I credenti nei tempi nuovi della politica

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Giovanni BianchiLa celebrazione svoltasi a Reggio Calabria nell’ottobre scorso della XLIV Settimana sociale dei cattolici italiani cade in un tempo incerto, che può anche essere un tempo nuovo, della realtà politica e sociale del nostro Paese, mentre il lungo regno berlusconiano (giacché Berlusconi regnava anche quando non governava, tale è la forza di un’ egemonia culturale ed antropologica) affonda nel fango dell’incontinenza privata e nella grascia dell’abuso di potere. A leggere i documenti prodotti nell’assise reggina pare di poter dire che forse il livello di consapevolezza delle avanguardie del cattolicesimo italiano è ora più avanzato di quanto non fosse fino a qualche anno fa, ma lo sarebbe ancora di più se si andasse a rileggere i fondamentali, a partire dal Vangelo come pure dalle parole del Magistero.

La definizione magisteriale più impegnativa del rapporto fra cattolici e politica può essere fatta risalire al Concilio Vaticano II ed in particolare alla Costituzione apostolica Gaudium et spes, che è appunto dedicata al ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo.

L’intero capitolo quarto della seconda parte di questo straordinario documento è dedicata appunto alla “Vita della comunità politica”, esaminandola sia sotto il profilo dell’incidenza della politica sulla vita delle persone, sia sotto quello della responsabilità politica nel quadro dell’insegnamento sociale della Chiesa. Al capitolo 75 ci sono le statuizioni che maggiormente ci interessano ai fini del nostro discorso: troviamo così, alla lettera b), il riconoscimento del valore del voto libero come esercizio di responsabilità nei confronti di se stessi e del prossimo; alla lettera d) la necessità di promuovere e riconoscere, da parte delle pubbliche istituzioni, i diritti primari delle persone, delle famiglie e dei corpi sociali in vista del bene comune; alla lettera i) la raccomandazione che il giusto amore per la propria Patria sia sempre contemperato.

E’ però soprattutto alla lettera l) che troviamo quanto più ci interessa, al punto che appare necessario rileggerla in interezza: “Tutti i cristiani debbono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune; così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità. Devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini, che anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista”.

Più oltre, alla lettera g) del n.76 vengono dette parole impegnative che ancor oggi meriterebbero di essere meditate e rimeditate: “La Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che l loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza”.

Alla luce di questi principi conciliari si mosse alcune anni dopo (precisamente nel 1971) Paolo VI nella lettera apostolica Octogesima adveniens,che è stata ripresa quasi per intero dallo stesso Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (capitolo 573) che afferma: “Le istanze della fede cristiana difficilmente sono rintracciabili in un’unica collocazione politica: pretendere che un partito  o uno schieramento politico corrispondano completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana ingenera equivoci pericolosi. Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’ uomo”.

E comunque, come ricorda sempre la Gaudium et spes al n.43 “a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente a favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”: i credenti devono cercare piuttosto “di comprendersi a vicenda con un dialogo sincero, conservando sempre la mutua carità e solleciti per prima cosa del bene comune”.

Non è qui questione di approfondire se e quanto il “Progetto culturale”, ultimo lascito dell’epoca ruiniana, abbia raggiunto i suoi scopi e quale sia stato l’atteggiamento concreto della CEI nei confronti della politica istituzionale (e magari anche della politica politicante, al paragone con il dettato del n.76 di Gaudium et spes sopra riportato)  in questi sedici anni di sultanato (per usare la mordace espressione di Giovanni Sartori), ma un punto sembra chiaro: nessun cattolico può delegittimare le scelte politiche concrete di un suo fratello nella fede, nessuno può abusivamente schierare la Chiesa o Dio dall’una parte o dall’altra dello schieramento politico, e di conseguenza ogni opzione politica è legittima   e va valutata per le sue conseguenze pratiche e non per uno spirito di fazione che è estraneo alla natura e alla missione della Chiesa.

Quel che è certo è che la storia, e prima ancora la cronaca, alcune sentenze le hanno già scritte, e chi fino alla fine avrà fatto finta di non vedere e non sentire uscirà malconcio da questo giudizio terreno (dell’altro non sappiamo).

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