definizione è stata ripresa da più parti per indicare il tipo di capitalismo che caratterizza le società contemporanee: legato al mondo della finanza e della speculazione, viene spesso considerato una delle cause principali della crisi economica internazionale iniziata tra il 2007 e il 2008. Quando si parla di capitalismo finanziarioci si riferisce in particolare alla concentrazione di potere e risorse nelle mani di pochi imprenditori, che possiedono le imprese industriali più importanti e imponenti, nonché al capitale bancario controllato da un numero esiguo di grandi istituti di credito. In un contesto in cui i settori del capitale industriale, commerciale e bancario (un tempo divisi) sono posti sotto il controllo dell’alta finanza, le principali industrie e banche nazionali e internazionali sviluppano un carattere monopolistico che genera una graduale riduzione della libera concorrenza. Uno dei fenomeni più rilevanti generato dal capitalismo finanziario è quello delle holding, vale a dire le compagnie finanziarie che possiedono le azioni di un elevato numero di banche e di imprese industriali e commerciali e in tal modo ne controllano le attività e i profitti. Grazie al loro peso economico, le holding riescono anche a esercitare una pervasiva influenza sulle scelte politiche ed economiche degli Stati all’interno dei quali operano. Il capitalismo finanziario viene spesso contrapposto al capitalismo industriale o produttivo (votato alla produzione di beni fisici e servizi).

Washington consensus

L’espressione Washington consensus è stata coniata nel 1989 dall’economista John Williamson per descrivere un insieme di 10 direttive di politica economica abbastanza specifiche che egli considerava come il pacchetto standard da destinare ai paesi in via di sviluppo che si fossero trovati in crisi economica. Queste direttive erano promosse da organizzazioni internazionali con sede a Washington D.C., come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, e anche dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America. Tra le direttive del “pacchetto” standard, vi sono riforme nella stabilizzazione macroeconomica, l’apertura agli investimenti e alle attività commerciali, e l’espansione del mercato nell’economia del paese che avesse richiesto l’aiuto di una delle tre organizzazioni (FMI, BM e USDT).

Il consensus come inizialmente stilato da Williamson includeva 10 gruppi di suggerimenti in materia economica relativamente specifici:

  • Una politica fiscale molto disciplinata volta a evitare forti deficit fiscali rispetto al prodotto interno lordo
  • Il riaggiustamento della spesa pubblica verso interventi mirati: si raccomanda di limitare “i sussidi indiscriminati” e di favorire invece interventi a sostegno della crescita e delle fasce più deboli, come le spese per l’istruzione di base, per la sanità di base e per lo sviluppo di infrastrutture
  • Riforma del sistema tributario, volta all’allargamento della base fiscale e all’abbassamento dell’aliquota marginale
  • Tassi di interesse reali moderatamente positivi
  • Tassi di cambio della moneta locale determinati dal mercato
  • Liberalizzazione del commercio e delle importazioni
  • Apertura e liberalizzazione degli investimenti provenienti dall’estero
  • Privatizzazione delle aziende statali
  • Deregulation: abolizione delle regole che impediscono l’entrata nel mercato o che limitano la competitività, eccetto per quel che riguarda le condizioni di sicurezza, di tutela dell’ambiente e di tutela del consumatore e un discreto controllo delle istituzioni finanziarie
  • Tutela del diritto di proprietà privata

Globalizzazione

Il fenomeno della globalizzazione può essere visto come un “insieme” che contiene: libertà del commercio, investimenti diretti all’estero, contenimento dei deficit e dei sussidi pubblici, riduzione delle imposte, deregulation, liberalizzazioni, privatizzazioni, difesa del diritto di proprietà. Contenuti che singolarmente o congiuntamente sono associati al processo di globalizzazione. Essa non va solo intesa come un fenomeno economico, ma come un processo ampio e complesso che vede correlati tra loro anche profilli di ordine diverso: politico, culturale e ambientale. Basti pensare ai numerosi e ricorrenti disastri naturali, l’atto terroristico dell’11 Settembre 2001 e l’offensiva bellica che ne è seguita, ecc. Sono tutti aspetti che rientrano nell’insieme globalizzazione.

Obiettivo della globalizzazione

L’obiettivo della globalizzazione è di promuovere l’economia di mercato come strumento per generare ricchezza ed equità distributiva tra i diversi paesi. Dal 1989, dal crollo del sistema sovietico, il processo di globalizzazione ha ricevuto una forte accelerazione. L’economia di mercato o capitalistica, propria dell’Occidente, si è vista aprire enormi spazi che prima le erano preclusi.

Capitalismo cinese o socialismo di mercato

Economia socialista di mercato è il termine con cui Deng Xiaoping definì l’insieme di riforme economiche che portarono la Repubblica Popolare Cinese a privatizzare una consistente parte delle industrie di proprietà dello Stato, noto anche con la locuzione “socialismo di mercato”.

Questo socialismo adattato alle condizioni cinesi è parte dell’attuale ideologia ufficiale del Partito Comunista Cinese (PCC). La sua denominazione proviene da un discorso pronunciato da Deng Xiaoping durante il XII congresso del PCC, nel 1982, in cui esortò il PCC a “seguire il proprio percorso e costruire un socialismo con caratteristiche cinesi”. Questo tipo di socialismo si baserebbe sempre sui principi del socialismo scientifico, ma con un sistema economico che permetterebbe un’economia di mercato mista fra settori privati e pubblico, con la predominanza di quest’ultimo. Secondo Deng Xiaoping la coesistenza di industrie statali e private era il modello di sviluppo economico che la Cina avrebbe dovuto seguire per aprirsi con successo al mercato estero e anche per sanare la disastrosa situazione delle aziende statali, mantenendone il controllo da parte del partito. Deng Xiaoping sosteneva che creando concorrenza alle aziende pubbliche, queste sarebbero state rese più solide e che tutto ciò era fattibile senza compromettere il potere del PCC. I dirigenti cinesi sostengono che questo socialismo sia l’adattamento del socialismo e del marxismo alla realtà sociale ed economica cinese, e in quanto tale, nel suo aspetto teorico sia un processo dinamico in continua evoluzione, il risultato di trent’anni di riforme e implementazioni. La parziale svolta privatistica dell’economia cinese viene giustificata ideologicamente affermando che la Cina si trovi in una fase iniziale del socialismo, in cui deve sviluppare le sue forze produttive ed un’economia di mercato prima di poter passare definitivamente al modello socialista.

Disuguaglianze accettabili e inaccettabili

Le disuguaglianze accettabili sono disuguaglianze economiche che nascono da un diverso impegno individuale. Si distinguono dalle inaccettabili che dipendono dalla condizioni di origine e quindi, di fatto, sono ereditarie.

Disuguaglianza economica

La disuguaglianza economica (nota anche come divario tra ricchi e poveri, disuguaglianza dei redditi, disparità di ricchezza, o differenze in ricchezza e reddito) comprende le disparità nella distribuzione del patrimonio economico (ricchezza) e del reddito tra gli individui di una popolazione. Il termine, di solito, si riferisce alla disuguaglianza tra individui e gruppi all’interno di una società, ma può anche denotare disuguaglianza tra paesi. La questione della disuguaglianza economica è collegata alle idee di equità, uguaglianza di risultato, e uguaglianza di opportunità. Esistono pareri discordanti sull’accettabilità morale e sull’utilità della disuguaglianza, e su quanta disuguaglianza sia necessaria o tollerabile in una società, e su come ci si debba comportare. Sostanzialmente, le opinioni di valore sulla disuguaglianza possono assumere una triplice veste. Da un lato, vi è chi elogia la disuguaglianza come necessaria e utile poiché fornisce uno stimolo proficuo alla crescita economica, in quanto innesca una benefica competizione, individuale e collettiva, tra soggetti diseguali: questo processo, però, può esprimersi solo a condizione che gli operatori si muovano in una situazione di libero mercato, priva di significativi condizionamenti e interventi pubblici. D’altro canto, vi è chi, pur auspicandone il superamento, considera la disuguaglianza come un elemento congenito alla stessa natura del sistema capitalistico, necessario al suo funzionamento: sarà lo stesso sistema capitalistico a determinare il superamento quando si producano laceranti disparità economiche e sociali. Vi è, infine, chi la considera invece come un problema sociale ed economico, soprattutto quando raggiunge particolari intensità: secondo questa visione, politiche di contrasto alla disuguaglianza si ripercuotono positivamente sull’intero sistema economico e sociale e non solo su coloro i quali sono gli immediati beneficiari di quelle politiche. Quest’ultima opinione, da un punto di vista economico, può essere ricondotta a un pensiero di matrice keynesiana; dal versante politico, è ricollegabile a una politica di tipo socialdemocratico. La disuguaglianza economica varia tra le società e nei diversi periodi storici: tra strutture o sistemi economici (come capitalismo e socialismo), guerre passate e future, differenze nella capacità degli individui di creare ricchezza, sono tutti fattori in grado di generare disuguaglianza economica. Esistono diversi indici numerici per misurare la disuguaglianza economica. Il coefficiente di Gini è un indice molto usato, ma ci sono anche molti altri metodi.

Disuguaglianza sociale

La disuguaglianza sociale è una differenza (nei privilegi, nelle risorse e nei compensi) considerata da un gruppo sociale come ingiusta e pregiudizievole per le potenzialità degli individui della collettività. È una differenza oggettivamente misurabile e soggettivamente percepita. Gli elementi che la compongono sono le differenze oggettive esistenti, ossia il possesso minore o maggiore di risorse socialmente rilevanti. Le differenze sono conseguenza dell’azione di meccanismi di selezione sociale più che del merito e sono interpretate dai soggetti e dai gruppi sfavoriti (o da coloro che li rappresentano) come ingiuste; il ritenersi vittima di ingiusta discriminazione è una componente soggettiva.

Indice di Gini

Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo.

Relatori

Helen Alford

È professoressa ordinaria presso la Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (“Angelicum”) di Roma e vicerettore della stessa Università. In precedenza anche Preside della Facoltà di Scienze Sociali oltre che Prorettore. Ex direttrice del Master in “Management e Responsabilità Sociale d’Impresa”, gestito congiuntamente tra la Facoltà di Scienze Sociali del PUST e la Facoltà di Economia del LUMSA, Roma, ha insegnato in varie università materie legate all’etica economica e alla storia del pensiero sociale cristiano. Sr. Helen Alford tiene anche corsi di storia della tecnologia, politica del lavoro e pensiero sociale cattolico. Esperta internazionale di Business Ethics, è membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. È stata consulente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. E’ coinvolta nel Corso Executive in Finanza ed ecologia integrale in ALTIS presso l’Università Cattolica di Milano. È autrice con Michael Naughton di Managing as if Faith Mattered: Christian Social Principles in the Modern Organization (2001, University of Notre Dame Press). Il suo libro più recente, curato con Francesco Compagnoni, è Preaching Justice: Dominican Contributions to Social Ethics in the Twentieth Century (2007, Dominican Publications, Dublin). Membro dei comitati editoriali di diverse riviste accademiche, tra cui Journal of Catholic Social, Pensiero, finanza e bene comune, Transforming Business, OIKONOMA: giornale di etica e scienze sociali, Helen Alford è autrice di numerosi articoli su: tecnologie incentrate sull’uomo, pensiero sociale cattolico, responsabilità sociale d’impresa e affari, ecc. Si è laureata in Ingegneria gestionale all’Università di Cambridge, dove ha conseguito anche un dottorato di ricerca e successivamente insegnato. È membro delle Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena di Newcastle, KwaZulu Natal (South Africa, appartenente ai domenicani Famiglia (Ordine dei Predicatori).

Vincenzo Sabatino

È componente del consiglio direttivo dei Circoli Dossetti dove si occupa di economia. È presidente e co-fondatore di Catalyst (Centro di ricerca economico e sociale), specializzato nella costruzione di modelli economici innovativi nel campo del finanziamento delle infrastrutture (Sistema di finanziamento di Entità Infrastrutturali) e nuove procedure di pagamento (Balanced Money Market). Da qualche anno è co-fondatore di un nuovo programma scientifico sulla Complessità in fase di avanzamento. Lavora all’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo (ALMED) dell’Università Cattolica di Milano. E’ un esperto di media: televisione, internet tv e cinema, tiene lezioni su queste materie ai corsi master dell’ALMED in qualità di docente a contratto. Coordina, per la parte di competenza dell’Università Cattolica, il progetto di ricerca operativa sui big data del gruppo Mediaset (Infinity e Mediaset Play). Fa parte del network MyDraco (acceleratore di imprese digitali). È stato a lungo un consulente di direzione aziendale e family consultant (Famiglia Garrone). Ha lavorato come manager per un medio gruppo di comunicazione milanese. Ha collaborato con la sede di Milano dell’UNICEF Italia. E’ co-fondatore di una rivista scientifica: www.ladirezione.it. Da poco consigliere della Fondazione Vittorino Colombo ha avviato un progetto per gestire secondo il metodo della proculturalità le relazioni internazionali tra l’Italia e la Cina. Si è laureato in scienze politiche, indirizzo economico internazionale, presso l’Università degli Studi di Milano.


File audio da scaricare (clicca sul link)

1 – Luca Caputo, presidente dei Circoli Dossetti, presenta la lezione – 2:35
2 – Stefano Guffanti, presenta suor Helen Alford e Vincenzo Sabatino – 1:33
3 – Vincenzo Sabatino introduce il tema della lezione – 15:49
4 – Relazione di suor Helen Alford, prima parte – 36:07
5 – Vincenzo Sabatino introduce la seconda parte della lezione – 19:22
6 – Relazione di suor Helen Alford, seconda parte – 45:45
7 – Prima serie di domande – 16:25
8 – Risposte di suor Helen Alford – 12:48
9 – Seconda serie di domande – 10:55
10 – Risposte di suor Helen Alford – 18:27
11 – Vincenzo Sabatino presenta e commenta due spezzoni di film, chiusura della lezione – 14:05

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