Un atto di guerra senza giustificazioni

Ieri, 9 ottobre, la Turchia si è resa colpevole di un atto unilaterale di aggressione alla Siria.

Sull’obiettivo di questo atto di guerra, e sui potenziali obiettivi dei diversi attori che nel corso di questo decennio si sono dati appuntamento in Siria per combattere una specie di campionato del mondo di guerra (o di Olimpiade del male, viste le diverse discipline nelle quali i nostri eroi si sono cimentati) rimandiamo al più puntuale articolo del nostro Marco Corno qui pubblicato.

Intendiamo invece, in questa sede, soffermarci per un momento sui fatti evidenti e le più immediate conseguenze di quanto sta avvenendo in queste ore.
E, provati spiritualmente anche noi dall’aver assistito inermi a tanti anni di orrori, perpetrati da più parti, in Siria, riteniamo di non dover ulteriormente tollerare l’arrogante violenza degli Stati sugli Stati e degli uomini sugli uomini, e di utilizzare un piglio ed un linguaggio -ce ne scuserete, trovandoli magari eccessivi- che non lascino spazio a dubbi su quella che per noi è la più corretta versione delle cose.

Occorre innanzitutto denunciare il fatto che siamo davanti al fallimento dell’ONU come luogo della composizione delle controversie internazionali: l’invasione del territorio di uno Stato membro, ad opera delle truppe di un altro Stato membro, non avallata dal Consiglio di Sicurezza e non investita di una missione nemmeno lontanamente classificabile come di peace-keeping,  è un atto di guerra; una cosa che, pur negli orrori che hanno recentemente devastato la Siria, e pur nel contesto di guerra costante in cui il Medio Oriente -è un punto su cui Dossetti, ancora una volta, aveva visto molto lungo- permane da decenni, non si vedeva da tanto.

Non pare lecito nemmeno concedere il beneficio dell’argomentazione, alle rivendicazioni del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan: quand’anche fossero vere, la Turchia non può prendere unilateralmente l’iniziativa di una azione di polizia internazionale.
Analogo disprezzo dobbiamo riconoscere alle ridicole giustificazioni del Presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, che dopo aver abbandonato al proprio destino chi ha combattuto e vinto contro l’ISIS (e i suoi finanziatori della penisola arabica), oltraggia l’intelligenza del mondo con parallelismi storici tracciati ad occhio con una coppia di righelli sghembi.

L’operazione iniziata da Ankara, cui è stato dato il nome di “Fonte di pace” con la stessa nera ironia con la quale era stato dato il nome di “Ramoscello d’ulivo” a quella contro Afrin nel 2018, è una operazione etnico-politica contro una entità territoriale multietnica e multireligiosa, che da millenni ha dato vita ad una delle società nazionali più antiche e culturalmente vitali del mondo, quella siriana.

L’odierna situazione politica della Siria è quella di uno Stato, nel cui alveo una delle nazioni che lo abitano, quella curda, dopo aver difeso in armi il proprio territorio nella più asimmetrica delle guerre immaginabili (contro un invasore fantasma ma brutale, uno Stato transnazionale senza popolo, finanziato da forze straniere) ha avviato una esperienza di autonomia che conferisce allo Stato siriano un carattere pluriordinamentale; il quale, non intaccando necessariamente la unità territoriale siriana, rappresenta tuttavia un modello possibile di convivenza istituzionale in Paesi con livelli di complessità elevatissimi.
In uno scenario simile, e nella dissoluzione de facto dell’unità territoriale siriana, spetterebbe semmai ai curdi siriani il diritto ad autodeterminarsi; la cosa è giuridicamente non pacifica, ma quel che è certo è che grava sulla comunità internazionale il dovere di conferire un riconoscimento giuridico alle minoranze in armi contro un invasore, soprattutto quando queste minoranze hanno difeso il territorio dello Stato di cui sono parte senza proclamare alcuna indipendenza.

Si deve dunque intendere che questa operazione, spacciata dal dittatore turco Erdogan come operazione di polizia internazionale contro presunti terroristi appartenenti allo stesso gruppo etnico -i curdi, appunto- che vive in condizione di maggioranza in una ampia porzione della Turchia, è un atto di guerra contro un Paese vicino, di cui ad oggi i curdi, e la loro autonomia organizzata nel Rojava, sono parte integrante.

L’esperimento istituzionale dei curdi siriani, che come riconosciuto dai più documentati studiosi e cronisti di cose Mediorientali non perseguono obiettivi comuni -nè tantomeno irredentisti- rispetto ai loro connazionali che vivono in Iraq, Iran, ex URSS e, men che meno, Turchia; la loro sostanza etnica, culturale, religiosa, linguistica e, grazie alla guerra contro l’ISIS, giuridica internazionale;
il senso di giustizia e di libertà che dovrebbe animare le coscienze degli Occidentali; lo spirito di pace e  di umanità che percorre e vuole percorrere chi condivide la fratellanza dell’essere tributari dello stesso Mare:
tutti questi elementi ci portano a condannare nella maniera più pesante l’atto di guerra di un meschino presidente, nostalgico dei secoli passati, quando il suo ex Impero terrorizzava con la violenza i popoli del Mediterraneo, brutalizzava -già allora- la confinante Siria, faceva della religione uno strumento di potere, bramava di conquistare l’Europa per sottometterla al nuovo padrone di Bisanzio.

Di tutto questo, Erdogan ha evidentemente nostalgia, e spera di risolvere il proprio calo di consensi interno lisciando il pelo all’aggressivo sciovinismo turco, impegnando il proprio popolo nell’ennesima guerra contro il solito nemico curdo.

Non facciamo appello al senso di umanità di chi ha lasciato per anni che la Siria fosse ridotta ad un cumulo indistinto di morti e macerie; né di chi tollera che capi come questi continuino a fare scempio dei corpi e dei cuori delle persone in ogni parte del mondo.
Chiediamo semmai, ai nostri rappresentanti in sede nazionale ed europea (che già hanno, e bene, preso posizione), una ancora più decisa iniziativa, sotto ogni aspetto, perché la Turchia cessi l’invasione e gli attacchi e torni immediatamente entro i confini che le sono riconosciuti.

L’unico appello che ci sentiamo di fare, in questo momento, è al popolo curdo, ai combattenti e alle sue celebri e indomite combattenti, per la Resistenza.

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1 commento

    • Stefano Guffanti il 13 Ottobre 2019 alle 16:01

    che la Nato chiuda gli spazi aerei all’aviazione turca, che l’ONU condanni l’invasione turca come condannò quella di Saddam Hussein in Kuwait, che tutti gli stati cessino di vendere armi alla Turchia, che l’Europa smetta di finanziare il regime di Erdogan. Massima solidarietà al popolo curdo.

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