LA CURA DELLA POLITICA – LUIGINA MORTARI, la sapienza politica. Grammatica dell’agire giusto.

Locandina La cura della politica - Luigina Mortari

Prima lezione del Corso di Formazione alla Politica 2025-2026
POLITICHE DI CURA NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA

Luigina Mortari è professore ordinario di Pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Scienze Umane all’Università di Verona. Le sue ricerche hanno per oggetto la filosofia dell’educazione, la filosofia della cura, la definizione teorica dei processi di ricerca qualitativa, la formazione dei docenti e dei professionisti sociali, educativi e sanitari e le politiche formative.

Dal 2021 al 2022 è stata presidente di Indire-Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa.

Tra i suoi precedenti libri: Per una pedagogia ecologica (La Nuova Italia, 2001), Apprendere dall’esperienza (Carocci, 2003), Linee di epistemologia della ricerca pedagogica (Leu, 2004). Il più recente è A scuola. L’arte di educare (Mimesis).
(fonte: festival della dignità umana)


La pubblicazione della registrazione della lezione non è stata autorizzata dalla relatrice.


LE VIRTU’ DEL POLITICO
Una riflessione a partire da “La sapienza politica” di Luigina Mortari
Di Lorenzo Gaiani – Milano, 18 ottobre 2025

C’è a pagina 67 di questo breve ma denso libretto un periodo che a mio giudizio sarebbe bastevole di per se stesso a provocare una di quelle discussioni che tengono inchiodato l’uditorio per ore e ore: “La politica non è fatta da eroi solitari, ma da cittadini che costruiscono legami  e che insieme agiscono nel mondo; la democrazia ha un’assoluta necessità che il tessuto sociale sia intriso di un’etica comunitaria , mentre, quando i legami fra i cittadini diventano deboli o addirittura vengono a mancare, l’esercizio della cittadinanza attiva viene meno e contemporaneamente con più facilità si insediano le forme dispotiche di governo. Il dispotismo si installa sull’atomizzazione del tessuto sociale e per sopravvivere fa di tutto per impedire la costruzione di reti di solidarietà e di associazioni che generano culture alternative”.

In questo modo la filosofa Luigina Mortari si mette in asse con studiosi di altre discipline, ad esempio con il politologo Luciano Fasano, che nell’incontro di studi promosso dalle ACLI milanesi nel luglio scorso, ricordava che la crisi di quelle che lui chiama “legature sociali” precede e spiega la crisi della democrazia che è attualmente diagnosticata da ogni parte. 
 
Oppure, per collocarci ad un livello diverso, ricordare quanto affermava papa Francesco secondo cui “Le associazioni – e più ampiamente l’associazionismo organizzato in tutte le sue forme riconosciute dalla legge – rappresentano spazi di partecipazione di straordinaria ed esclusiva rilevanza, dove i cittadini possono organizzarsi per difendere valori, diritti e interessi collettivi. Laboratori territoriali di cittadinanza attiva e officine di “produzione” del capitale sociale, elemento fondamentale per lo sviluppo di un Paese. 
 
E questo ha molto a che fare con quella ricerca della virtù del politico di cui parla il libro della professoressa Mortari, perché se è vero che l’esercizio della virtù è primariamente cosa che interpella la coscienza di ogni singolo cittadino, altrettanto vero è che l’esercizio della vita politica e sociale è anche ed essenzialmente un’azione posta in essere da una pluralità di persone, e non è un caso che la nostra Costituzione riconosca i diritti delle persone sia come singoli sia nelle formazioni sociali “ove si svolge la loro personalità” (art. 2).

Luigina Mortari si ispira apertamente al De Officiis di Cicerone, forse uno dei testi più noti dell’oratore romano, il quale aspirava ad essere conosciuto non solo come uomo di Stato ma anche come pensatore, e che, pur avendo delle parti evidentemente contingenti e caduche (come la polemica anticesariana e antiantoniana, che fu causa della sua morte), fu uno dei testi più diffusi dell’Arpinate e apprezzato e lodato da pensatori cristiani come Ambrogio e Agostino.
 
Obiettivo di Cicerone era quello di dimostrare come l’esercizio della virtù fosse da intendersi come adempimento dei doveri sia pubblici sia privati, poiché nella sua mente (ed era un pensiero largamente condiviso nella Roma repubblicana) il vir ed il civis erano praticamente indistinguibili, ed il rifiutarsi di adempiere il proprio dovere pubblico equivaleva ad un tradimento anche in senso filosofico e religioso.
 
Questo si doveva anche alla solida formazione di Cicerone nel pensiero greco, che egli cercava di conciliare con le tradizionali virtù romane.
 
Una delle ragioni fondamentali per cui Socrate si lascia uccidere, non sfugge, è quella di dire: se io vado fuori dalla mia città io non vivo più, divento apolide. Un esilio perpetuo. Quindi io sto nella città, pungolo i miei cittadini, sono come un tafano, per persuadere le leggi, per cambiarle, ma non posso vivere senza leggi. Quindi la città è il luogo del bene. In quel mondo quando si diceva “bene” si capiva che cosa si volesse dire: bisogna cioè che ogni determinazione si sviluppi secondo la sua propria natura. La natura della politica è quella di permettere che i cittadini divengano filosofi. Dove per il greco la filosofia non era una disciplina, ma era una vita: bios philosophikòs, una condotta, una forma di esistenza. Essere filosofi era una forma di esistenza. Si sapeva che cos’era il bene. La politica doveva sviluppare questo. La politica era buona e virtuosa se e solo se faceva questo. Tanto è vero che Aristotele, fatto importante rispetto alla modernità, non si pose mai il problema della legittimità della politica. È un problema tutto moderno questo della legittimità, della rappresentanza. Sono questioni molto moderne, gli antichi non le avevano. La politica doveva essere buona o cattiva. Se era cattiva, cioè se non si svolgeva in funzione del bene della città avrebbe prodotto sedizione, guerra e quindi sarebbe perita. 
 
Ponendosi in questa scia, ci ricorda Mortari, “Cicerone enuncia i due principi etici fondamentali: ‘Primo non nuocere ad alcuno, secondo servire all’utilità comune’ , ma poi aggiunge che non esiste un’interpretazione corretta di questi principi che valga sempre, e ciò rende necessario che si decida ciò che è giusto fare a seconda delle situazioni. La saggezza è nella sua essenza un sapere situazionale (…) la decisione sul modo di agire nel mondo non può non essere che l’esito di un ragionamento che cerca la soluzione migliore per ogni specifica situazione” (pag.92)
 
Quello che mi sembra particolarmente interessante nell’esposizione di Mortari è il fatto che lei non si sottrae al compito di definire queste virtù del politico in termini prescrittivi, laddove la mentalità relativista che pervade il pensiero moderno tenderebbe semmai a deresponsabilizzare la persona rispetto alle conseguenze dei suoi atteggiamenti, mettendo su di uno stesso piano le varie opzioni che si presentano al giudizio etico.
 
Al contrario, nel lungo capitolo che si intitola, appunto, “Le virtù politiche”, l’autrice declina i singoli paragrafi in forma di precetti morali, a partire dal primo, senz’altro il più importante, “Praticare il pensare radicale”, laddove evidentemente non si tratta di quel radicalismo di facciata che va tanto di moda in certi salotti politici ed intellettuali, ma la radicalità nel senso proprio della parola, dell’andare alla radice delle questioni fondamentali per la persona umana e per la sua vita associata: “porre la questione del bene in politica richiede la massima concretezza possibile, perché se per la riflessione etica si tratta di cogliere l’essenza del bene, cioè capire quale è quell’elemento che necessariamente si deve trovare in ogni esperienza perché si possa dire che è buona (…) per la politica si tratta di capire quale è il bene nelle differenti sfere del vivere” (pag.95).
 
A partire da qui discendono le altre prescrizioni: “Cercare sempre la verità”, oltre l’opinionismo e la chiacchiera sterile, rendendo la mente attenta all’essenziale e sgombra di tutto il resto. “Coltivare l’amore per la libertà”, senza la quale non c’è autentica vita politica, rifiutando l’arroganza e la mancanza di rispetto. “Tenere desta l’attenzione”, in un’epoca in cui invece sono molte le “armi di distrazione di massa” di cui il potere si serve per ottundere i sensi ed i politici spesso parlano dando l’idea di essere completamente staccati dal reale. “Pensare altrimenti”, perché non è vero che non esistono alternative, ed occorre “uscire dalla logiche egemoniche” e aprire “gli spazi per differenti azioni politiche”. “Prendere in esame se stessi”, perché bisogna riconoscere le proprie passioni, sia quelle che nutrono l’agire politico sia quelle che lo disordinano, e siccome le passioni non possono essere eliminate (sarebbe un grave errore), ci si deve sforzare di riconoscerle e purificarle. Passando dalle virtù personali a quelle relazionali, ecco l’”Esserci con responsabilità”, che significa tenere fisso lo sguardo non su se stessi ma sull’altro, assumendosi la responsabilità di tutti coloro nel cui nome diciamo di agire, rimanendo legati a quella “postura della mente che prende forma dalla decisione etica di tenersi fedeli alla ricerca di quello che rende  buona la vita e dell’avere maturato la consapevolezza che ciascuno di noi, ogni volta che la realtà reclama l’agire, può fare qualcosa per contribuire a realizzare quello che tutti noi cerchiamo” (pag.117). “Agire con rispetto”, che significa riconoscere che in ogni essere umano c’è “qualcosa di sacro”, e quindi astenersi da ciò che può mettere in discussione la libertà altrui e rinunciare ad ogni forma di violenza negli atti e nelle parole. “Avere coraggio”, che significa innanzitutto saper pensare diversamente e saper prendere la parola ed agire in primo luogo contro l’ingiustizia, anche se è quella delle leggi, come fece Antigone, senza avere paura del risentimento dei potenti o di un’opinione pubblica sviata. “Posizionarsi con umiltà “sapendo che esprimere le proprie idee significa aprire spazi di dialogo, e che spesso è necessario cercare di assumere il punto di vista dell’altro per comprenderne le ragioni in vista del raggiungimento di un possibile accordo- o anche solo per attenuare l’impatto dei disaccordi. “Tenersi alla ricerca del bene comune” significa essenzialmente rifuggire dall’egoismo il quale “distrugge alla radice ogni forma di impegno per la cosa pubblica, perché a chi è preoccupato solo per sé non importa se si vedono ingiustizie (…) l’importante è potere vivere senza essere disturbati, senza che il proprio stile di vita venga messo in discussione” (pag.130).  E poiché l’egoismo è in buona sostanza un’inclinazione naturale assai diffusa, combattere contro di esso è quasi un esercizio ascetico. “Coltivare l’etica amicale” significa dar credito a Platone e Aristotele – seguiti da Cicerone- quando affermano che l’amicizia è la prima virtù politica, perché se l’amicizia fra due persone è volere il bene dell’altro, ed impegnarsi per esso, l’amicizia politica implica “l’esserci in relazione ai molti, quello stile che consente di concretare la politica come cura della comunità” (pag. 135). “Aver cura delle parole” è una prescrizione importantissima soprattutto in una società come la nostra ammalata di iperboli e di estremismi: non si tratta solo della gara, per dirla volgarmente, a chi la spara più grossa, ma il caricare sistematicamente di significati ostili ed aggressivi la comunicazione, che porta a quel quotidiano teatrino della radicalizzazione fasulla in assenza di una vera alternativa di contenuti, causa prima del disgusto e del disprezzo da parte di molti cittadini che, guardando alla politica come alla contrapposizione fra rissosi incompetenti ed inconcludenti, se ne chiama fuori rinunciando all’impegno ed in primo luogo al voto: “Le parole sono importanti” gridava quasi quarant’anni fa Nanni Moretti in “Palombella rossa”, ma noi sembriamo averlo dimenticato. E infine “Essere onesti”, che è la radice del problema, ossia la rimozione da sé di qualsiasi aspirazione di tornaconto personale, compresa l’aspirazione alla buona fama, se non alla gloria, che era così frequente fra i politici greci e romani e che in fondo è ancora presente nella mentalità moderna (per quale motivo altrimenti un personaggio materialista e venale come Trump ambirebbe ad un riconoscimento simbolico come il Premio Nobel per la Pace?).
 
Credo veramente che questo testo della professoressa Mortari possa essere considerato un vero e proprio livre de chevet, un libro che chiunque aspiri a dedicare una parte più o meno grande della sua vita all’attività politica dovrebbe sempre tenere sottomano, come una forma di bussola etica e filosofica per regolare la propria azione.
 
E forse più in generale, in un’età come la nostra in cui il relativismo culturale e morale è dilagante ed inficia in primo luogo i rapporti personali e poi lo spazio pubblico, rifarsi ai valori fondamentali, quelli che chiedono un’analisi profonda di se stessi e delle proprie motivazioni, un guardare alla propria coscienza in rapporto alla realtà senza sconti e senza indulgenze, come questo libro suggerisce, può essere un’alternativa credibile alla stagnazione e alla miseria morale.
 
 

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