L’economia in tempo di Covid 19: Next Generation UE, lo spettro del debito pubblico e la proposta di David Sassoli

di Stefano Guffanti

Molta acqua è passata sotto i ponti e molte cose sono accadute da quella conferenza stampa del 12 marzo 2020 in cui Christine Lagarde comunicava che la Bce lasciava invariati i tassi d’interesse e, a un certo punto, affermava «non siamo qui per chiudere gli spread. Ci sono altri strumenti e altri attori per gestire queste questioni» e dalle aspre polemiche che tale affermazione aveva scatenato1.

La Pandemia da Covid 19 non è più un problema solo cinese o italiano ma è diventato un problema mondiale che ha coinvolto in misura maggiore o minore tutti i Paesi europei. Per fronteggiare questa crisi incombente mai vista dai tempi della seconda guerra mondiale, che comporta una serie di rischi che vanno dal default alla crisi finanziaria con conseguente rischio di uscita dalla zona euro o di introduzione di drastiche misure di riduzione del debito (imposte patrimoniali sul risparmio e sugli immobili, taglio ulteriore al sistema previdenziale e al welfare, aumenti delle tasse sul reddito etc…)  la BCE, la Commissione Europea e i governi nazionali hanno messo in campo una serie di misure volte a mitigare le conseguenze prodotte dalla crisi sui diversi paesi.

In questi giorni di Governo Draghi imperante sentiamo partiti di governo e di opposizione che, sia pur concordando sulla insufficienza dei ristori per le categorie economiche più colpite dalla crisi, si differenziano sulla sostenibilità e sul quantum di eventuali nuovi interventi governativi a sostegno dell’economia in crisi.

Nel dibattito sugli scostamenti di bilancio passati e futuri, da effettuare ovviamente in deficit, un tema rimane tuttavia nascosto sullo sfondo: una volta usciti dalla crisi pandemica, come faremo a rimborsare l’enorme debito pubblico che, in tutti i paesi europei ma in misura ancora maggiore nel nostro, si sta accumulando inesorabilmente e che peserà sulle spalle dei nostri figli e dei nostri nipoti ?

Lo restituiamo? Lo cancelliamo tutto? Solo in parte? Lo facciamo “monetizzare dalla BCE” (modo evoluto per dire che lo cancelliamo)? Facciamo una bella patrimoniale e lo facciamo pagare dai cittadini ricchi (ammesso che i loro soldi non abbiano preso nel frattempo il volo per altri lidi)? Aumentiamo il tasso di inflazione così il debito si svaluta e perde valore reale (modo più evoluto per dire che lo facciamo pagare ai cittadini)? Facciamo tanti investimenti (a debito) in modo da aumentare la crescita economica e rendere il servizio del debito più sostenibile ?

Quest’ultima è la tesi che va per la maggiore nel mainstream, soprattutto da quando Mario Draghi ha parlato di “debito buono e debito cattivo”, concetto che spesso riecheggia nei discorsi dei commentatori televisivi e negli articoli dei principali quotidiani2.

Credo che un modo, tra i tanti possibili, per ricordare David Sassoli e il suo pensiero politico sia proprio  quello di ricordare la sua proposta in materia di gestione del debito pubblico formulata nell’intervista rilasciata a Alberto  d’Argenio su Repubblica del 14 novembre 20203, nella quale Sassoli sostiene che la cancellazione dei debiti contratti dai governi per rispondere al Covid sia: «un’ipotesi di lavoro interessante, da conciliare con il principio cardine della sostenibilità del debito. Nella riforma del patto di stabilità dovremo concentrarci sull’evoluzione a medio termine di deficit e spesa pubblica in condizioni di crisi e non solo ossessivamente sul debito».

Per comprendere in tutte le sue implicazioni il dibattito che quella proposta ha innescato tra i maggiori economisti mondiali, tuttavia, può essere utile ripercorrere velocemente gli avvenimenti da  marzo 2020, a oggi soffermandoci sulla genesi di  Next Generation UE e sugli scenari economici post-pandemici.

Il dibattito nella BCE e tra i governi europei

Dopo la conferenza del 12 marzo 2020 della Lagarde, la BCE, rivedendo drasticamente la posizione espressa in precedenza, si rende disponibile a aumentare e potenziare le manovre già messe in campo a sostegno delle economie della zona euro. Le prime dichiarazioni in tal senso arrivano dal governatore della banca centrale francese, Francois Villeroy, al Journal Du Dimanche, dal vicepresidente della BCE, Luis De Guindos, alla stampa portoghese e dalla stessa Christine Lagarde che annuncia un programma di acquisto per l’emergenza pandemica (programma degli acquisti Pepp) da 750 miliardi di euro, programma successivamente incrementato di altri 600 miliardi per un totale di 1350 miliardi. La Banca centrale si impegna inoltre a reinvestire i proventi del programma per lo meno fino alla fine del 2022. 

Sul piano di sostegno d’emergenza varato dalla BCE allo scoppio dell’epidemia si scatena un aspro dibattito in Germania. Peter Huber, il giudice costituzionale che ha scritto la sentenza sulla conformità del QE alla legge tedesca, definisce il piano di acquisto dei titoli legati alla pandemia (PEPP), un programma di redistribuzione. Il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, è costretto a precisare che l’ingente liquidità immessa dalla BCE come risposta necessaria al coronavirus, è una misura temporanea.

II 28 marzo 2020 la Presidente della Commissione Europea dichiara che la Commissione non sta pianificando l’emissione di bond per raccogliere miliardi da destinare all’emergenza coronavirus: «Ci sono limiti legali molto chiari, non c’è il progetto. Non stiamo lavorando a questo». Von der Leyen dice anche che «il termine corona bond è attualmente uno slogan. Dietro ad esso c’è la questione più grande delle garanzie. E qui le riserve in Germania, ma anche in altri Paesi, sono giustificate». Replica, tra gli altri, il premier Conte che sostiene che “il compito della proposta sugli eurobond non è rimesso alla presidente della Commissione. Le proposte le elaborerà l’Eurogruppo» e invita l’Europa a «dimostrare di essere all’altezza di questa chiamata della storia. È uno shock simmetrico che riguarda tutti gli Stati membri, nessuno è esente». Alle dichiarazioni di Conte si aggiungono quelle del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: «le parole della presidente della Commissione UE sono sbagliate e mi dispiace che le abbia pronunciate» e del Presidente del Parlamento UE David Sassoli: «penso che debba arrivare un chiarimento dalla presidente Von der Leyen, noi in Parlamento avevamo capito un’altra cosa».

In previsione dei giudizi sul merito creditizio dell’Italia di Standard&Poor’s e Moody’s, giudizi che partivano da un outlook negativo e da soli due gradi sopra la soglia di accettabilità, la BCE, preoccupata dalla possibilità di un declassamento, adotta contromisure come la possibilità di accettare come collaterale, a fronte di finanziamenti, anche i bond spazzatura, quelli sotto l’Investment Grade. Il temuto declassamento non avviene e, anche grazie alle misure della BCE, la domanda di titoli governativi della periferia dell’Europa resta robusta.

Secondo indiscrezioni riportate dal Financial Times1, alcuni esponenti della BCE, preoccupati che le conseguenze economiche del lockdown imposto in diversi paesi dell’UE portino molte aziende a fallire e, di conseguenza, diverse banche a non riuscire a riottenere i prestiti erogati, avrebbero presentato alla Commissione Europea la proposta di creazione di una bad bank dell’area euro in cui far confluire gli NPL (crediti deteriorati,) delle banche dell’Eurozona. Il piano, dietro al quale ci dovrebbe essere la Grecia più altri paesi del Sud dell’Europa, non piace a Bruxelles, in quanto sarebbe un colpo di spugna sulle regole di salvataggio delle banche, quelle che autorizzano l’intervento dello Stato soltanto dopo che azionisti, alcuni tipi di obbligazionisti ed i correntisti sopra i 100.000 euro se ne facciano carico. Infatti l’indiscrezione viene smentita dal Portavoce dell’esecutivo comunitario Daniel Ferrie che, durante il briefing di metà giornata del 20 aprile 2020,  precisa che la Commissione dispone già di un ampio armamentario di regole e strumenti per intervenire sulla resilienza degli attori dei mercati finanziari. Resta il fatto che il confronto è stato avviato e, per inciso, si dice che uno degli sponsor della bad bank potrebbe essere l’italiano Andrea Enria, il numero uno della Sorveglianza della BCE.

note:

  1. Martin Arnold in Frankfurt and Javier Espinoza in Brussels “ECB pushes for eurozone bad bank to clean up soured loans” – Financial Times, 19-4-2020

Il Consiglio Europeo del 23 aprile 2020:
540 miliardi da MES, SURE e BEI

Arriviamo così al 23 aprile, giorno in cui si tiene un importante Consiglio Europeo che dovrà decidere le misure per contrastare la crisi economica innescata dalla pandemia. Nonostante il grido di allarme lanciato da un “falco” come Wolfgang Schauble il 16 aprile1 che denuncia come l’incremento del debito pubblico sia pari a 10.000 euro al secondo, più velocemente rispetto alla crisi finanziaria globale del 2007-2009, sembra prendere forma la proposta spagnola di costruire un recovery fund da 1/1,5 trilioni, a disposizione di tutti i paesi, ed in particolare di quelli maggiormente colpiti dal Covid-19, proposta rilanciata anche dal Ministro dell’Economia Gualtieri in un’intervista al Financial Times.

Il Consiglio Europeo non assume decisioni operative ma acconsente a dare mandato alla Commissione Europea di progettare un nuovo fondo a sostegno della ripresa basato sul prossimo bilancio comunitario. Nulla viene comunicato sul funzionamento di questa iniziativa, se non che avrà una potenza di fuoco notevole. La grande novità è che la Germania si dichiara favorevole ad accogliere, almeno in parte, le richieste di Italia, Spagna e Francia. Angela Merkel si dice pronta “in uno spirito di solidarietà” a versare “contributi molto più importanti” al bilancio comunitario di quanto non fosse disposta prima della pandemia influenzale.

Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel spiega, nel corso di una conferenza stampa, che è stato deciso di dare il via libera al fondo della Commissione Europea (Sure) ed all’impiego della Banca Europea degli Investimenti nel sostegno alle imprese. Il 23 aprile 2020 i leader dell’UE approvano la proposta relativa a tre reti di sicurezza avanzata dall’Eurogruppo (con aperture anche per il Recovery Fund anche se mancano i dettagli) e chiedono sia operativo a partire dal 1º giugno 2020 un pacchetto da 540 miliardi così composto:

1) Fondo da 100 miliardi SURE (acronimo di Support to mitigate unemployment risks in emergency)  che avrebbe un fondo di garanzia da 25 miliardi (versati dagli Stati membri) e potrebbe mobilitare fino a 100 miliardi permettendo di finanziare parte dei costi connessi alle casse integrazioni nazionali o schemi simili di protezione dei posti di lavoro. Sure raccoglierà risorse sui mercati emettendo bond con tripla A, quindi a tassi bassissimi, che darà poi ai Paesi che ne hanno bisogno con scadenze a lungo termine. «Con questo nuovo strumento di solidarietà mobiliteremo 100 miliardi per mantenere le persone nei loro posti di lavoro e sostenere le imprese» dichiara la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen;

2)  Garanzie per finanziamenti alle imprese da 200 miliardi tramite la BEI; Il gruppo Banca Europea per gli Investimenti  creerà un fondo di garanzia paneuropeo: prestiti fino a 200 miliardi per le imprese, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese,  in tutta l’UE. Ciò si aggiunge ai 40 miliardi  già mobilitati per coprire il fabbisogno di finanziamento a breve termine delle PMI;

3) MES con basse condizionalità per 240/250 miliardi: il Meccanismo Europeo di Stabilità fornirà sostegno per la gestione della crisi pandemica sulla base di una linea di credito precauzionale esistente, che verrà adeguata per tenere conto della crisi della Covid-19: prestiti a disposizione di tutti gli Stati membri della zona euro fino al 2% del loro PIL (per un valore di 240 miliardi di euro). Vi sono concessioni da parte dei paesi del nord a togliere significative condizionalità all’utilizzo dei fondi che sarebbero a disposizione degli Stati, tuttavia si negozia sulla condizione richiesta di rispettare il Patto di Stabilità quando verrà riattivato. Italia, Francia e Spagna puntano a togliere questo vincolo ed accettano solo l’ipotesi che i fondi debbano essere spesi unicamente per contrastare gli effetti del Covid-19. In un’intervista al Corriere, il presidente del MES, Klaus Regling, conferma  che non saranno imposti vincoli per i paesi che decideranno di avvalersi dei fondi, l’unica condizione sarà  che dovranno essere utilizzati solo per l’emergenza sanitaria e la gestione successiva. La linea di credito viene rifiutata nel giro di due giorni da Spagna, Portogallo, e Grecia. Al loro «no» si associa la Francia, e da ultimo il premier Conte che dichiara che l’Italia attiverà il Mes solo se lo farà anche la Francia. Sull’utilizzo o meno del MES si apre un dibattito trasversale tra le forze politiche italiane di governo e di opposizione (dibattito invero oggi assai attenuato dopo l’avvento del governo Draghi), non è questa la sede per approfondire i torti e le ragioni dei sostenitori e degli avversari del MES, resta il fatto che, aldilà delle valutazioni dei vari esperti, tutti i governi europei, almeno finora, hanno scelto di non utilizzarlo.

La proposta franco tedesca
e la nascita di “Next Generation EU”

E arriviamo così ai giorni nostri. L’Unione Europea autorizza la massima flessibilità nell’applicazione delle norme per quanto riguarda gli aiuti di Stato a sostegno delle imprese e dei lavoratori e le politiche in materia di finanze pubbliche e di bilancio, sospende il Patto di stabilità, adotta misure per garantire maggiore flessibilità nell’uso dei fondi strutturali e modifica il suo bilancio per il 2020 con una dotazione aggiuntiva pari a 3,1 miliardi per rispondere alla crisi causata dalla Covid-19.

Il 18 maggio 2020 Macron e Merkel annunciano, con grande clamore mediatico, un recovery fund da 500 miliardi1: nel comunicato finale è scritto che l’erogazione dei fondi sarà basata “sul chiaro impegno a seguire politiche economiche sane e un programma di riforme ambiziose”. Quali sono le ragioni alla base del “cambio di passo” che Francia e Germania hanno impresso con la loro proposta ? Se le motivazioni che ispirano il Presidente francese appaiono abbastanza chiare e condivise (la Francia è uno dei paesi più colpiti dal Covid e Macron sostiene da sempre il processo federalista europeo), varie sono le interpretazioni sulle motivazioni di Angela Merkel. Il noto giornalista tedesco Udo Gumpel2 ne elenca 2:

  • il desiderio di Merkel di non passare alla storia come la leader europea che ha affossato i paesi mediterranei e compromesso il processo di Unione Europea;
  • i sorprendenti sondaggi che mostrano un elettorato tedesco profondamente colpito dalla reazione composta e disciplinata degli italiani alla pandemia e, pertanto, disposto a finanziare gli aiuti al Belpaese.

I tedeschi, aggiunge maliziosamente Gumpel, hanno deciso di mettere alla prova la capacità degli italiani di spendere secondo le regole europee, tuttavia, le risorse europee non potranno essere utilizzate per abbassare le tasse di un paese con altissima evasione come l’Italia o per mandare in pensione prima i già privilegiati ferrovieri francesi, dovranno invece essere utilizzate secondo le rigide regole europee e sulle tematiche decise dalla Commissione. Se gli italiani e gli altri paesi mediterranei non riusciranno a gestire i progetti europei, è il retropensiero dei tedeschi, non potranno più accusare delle loro disgrazie i “crucchi egoisti” ma dovranno prendersela solo con se stessi.

I tradizionali alleati della Germania non tardano a manifestare il loro malcontento, passano poche ore e da Vienna, il premier Sebastian Kurz, dopo essersi consultato con i governi del Nord Europa (Olanda, Danimarca e Svezia) che si autodefiniscono «frugali», in opposizione ai paesi «cicala» del Sud Europa, chiarisce che la loro posizione non sarebbe cambiata di una virgola: niente sovvenzioni UE a fondo perduto, ma soltanto prestiti, e ben condizionati. In buona sostanza, prestiti da restituire in tempi certi, e soltanto in cambio di severe riforme da varare al più presto nei paesi più indebitati.

Ma ecco che il 19 maggio 2020, la presidente della BCE Christine Lagarde, in una intervista pubblicata su vari giornali europei, dichiara che la proposta franco-tedesca apre la strada a un’emissione di debito a lungo termine effettuata dalla Commissione europea e soprattutto permette di attribuire aiuti diretti importanti a favore degli Stati più colpiti dalla crisi, “le misure più coraggiose sono anche le più sicure per il futuro” dichiara in conferenza stampa del 27 maggio Ursula Von der Leyen presentando, nella plenaria del Parlamento europeo, una proposta per uno strumento – il Recovery Instrument – integrato nel nuovo Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027 e, a suo parere, in grado di trasformare l’immensa sfida che stiamo affrontando in una opportunità, supportando la ripresa ma anche investendo nel nostro futuro.

Il Recovery Instrument, chiamato “Next Generation EU”, avrà una dotazione di 750 miliardi di euro, di cui 500 miliardi saranno erogati direttamente ai membri dell’Unione sotto forma di sovvenzioni (grants) e 250 saranno messi a disposizione attraverso prestiti (loans).

Come verranno spesi questi 750 miliardi aggiuntivi ? Il grosso dei quattrini dovrebbe essere erogato nel periodo 2021-2024 (il bilancio pluriennale va dal 2021 al 2027), 313 miliardi di euro circa, arriverebbero in Italia e in Spagna, i due paesi più colpiti dalla pandemia in termini sanitari ed economici. Per finanziare tale fondo, la Commissione emetterà  bond con garanzia comunitaria con scadenze fino a 30 anni che verranno ripagati dagli Stati Membri tra il 2028 e il 2058 attraverso i futuri bilanci UE. Per far fronte alle nuove necessità la Commissione propone di aumentare le risorse proprie dell’Unione attraverso nuove tasse europee tra cui: una tassa sulle “importazioni” di CO2 (carbon border adjustment mechanism), nuovi ricavi dal sistema di scambio delle quote di emissioni, una tassa sul digitale. I 750 miliardi di “Next Generation EU” si sommeranno al bilancio pluriennale dell’UE di 1100 mld e a MES, BEI e SURE per un totale di quasi 2400 miliardi di euro ipotizzati e in parte già stanziati dall’UE per far fronte all’emergenza coronavirus.

L’accesso alle risorse del nuovo Recovery fund dell’UE si baserà sulla presentazione volontaria, da parte dei Paesi beneficiari di “Piani di rilancio e resilienza”  che verranno valutati dalla Commissione europea in collegamento con le raccomandazioni del semestre europeo. Lo spiega il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, durante la conferenza stampa di presentazione del piano europeo di rilancio post crisi pandemica: «la Commissione adotterà una decisione che stabilisce il contributo di cui lo Stato membro beneficerà (una sovvenzione e, se così richiesto, un prestito), a condizione che siano soddisfatti i criteri di valutazione ». La medesima decisione indicherà per ciascun paese «i capisaldi e il calendario per l’attuazione» del piano di recovery. E se gli stati non staranno ai patti? I fondi verranno distribuiti a rate, in base ai progressi fatti sui piani di riforma. Se lo Stato non rispetterà gli obiettivi perderà la rata.

L’approvazione dei piani nazionali PNRR è storia di questi giorni, nell’agosto del 2021 la prima tranche dei fondi del Recovery Plan viene trasferita in Italia da Bruxelles, l’importo di 24,9 miliardi è pari a quello di una manovra finanziaria e servirà a finanziare parte di quei 151 progetti già avviati nei settori del digitale, dei trasporti, nelle città, nel campo dello sport etc….

Il Consiglio direttivo della BCE, dal canto suo, ha approvato all’unanimità la nuova strategia di politica monetaria che adotta un obiettivo di inflazione cosiddetto simmetrico del 2% a medio termine. La simmetria consiste in questo: per la prima volta la BCE decreta che potrebbe tollerare un periodo transitorio in cui l’inflazione si colloca “ad un livello moderatamente al di sopra dell’obiettivo del 2% di inflazione annua” – finora considerato dalla BCE stessa (chissà perché) sacro e inviolabile.

Come dichiara Paolo Gentiloni in una intervista concessa a Tito Boeri nell’ambito del Festival dell’Economia di Trento3, è successo che le istituzioni europee hanno avuto una reazione molto rapida e di dimensioni rilevanti, per la prima volta la politica economica di bilancio dell’ UE non è più fatta solo di tetti, vincoli, soglie, raccomandazioni ed eventuali sanzioni ma è stata dotata di un volume di fuoco economico. “Non possiamo”, afferma Gentiloni, “avere solo una politica monetaria comune ma, almeno straordinariamente e per alcuni aspetti, dobbiamo avere una politica economica comune”.

Lo spettro del debito pubblico
e la proposta di David Sassoli

Probabilmente a causa della consapevolezza del pesante fardello rappresentato dal debito pubblico dei paesi UE, ulteriormente aumentato per fronteggiare la crisi economica generata dal Covid-19 che non ha risparmiato nessun Paese, nel novembre 2020 il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli lancia una proposta shock: la cancellazione della quota di debito acquistata dalla BCE dall’inizio della pandemia,  per l’Italia pari a circa 530 miliardi.

L’idea lanciata da Sassoli si scontra contro il muro di Commissione e BCE. La presidente della Banca Centrale Europea Lagarde la boccia affermando che “cancellare il debito va contro i trattati, c’è l’articolo 103 che proibisce quel tipo di approccio e io rispetto i trattati”, anche l’allora Ministro Gualtieri cita l’Art.123 del TFUE che vieta espressamente una tale operazione e tanto basta per bocciare l’ipotesi1.

Si aprono accesi dibattiti nel mondo politico ed economico con una serie di interventi critici che sottolineano che, se quando si parla di “cancellazione del debito” si fa riferimento alla monetizzazione, ovvero agli acquisti di titoli pubblici da parte della Banca Centrale da detenersi per una durata indefinita finanziando così le manovre dello Stato, occorre tener presente il fatto che  i titoli acquistati dalla BCE formano le sue attività e  una “cancellazione” provocherebbe pertanto una perdita di bilancio, portando la Banca Centrale ad avere un capitale negativo. Tale perdita, come fa notare il Professor Tommaso Monacelli su Lavoce.info2, si tradurrebbe in una riduzione dei profitti distribuiti alle Banche Centrali dell’Eurozona e a loro volta ai governi.

Inoltre, premesso che già nel documento n° 169 della BCE (aprile 2016) dal titolo “Profit distribution and loss coverage rules for central banks” la nota n°7 a pagina 14 recita:   “Le banche centrali sono protette contro l’insolvenza a causa della loro capacità di creare denaro e possono perciò operare con patrimonio netto negativo”, il problema sorgerebbe, come sottolineano due insigni economisti quali Stiglitz e De Grauwe3, nel momento in cui si debbano attuare politiche restrittive. Se un domani dovesse salire l’inflazione, una continua perdita sul lato delle attività impedirebbe all’istituto di Francoforte di ritirare la liquidità in eccesso dal mercato, minando non solo la fiducia nella moneta, ma anche l’indipendenza della Banca Centrale. Lo scenario inflazionistico, che nel 2016  sembrava assai poco credibile, è oggi davanti ai nostri occhi, con la Banca d’Italia4 che taglia le stime della crescita per il 2022 al 3,8% e prevede una inflazione in salita al 3,2%………

Un’altra idea, diversa dalla cancellazione/monetizzazione, viene dal Professor Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica. La sua idea si basa sull’utilizzo della riserva obbligatoria: in sostanza, per evitare che la Banca Centrale riassorba la liquidità in eccesso attraverso la vendita di titoli di stato, essa “obbliga” le banche commerciali, attraverso lo strumento della riserva una tantum, a depositare tale liquidità, permettendo così alla BCE di rinnovare i titoli pubblici. Ancora una volta, il concetto una tantum è fondamentale, poiché se questo obbligo venisse prorogato ingesserebbe le banche commerciali, limitando così la loro azione di intermediazione finanziaria.

A fronteggiare queste e altre critiche appare un appello di più di 100 importanti economisti5, tra i quali Thomas Piketty, a sostegno della proposta di Sassoli. Gli economisti evidenziano che un quarto dei debiti pubblici dei paesi dell’area euro è detenuto al momento dalla Banca centrale europea e che una sua eventuale cancellazione,  insieme all’impegno di spendere la somma con investimenti nella transizione green e in progetti sociali, creerebbe un pacchetto di stimoli di quasi 2,5 trilioni di euro.

Leonardo Becchetti, uno degli economisti firmatari dell’appello (e ospite del Circolo Dossetti nel marzo 20216) dichiara a Repubblica7 che: “le Banche Centrali di Stati Uniti, UE, Regno Unito e Giappone hanno fatto in questi ultimi anni cose impensabili fino a qualche anno prima e assolutamente non convenzionali. Lo hanno fatto perché hanno interpretato bene il loro ruolo alla luce delle novità dei tempi. Il nostro compito di economisti è quello di pensare soluzioni nuove a problemi nuovi e stimolare il dibattito nel rispetto dei ruoli. Si parlava di quantitative easing molto prima che la BCE potesse vararlo. E come sappiamo la BCE non ha potuto vararlo finchè non c’è stata una maggioranza favorevole all’interno. Semplificare il dibattito e l’appello dei giorni scorsi attorno alla questione della “cancellazione” del debito è riduttivo. Si tratta in realtà di un dibattito sulle potenzialità di azione delle Banche Centrali.” e ancora. “nell’ appello si parla di una seconda opzione di fatto equivalente a quella della trasformazione dei titoli detenuti dalla BCE in titoli irredimibili a tasso zero. Non dimentichiamo neanche che di fatto oggi quel debito è “congelato” se non cancellato. La BCE riacquista i titoli a scadenza e retrocede i guadagni da interesse agli stati nazionali. Una questione aperta dunque è capire se questa politica è temporanea o strutturale, se sarà mantenuta nell’attuale dimensione o crescerà in termini quantitativi. Non c’è un interruttore acceso/spento per cui si decide di cancellare o no il debito ma c’è piuttosto un continuum di opzioni su sui si sta riflettendo tra gli economisti (che parlano oggi di salto di paradigma fiscale consapevoli che il contesto è cambiato) e le istituzioni“.

Il Professor Francesco Saraceno8, economista di LUISS e Sciences Po, sul quotidiano Domani  sottolinea tre elementi che potrebbero conciliare la monetizzazione e la tenuta della Banca Centrale Europea: in primo luogo, la scelta di monetizzare dovrebbe venire solo dalla BCE, e non da una iniziativa di Consiglio o Commissione. In secondo luogo, questa manovra dovrebbe essere una tantum, coinvolgendo tutti i Paesi dell’Eurozona, non solo quelli più in difficoltà.

Conclusioni: un passo avanti verso gli Stati Uniti di Europa
o una misura “una Tantum” destinata
a perpetuare la “balcanizzazione del debito”?

In conclusione, volendo trarre un bilancio provvisorio, ci sembra che gli eventi accaduti tra metà marzo 2020 e i giorni nostri in Europa possano essere valutati come un indubbio successo della Commissione Europea e della BCE.

Sono un successo importante per la BCE che resiste all’attacco alla sua indipendenza sferrato dalla Corte costituzionale tedesca confermandosi, nonostante il suo Statuto che prevede il solo compito di mantenere la stabilità dei prezzi, come la vera garante dei miliardi anticrisi in tre anni.

Il successo ha tuttavia dei limiti ben precisi se comparato a quanto fatto da uno Stato pienamente federale come gli USA. Come scrive l’Economist del 2 aprile 2021, l’UE ha utilizzato  la pandemia per fare un progresso istituzionale creando uno strumento finanziato con un debito per il quale l’UE è responsabile congiuntamente, ma il successo nella creazione del Recovery fund contrasta con la lenta esecuzione che lo caratterizza: entro la fine del 2022 solo un quarto dei fondi saranno versati, mentre alla fine del 2022 il PIL americano, grazie agli interventi del Governo Federale, sarà più alto del 6% rispetto al 2020. Se allarghiamo lo sguardo i 750 mld sono il doppio del bilancio europeo ma il doppio di 1 è il 2% e, sia pur raddoppiato, il bilancio europeo resta meno di un tredicesimo di quello del governo federale americano.

Il Recovery Fund è un fatto importante perché ha rotto il tabù della mutualizzazione del debito e ha posto le premesse per la costruzione di una Federazione di Stati Europei dotata di risorse proprie, ma non siamo affatto, come sproloquiano alcuni giornalisti, di fronte a un nuovo “Piano Marshall”. Il Piano Marshall non andava restituito, i prestiti del Recovery Fund, come ha ricordato anche il Presidente Macron dopo una conferenza stampa con la Merkel, andranno restituiti fino all’ultimo centesimo dagli Stati membri, sia pure in tempi lunghi.

Un’altra fake news  che si legge su tutti i giornali e che rischia di creare pericolose illusioni è la descrizione dell’Italia come “il maggior beneficiario delle risorse del Recovery Fund.” Questa affermazione è assolutamente falsa.

Per capirlo, basta fare mente locale al fatto che l’Italia non è affatto il paese più povero dell’Unione Europea. Davvero crediamo che paesi come la Romania, la Croazia, la Polonia, la Bulgaria, la Grecia avrebbero accettato di ricevere meno risorse rispetto ai ricchi italiani senza colpo ferire? Ovviamente non è così. L’UE ha distribuito le risorse in percentuale rispetto al PIL dei vari paesi, mentre gli pseudo-esperti euroentusiasti prendono in considerazione il valore nominale delle risorse che l’Italia riceverà senza metterle in relazione al PIL del nostro paese. E’ solo rapportando le risorse europee che i vari paesi riceveranno al rispettivo PIL che è infatti possibile comprendere l’impatto che tali trasferimenti avranno sulle diverse economie1.

In cifra assoluta, nessun paese prenderà dal Next Generation Europe più trasferimenti a fondo perduto dell’Italia, ma siamo anche uno dei paesi più grandi e, in rapporto alle dimensioni dell’economia, avremo, proporzionalmente, meno aiuti di tanti altri paesi, che hanno Pil più piccoli, la Spagna ad esempio riceverà in realtà sussidi pari al 3,4% della sua economia a fronte dell’1,9% italiano, per non parlare di paesi come Croazia e Bulgaria che riceveranno dalla Ue, nei prossimi tre anni, sussidi pari al 10 per cento del loro Pil pre-Covid.

Per il nostro paese, più che di successo, è pertanto opportuno parlare di opportunità da sfruttare non priva di rischi. Spesso i media dimenticano di evidenziare che la scelta che i governi devono valutare non è solo tra avere prestiti dal MES e/o dal Sure e/o dal Recovery fund o ottenerli tramite l’emissione di BTP.  Bisogna tenere conto, nella valutazione dei pro e dei contro, anche di altri fattori:

1) l’Italia ha un debito superiore ai 2000 miliardi, ogni anno arrivano a scadenza dai 300 ai 400 miliardi di debito che vanno rifinanziati con emissioni di pari entità;

2) il fatto che esistano il MES e il Recovery che sono in grado di offrire al nostro paese miliardi di euro a un tasso di interesse molto basso, aiuta il nostro paese a tenere bassi i tassi di interesse perchè gli investitori internazionali sanno che potremmo rivolgerci, in alternativa a loro, al MES o al Recovery per finanziare le nostrespese. Se però il nostro paese utilizzasse tali strumenti, gli investitori internazionali valuterebbero il rischio del paese Italia tenendo conto che l’Italia si è già giocata la possibilità di attingere a queste risorse fornita dall’UE.

Sintetizzando, il problema non è economico ma serve un accordo politico e ci sono 2 modi di fare una trattativa: uno è fingere che siamo amici, ci vogliamo bene e siamo tutti fratelli, uno, ed è quello che funziona nella realtà, è quello di iniziare ammettendo che abbiamo interessi contrapposti e cercando una mediazione. In Italia c’è una narrazione spesso retorica dell’Europa fatta di Stati amici che collaborano per il bene comune. Sarebbe bello se fosse così ma finora i membri dell’UE sono stati soprattutto competitors in concorrenza tra loro per espandere quote di mercato a scapito degli altri paesi.

Sicuramente qualcosa è cambiato in Europa se pensiamo a una intervista del 22 gennaio 2022 di Isabel Schabel, l’economista tedesca componente dell’esecutivo della BCE, che  dichiara a Tonia Mastrobuoni2 che tutti i paesi europei sono sulla stessa barca e, per evitare che affondi, sono necessari sforzi coordinati a livello europeo e trasferimenti ai paesi più in difficoltà che, unitamente ai prestiti, aiutino ad affrontare la crisi economica.

Dalla Germania arriva però, chiaro e tondo, anche l’avvertimento del nuovo presidente della Bundesbank Joachin Nagel che l’11 gennaio 2022, sul suo profilo twitter, ci ricorda che: “l’opinione pubblica tedesca si aspetta, giustamente, che la Bundesbank faccia sentire la sua voce come sostenitrice di una cultura di stabilità. Io posso assicurarle che lo farà”, per non parlare della vera e propria rivendicazione di appartenenza al pensiero ordoliberista del neo-ministro tedesco dell’economia Christian Lindner3: “dall’anno prossimo torneremo ai vincoli fiscali che ci impone la nostra Costituzione, con un limite molto stringente per il bilancio annuale. Ecco la nostra strategia duplice: spese mirate per investimenti, ma sulla redistribuzione, sulla spesa corrente e sulla spesa sociale devono valere severi vincoli fiscali”, “il Next Generation Eu è stato una risposta singola a un singolo evento”, “dobbiamo capire come valutare le banche che hanno una quota particolarmente alta di titoli di Stato nei loro bilanci. Perché il rischio è che debiti privati e pubblici si mescolino e che i rischi legati ai debiti pubblici si trasferiscano sul settore finanziario di un altro Paese”.

Attenzione perché il veleno è nella coda! Si tratta di un attacco alla politica di Draghi che, a fine 2011, introdusse la VLTRO (Very Long Term Refinancing Operation)4 che in questo ultimo decennio ha permesso al Tesoro italiano di rinnovare il debito in scadenza vendendo titoli di Stato dello stesso valore alle banche italiane che lo compravano con i soldi del VLTRO.

Citando il prof. Sergio Cesaratto, le banche italiane guadagnavano sullo spread tra il basso tasso di interesse pagato alla BCE e il tasso di interesse pagato dal Tesoro e lo Stato poteva sostituire gli investitori esteri in fuga pagando un tasso di interesse limitato e nascondendo sotto il tappeto i “non performing-loans”, ovvero i prestiti che le famiglie e le aziende italiane colpite dalle politiche di austerità europea, non erano più in grado di restituire.

La Germania non ha mai perdonato a Draghi questo “Bail in” mascherato di Italia e Spagna, ma Lindner dovrebbe ricordare il precedente della crisi greca  in cui l’Europa sprecò inutilmente miliardi, rischiò la fine dell’euro e impose sacrifici che crearono  tragedie umane per evitare un taglio del debito al quale poi si arrivò lo stesso perché la Grecia non era semplicemente  in grado di ripagare tutto il suo debito.

L’inflazione, che gli ordoliberisti europei tanto temono, è oggi un evento che dovremmo in parte augurarci. Una inflazione al 3% aiuterebbe il rientro dal debito svalutandone il valore, in questi anni siamo sempre rimasti ben al di sotto del 2%, target della BCE, con danni enormi per tutte le economie e ancora maggiori per una economia come la nostra per la quale il 2% è un tasso penalizzante.

Scriveva Mario Draghi nel marzo 2020 nell’articolo sul Financial Times5 che molto assomigliava al suo futuro programma di governo: “già adesso è chiaro che la risposta che dovremo dare a questa crisi dovrà comportare un significativo aumento del debito pubblico. La perdita di reddito nel settore privato, e tutti i debiti che saranno contratti per compensarla, devono essere assorbiti, totalmente o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di  debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e andranno di pari passo con misure di cancellazione del debito privato.”

Mi domando tuttavia in che modo, senza una parziale monetizzazione/cancellazione anche del debito pubblico,  gran parte degli stati membri (Francia compresa) riusciranno a rientrare nei famosi parametri di Maastricht. 

Quando il debito pubblico era al 132% del PIL un esperto autorevole come il sopra citato prof. Carlo Cottarelli, ospite del Circolo Dossetti nel dicembre 20196, riteneva necessario, per ridurre la percentuale di indebitamento suddetta, che lo Stato italiano dovesse conseguire un avanzo primario intorno al 4%. Tale cifra può dire poco al lettore ma tradotta significa che lo Stato italiano avrebbe dovuto incassare il 4% in più di quello che spende, peccato che, nel corso della crisi da COVID il rapporto sia salito intorno al 160% e quindi lo sforzo richiesto per rientrare, già insostenibile per molti esperti, dovrebbe aumentare ulteriormente.

Senza la monetizzazione di parte del debito, l’alternativa sarà quella di conciliare crescita economica e tagli della spesa, ovvero la ricetta perseguita con esito fallimentare dal 1992 a oggi. Inoltre, come ci ricorda tra gli altri il prof. Campiglio dell’Università Cattolica, non si può assolutamente affermare, neanche per sbaglio, che l’Italia sia spendacciona. Guardando alla spesa pubblica in termini reali, cioè deflazionata, tra il 2010 e il 2018 possiamo osservare che in Germania la spesa pubblica è salita dell’8,2%, in Francia del 9,4%, mentre in Italia è scesa del 3%.

Il vero problema da affrontare è pertanto come predisporre un piano di rientro realistico da percentuali di debito pubblico così alte evitando di imporre sacrifici enormi agli Stati membri da raggiungersi attraverso avanzi primari (tagli delle spese e/o aumenti delle entrate) dell’ordine del 4-5% annuo che potrebbero rivelarsi controproducenti causando una diminuzione del denominatore (il PIL) maggiore della diminuzione del nominatore (il debito pubblico). 

I 100 economisti firmatari dell’Appello per la cancellazione del debito sostengono che si possono ipotizzare meccanismi di cancellazione del debito progressivi nel tempo e legati al raggiungimento di obiettivi (che è esattamente il principio del Next Generation Eu e del Recovery Fund se sostituiamo la cancellazione del debito con la disponibilità di risorse finanziarie).

Certo, la monetizzazione di una quota-parte del debito può generare effetti negativi sul bilancio della BCE e sulla credibilità verso i mercati finanziari, può favorire comportamenti di “moral hazard” nei paesi beneficiari, occorre cambiare i trattati europei… tuttavia, se concordata a livello di Unione Europea, l’euro rimarrebbe una delle monete più credibili al mondo e potremmo liberare enormi risorse per gli investimenti e per la crescita. La proposta di David Sassoli, lungi dal poter essere liquidata come una boutade o una utopia idealistica, è più che mai attuale, il tema del debito pubblico e di come renderlo sostenibile è la vera questione che l’Europa dovrà affrontare e risolvere per poter proseguire nel suo lungo e travagliato cammino verso una vera unione federale.

note:

  1. Chi non fosse ancora convinto non ha che da aprire il PNRR a pag. 16 dove vedrà rappresentata la percentuale di risorse che ogni paese riceverà rispetto alle dimensioni della propria economia e vedrà che, prima degli italiani, i maggiori beneficiari della grande svolta, che la Ue ha compiuto con il Next Generation Fund saranno, come era ovvio aspettarsi i paesi più poveri dell’UE, nell’ordine: Bulgaria, Grecia, Portogallo, Romania, Spagna, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia…
  2. Schnabel (Bce): “La Banca centrale europea pronta a rafforzare la sua azione. Chi prende gli aiuti del Mes non dovrà subire alcuna austerità”
  3. Sapelli: l’ideologia tedesca pronta ad asfaltare i piani di Draghi e Macron
  4. Si tratta di una misura che mise a disposizione delle banche europee un milione di miliardi di liquidità per 3 anni, ufficialmente Draghi la presentò come uno stimolo alle banche per offrire credito alle famiglie e alle imprese ma, secondo i critici del governatore della BCE, si trattò di un salvataggio mascherato di Italia e Spagna.
  5. A marzo 2020 sul Financial Times il discorso di Draghi che sembra un programma di governo
  6. Circoli Dossetti – Carlo Cottarelli: Pachidermi e pappagalli. Tutte le bufale sull’economia a cui continuiamo a credere.

Stefano Guffanti

Permalink link a questo articolo: https://www.circolidossetti.it/economia-in-tempo-di-covid-19-next-generation-ue/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.